Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10181 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10181 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: PICCIALLI LUIGI

SENTENZA

sul ricorso 839-2010 proposto da:
PRODOMO S.r.l. in liquidazione 02681630659, in persona
del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA ANDREA DEL CASTAGNO 34-36, presso lo
studio dell’avvocato SERGIO BELTRANI, rappresentata e
difesa dall’avvocato BRUNO RUSSO DE LUCA;
– ricorrente –

2015
1190

contro

AVAGLIANO LUISA VGLLSU29H61C361L,

PIZZO SALVATORE

PZZSVT29F281610C, domiciliati ex lege in ROMA, PIAZZA
CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE

Data pubblicazione: 18/05/2015

rappresentati e difesi dall’avvocato COSTANTINO ANTONIO
MONTESANTO;
– controrlcorrenti

avverso la sentenza n. 906/2009 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 12/10/2009;

udienza del 22/04/2015 dal Presidente Dott. LUIGI
PICCIALLI;
udito

l’Avvocato

Gerardo

RUSSILLO,

con

delega

depositata in udienza dell’Avvocato Bruno RUSSO DE LUCA
difensore della ricorrente, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso e della memoria;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 9.1.1999 Salvatore Pizzo e Luisa Avagliano,
proprietari di un appartamento in primo piano e sottostante terraneo, facenti parte di un
fabbricato in Cava dei Tirreni,a confine con quello,in corso di ricostruzione ex lege n.
219/1981,della società Prodomo s.r.1.,convermero quest’ultima al giudizio del Tribunale

di opere illegittime,segnatamente di un vano,prima distante m. 1,20,ricostruito in aderenza
ad un terrazzo degli istanti, dell’innalzamento del piano di calpestio del corridoio di
distacco tra i due edifici,precludente la facoltà (prevista dal titolo) di aprire vedute nel
sovrastante muro,nonché della creazione di una pendenza in detto corridoio,convogliante
le acque meteoriche verso il terraneo degli attori.
Costituitasi la società convenuta,eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva,in
quanto mera costruttrice non proprietaria dell’immobile all’epoca dell’intervento
edilizio,contestando comunque la lesività delle modifiche.
All’esito di istruttoria orale e documentale e di consulenza tecnica di ufficio,con sentenza
n. 190/1995 l’adito tribunale,in parziale accoglimento della domanda, condannò la società
Prodomo all’arretramento della parte ampliata della nuova costruzione a mt. 5 “dalla
frontistante proprietà degli attori (poggiolo e terrazzo” ,nonché al risarcimento dei danni
in misura di € 8.610,86,oltre agli interessi legali dal 18.8.1995,rigettò ogni altro capo
della domanda attrice e pose le spese del giudizio per due terzi a carico della
convenuta,con compensazione per il resto.
Appellata tale decisione,in via principale dalla convenuta,in via incidentale dagli
attori,con sentenza 11.6-12.10.2009 la Corte di Salerno,disatteso il primo gravame e
parzialmente accolto il secondo, condannò la Prodomo anche ad abbassare il piano di
calpestio di distacco tra i due fabbricati,in misura tale da consentire agli attori l’esercizio
del diritto di aprire finestre nel sovrastante muro nel rispetto dell’altezza pinima di m.
1

di Salerno al fine di sentirla condannare all’eliminazione,oltre al risarcimento dei danni,

3,confermando nel resto la sentenza impugnata e regolando le spese del doppio grado in
misura di quattro quinti a carico della società convenuta,con compensazione per il resto.
Contro tale sentenza la società Prodomo ( in liquidazione ) ha proposto ricorso per
cassazione affidato a tre motivi,illustrati con successiva memoria, cui hanno resistito i
Pizzo-Avagliano con rituale controricorso.

Con il primo motivo si deduce,con riferimento al capo della decisione relativa
all’arretramento della fabbrica rispetto alla terrazza ed al poggiolo ritenuti di proprietà
degli attori : a) “violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione di
nonne di diritto e di contratti ,art. 873 c.c..,consumata a mezzo di violazione del principio
di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.),combinato con il principio di
cui all’art. 99 c.p.c”;b) “violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.,per contraddittoria e
insufficiente,anzi omessa,motivazione su punti decisivi della controversia”.
Il motivo è parzialmente fondato,nella parte relativa alla contestata proprietà del
“poggiolo”,che il giudice di primo grado,basandosi sul confutato parere del c.t.u.,aveva
attribuito agli attori,tenendone conseguentemente conto ai fini della distanza.
A tal proposito la Corte d’Appello ha ritenuto inammissibile il secondo motivo di
gravame,con il quale l’appellante principale aveva contestato tale appartenenza
(assumendo che il poggiolo faceva parte del vecchio fabbricato), ravvisando la novità
della relativa eccezione in quanto sostanzialmente deducente,per la prima volta in
appello,”il difetto di legittimazione attiva di essi Pizzo-Avagliano”.
Ma a tal riguardo la corte di territoriale è incorsa in un evidente errore
processuale,considerato che la censura in questione non integrava un’eccezione in senso
tecnico,soggetta alla preclusione di cui all’art. 345 c.p.c.,non attenendo alla legittimazione
degli attori, bensì ad una mera doglianza difensiva di merito proposta dalla soccombente
convenuta, diretta ad evidenziare un assunto errore del c.t.u.,a1 cui parere si lamentava
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MOTIVI DELLA DECISIONE

essersi acriticamente attenuto il primo giudice,nel considerare appartenente alla
controparte un elemento strutturale dell’immobile,i1 poggiolo,che gli attori neppure
avevano menzionato nell’atto di citazione,riferendosi esclusivamente al terrazzo.
Tale ultimo rilievo trova effettivamente riscontro nel contenuto dell’atto introduttivo,
esaminabile in questa sede in ragione della natura processuale della censura.

territoriale si è pertanto sottratta all’esame di una questione di merito alla stessa devoluta.
Non meritevole di accoglimento è invece il motivo di ricorso,quanto al rimanente
profilo attinente alla proprietà del corridoio di separazione tra i due immobili.
In primo grado,invero,la società convenuta aveva eccepito il proprio difetto di
legittimazione passiva,in quanto all’epoca dell’intervento edilizio di ricostruzione non era
ancora proprietaria dell’immobile,ammettendo tuttavia di essere autrice delle opere.
In appello,invece,premesso di essere successivamente (ma comunque prima della
proposizione della domanda giudiziale), divenuta proprietaria del compendio immobiliare
(o comunque della maggior parte dello stesso),mutando l’originaria linea difensiva, ha
limitato la propria eccezione di difetto di legittimazione passiva alla sola azione
risarcitoria, sostenendo che i lavori erano stati eseguiti da altra ditta,eccezione che
correttamente la Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile ex art. 345 c.p.c.,ponendosi
in contrasto con l’arnmissione,in primo grado,di essere stata autrice delle opere.
Orbene,non essendo stata confermata in appello l’eccezione,opposta in primo grado alla
domanda di riduzione in pristino (azione reale che vede passivamente legittimato il
proprietario del bene interessato all’epoca della domanda) di non essere proprietaria delle
parti dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio di cui si erano doluti gli attori, dunque
anche del corridoio in questione,evidente risulta l’inammissibilità nella presente sede
della censura de qua, in quanto riproponente una questione sollevata in primo grado,ma
abbandonata in secondo.
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Per effetto dell’erronea dichiarazione di inammissibilità del motivo di appello la corte di

Con il secondo motivo si deduce,con riferimento al capo di domanda accolto in secondo
grado,arviolazione dell’art. 360 n. 3 per falsa applicazione di norme (art. 833 c.c.-atti
d’emulazione —art. 99 e 100 c.p.c.) sussistendo errata individuazione de interpretazione
del contratto inter partes”;b) “violazione dell’art. 360 n. 5 per omessa,insufficiente,

il piano di calpestio del corridoio di distacco tra i due fabbricati. .”),che parte da errata
interpretazione dei fatti acquisiti al processo e giunge ad un vuoto contenitore”.
Il motivo,con il quale si nega che il vialetto o corridoio in questione abbia subito modifica
di livello e che comunque non sarebbe stata pregiudicata la facoltà,in base al titolo ex

adverso addotto, di aprire vedute nel sovrastante muro,non merita accoglimento,anzitutto
perché,in violazione del principio di chiarezza più volte enunciato nella giurisprudenza di
questa Corte (tra le altre v. nn.19443/2011,12248/2013),cumula diverse e confuse
censure,riferibili ai nn.3 e 5 dell’art. 360 co.I c.p.c.,illustrate promiscuamente,così
inammissibilmente demandando all’interprete il compito di riferirle all’una o all’altra
tipologia di vizio di legittimità.
A tanto aggiungasi che il mezzo d’impugnazione si risolve,in buona parte,nel tentativo di
accreditare una diversa interpretazione delle risultanze processuali,per di più incorrendo
nel difetto di autosuffcienza (laddove menziona genericamente,senza riportarle,
testimonianze che avrebbero escluso l’immutazione dello stato dei luoghi),senza
evidenziare alcun vizio logico o lacuna argomentativa nel ragionamento del giudice di
merito,che ha basato il suo giudizio sulle risultanze della consulenza tecnica di
ufficio,evidenzianti detto innalzamento, e del titolo (atto pubblico del 2.12.1965)
prevedente a favore dei danti causa degli attori la facoltà di aprire nel muro sovrastante il
fabbricato “finestre e vedute senza limitazione di numero”. Tenuto conto della palese
omnicomprensività di tale previsione e considerato che comunque tali vedute sono tutte
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illogica e contraddittoria motivazione,anche per avere motivato ultra petita…(“abbassare

soggette al rispetto della distanza, in verticale,di cui all’art. 907 co 3 cc.,che il giudice di
merito ha ritenuto pregiudicata dall’accertato innalzamento,vanamente il motivo di ricorso
si diffonde sulla distinzione tra finestre e balconi,considerato che la “soglia”,rispetto alla
quale va misurata la distanza,è riferibile sia alle une che agli altri.
Va disatteso infine anche il terzo motivo,con il quale si lamenta “violazione dell’art. 360

decisum sul risarcimento del danno,motivo che,per quanto già si è avuto modo di
evidenziare in precedenza,correttamente è stato ritenuto inammissibile ex art. 345 c.p.c.
dalla corte di merito,per la sua novità in appello,rispetto a quanto eccepito in primo grado.
Quanto ai generici profili attinenti al rapporto di causalità ed al quantum,trattasi di
censure,o meglio mere doglianze,che non risultano,dalla narrativa della sentenza
impugnata e da quella stessa contenuta nel ricorso (v. pag. 4,sub c ,dove si riferisce
“impugnata la condanna al risarcimento dei danno per carenza di legittimazione
passiva”),essere state dedotte in secondo grado;ne consegue,pertanto,l’inarnmissibilità in
questa sede per novità.
Conclusivamente va cassata la sentenza impugnata entro i limiti di accoglimento del
primo motivo del ricorso,che per il resto si respinge.
Il necessario rinvio,per il parziale riesame del giudizio di merito,va disposto alla corte di
provenienza,in diversa composizione,cui si demanda anche il regolamento delle spese del
presente giudizio.
p.q.m
La Corte accoglie,nei limiti di cui in motivazione,i1 primo motivo di ricorso, che rigetta
nel resto,cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia,anche per
le spese del giudizio di legittimità,alla Corte d’Appello di Salerno in diversa
composizione.
Così deciso in Roma 22 aprile 2015.

c.p.c n. 5 per omessa,insufficiente,illogica e contraddittoria motivazione in relazione al

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