Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10181 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10181 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 11648 —2008 R.G. proposto da:
FIGLIOLA RITA MARIA — c.f. FGLRMR28E63I641H — rappresentata e difesa in virtù di
procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato Pasquale Jannarelli ed elettivamente
domiciliata in Roma, alla via di Pietralata, n. 320 d/4, presso lo studio dell’avvocato Gigliola
Mazza.
RICORRENTE
contro
DI RIENZO SERAFINO e OLIVIERI RAFFAELE rappresentati e difesi in virtù di procura
speciale a margine del controricorso dagli avvocati Carmine Battiante e Romano De Luca ed
elettivamente domiciliati in Roma, alla via di Pietralata, n. 320 d/4, presso lo studio
dell’avvocato Michele Ricci.
CONTRORICORRENTI
Avverso la sentenza n. 915 dei 2.3.2005/4.9.2007 della corte d’appello di Bari,

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z 4/4

Data pubblicazione: 09/05/2014

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 6 febbraio 2014 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Lucio Capasso,
che ha concluso per il rigetto del ricorso,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

proprietaria e detentrice di due terranei, entrambi adibiti a rimessa, ubicati in Serracapriola,
alla via Tommaseo, esponeva che Antonio Olivieri, proprietario delle due rimesse attigue
nonché di un appartamento, posto al primo piano, al lato delle medesime rimesse e dotato di
un piccolo balcone di forma rettangolare con il lato stretto prospiciente su via Tommaseo ed il
lato lungo posto a confine ed alla medesima quota delle due rimesse, aveva rimosso la
ringhiera del balcone del proprio appartamento, aveva pavimentato con mattonelle e cinto con
una ringhiera alta 90 cm. i tetti delle sue due rimesse, utilizzando tale spazio aperto come
ampia balconata, in tal guisa mutando la natura dei tetti da semplici solai di copertura in
lastrici solari; che, per giunta, nel rifacimento della pavimentazione aveva invaso sul lato
ovest la proprietà di ella ricorrente.
Chiedeva all’adito giudice l’eliminazione della pavimentazione realizzata dall’Olivieri
nella parte in cui risultavano occupati i tetti delle sue rimesse nonché l’eliminazione della
ringhiera in ferro, che consentiva alla controparte la veduta diretta, all’uopo invocando la
tutela del possesso ed il rispetto delle distanze per le vedute.
Costituitosi, Antonio Olivieri deduceva di aver ceduto la proprietà delle unità
immobiliari al figlio Raffaele ed al genero, Serafino Di Rienzo; altresì, spiegava
riconvenzionale con cui chiedeva l’eliminazione dello stillicidio provocato dalla caduta sul
proprio terraneo dell’acqua piovana dal tetto del vano di proprietà della ricorrente.

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Con ricorso al pretore di Lucera, sezione distaccata di Serracapriola, Maria Rita Figliola,

Spiegavano volontario intervento Raffaele Olivieri e Serafini Di Rienzo; deducevano di
aver essi provveduto alla realizzazione delle opere contestate.
Con sentenza dei 24/25.7.1989 il pretore adito, qualificata l’ actio esperita ai sensi dell’art.
1170 c.c., reputava che le opere integrassero gli estremi della molestia possessoria, sia perché
eseguite in violazione delle distanze legali sia perché atte a dar vita ad una servitù di veduta su

Ordinava, pertanto, la rimozione della ringhiera o, quanto meno, il suo arretramento per
una profondità pari alla distanza legale; negava, al contempo, che la pavimentazione dei tetti
delle rimesse fosse idonea ad integrare una turbativa del possesso.
Raffaele Olivieri e Serafino Di Rienzo – deceduto nelle more Antonio Olivieri —
interproponevano appello al tribunale di Lucera, che, con sentenza n. 91/2000, rigettava il
gravame, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.
Avverso tale decisione spiegavano ricorso a questa Corte di legittimità Raffaele Olivieri e
Serafino Di Rienzo.
Il ricorso veniva accolto e la sentenza di seconde cure cassata.
Segnatamente e tra l’altro, questa Corte evidenziava che il giudice dell’appello non aveva
dato esaurientemente ragione del proprio assunto circa la realizzazione di una servitù
d’affaccio prima inesistente; più esattamente, che non aveva valutato se la pregressa
situazione, pur in mancanza di pavimentazione e di ringhiera, già non consentisse una
reciproca facoltà di inspicere e prospicere sostanzialmente immutata nonostante le nuove
opere.
Raffaele Olivieri e Serafino Di Rienzo attendevano alla riassunzione del giudizio in sede
di rinvio dinanzi alla corte d’appello di Bari.
Si costituiva e resisteva Maria Rita Figliola.

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fondo altrui.

Con sentenza n. 915 dei 2.3.2005/4.9.2007 la corte barese, in accoglimento dell’appello
esperito da Raffaele Olivieri e Serafino Di Rienzo, rigettava le domande spiegate in prime
cure da Maria Rita Figliola; dava atto, altresì, della rinunzia degli appellanti alla
riconvenzionale in origine formulata da Antonio Olivieri.
In relazione all’asserita molestia del possesso arrecata, in dipendenza della

costruzioni, la corte territoriale opinava nel senso che “il manufatto dagli odierni appellanti
realizzato non può rilevare ai fini del computo delle distanze” (così sentenza d’appello, pag.

9).
In relazione all’asserita molestia del possesso, arrecata del pari in dipendenza della
trasformazione del tetto in lastrico solare, attraverso l’asserita ed abusiva servitù di veduta che
gli appellanti eserciterebbero sul tetto di Maria Rita Figliola, la corte territoriale esponeva che
“un’inferriata posta a separazione tra due fondi, anche urbani, non può dar luogo all’esercizio
di una servitù di veduta, perché anche quando essa consenta di inspicere e di prospicere sul
fondo altrui, costituisce pur sempre un’opera avente la funzione di semplice separazione dei
fondi, mentre la eventuale possibilità di guardare e di affacciarsi sul fondo del vicino è, in tal
caso, reciproca ed esclude, pertanto, quella situazione di soggezione… indispensabile per la
configurazione di un diritto di servitù” (così sentenza d’appello, pag. 9); che “nessun
elemento favorevole all’assunto della Figliola può desumersi… dalla scrittura privata 14-71979, con cui Antonio Olivieri, dante causa degli odierni appellanti, si era impegnato a non
praticare sul muro del nuovo fabbricato abusivamente realizzato in via Tommaseo aperture né
affacci o vedute, essendo riferita tale scrittura alla nuova costruzione, realizzata negli anni
78/79 a primo piano, nella parte retrostante il preesistente immobile” (così sentenza d’appello,

pag. 12); che trattavasi di costruzione diversa, come “evincibile dallo schizzo planimetrico

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trasformazione del tetto in lastrico solare, attraverso la violazione delle distanze legali tra

allegato alla scrittura de qua, oltreché dalle tavole progettuali e dalle istanze di condono
prodotte dagli appellanti” (così sentenza d’appello, pag. 12).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Maria Rita Figliola, chiedendone, sulla scorta di
un unico motivo, la cassazione; con i conseguenti provvedimenti in ordine alle spese.
I controricorrenti Raffaele Olivieri e Serafino Di Rienzo hanno depositato controricorso,

delle spese; altresì hanno chiesto dichiararsi l’inammissibilità della documentazione allegata
al ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c. il vizio di
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
All’uopo adduce che “in sede di rinvio la corte d’appello ha disatteso le puntuali
prescrizioni sul thema decidendum delineate dalla suprema corte di cassazione” (così ricorso,

pag. 10); che, ad ogni modo, “la presenza della ringhiera posizionata lungo il lastrico non solo
costituisce una modifica sostanziale alla situazione preesistente, ma… altera profondamente
proprio quella stessa reciprocità che a livello dei lastrici esisteva in precedenza” (così ricorso,

pag. 13); che, “infatti, con la collocazione della ringhiera e senza il rispetto delle distanze,
viene decisamente alterata la situazione dei luoghi…” (così ricorso, pag. 13).
Il ricorso è destituito di fondamento.
Del tutto ingiustificato è l’assunto della ricorrente, secondo cui il giudice del rinvio, “in
spregio… alla questione su cui la cassazione in sede di rinvio aveva chiesto… di
pronunciarsi” (così sentenza d’appello, pag. 10), “ha omesso proprio di analizzare
specificamente la concreta situazione preesistente” (così ricorso, pag. 12).

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chiedendo dichiararsi inammissibile e comunque rigettarsi l’avverso ricorso con il favore

E’ al riguardo sufficiente porre in risalto che la corte territoriale ha dato atto che dalle
risultanze istruttorie era dato evincere che “i luoghi oggetto di disputa fossero originariamente
due coppie di tetti (posti a copertura di altrettanti terranei) che, pur appartenendo a soggetti
diversi, costituivano un’unica superficie piana senza soluzione di continuità” (così sentenza

d’appello, pag. 10); altresì, che “l’originaria consistenza dei luoghi… indubbiamente

facoltà di inspicere e prospicere a tutto campo” (così sentenza d’appello, pag. 10); dunque,
che “i tetti della sig.ra Figliola e dei sigg.ri Di Rienzo — Olivieri erano rispettivamente e
reciprocamente fondi serventi e dominanti” (così sentenza d’appello, pag. 11).
Su tale scorta la corte distrettuale ha affermato che l’originaria consistenza dei luoghi non
è stata “sostanzialmente… modificata (né aggravata) dalle successive opere poste in essere
dai Di Rienzo — Olivieri” (così sentenza d’appello, pag. 10).
Tale affermazione può senz’altro essere condivisa.
Difatti questa Corte spiega, da un canto, che l’apertura di una veduta verso il fondo del
vicino, ai sensi ed agli effetti degli artt. 905 e ss. c.c., sul fondo che già goda naturalmente di
una vista panoramica, in conseguenza di posizione sopraelevata, è configurabile solo quando
intervengono opere che aggravino la suddetta situazione naturale (cfr. Cass. 12.6.1982, n.
3597); dall’altro, che un’inferriata posta a separazione tra due fondi anche urbani non può
dare luogo all’esercizio di una servitù di veduta, perché anche quando essa consenta di

inspicere e di prospicere sul fondo altrui, costituisce pur sempre un’opera avente la funzione
di semplice separazione dei fondi, mentre la eventuale possibilità di guardare e di affacciarsi
sul fondo del vicino è, in tal caso, reciproca ed esclude, pertanto, quella situazione di
soggezione di un fondo nei confronti dell’altro la cui sussistenza è indispensabile per la
configurazione del diritto di servitù (cfr. Cass. 27.5.1994, n. 5186).

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consentiva, prima ancora della esecuzione delle opere contestate alla Figliola, una reciproca

Si tenga conto, per giunta, che la proprietà Olivieri già fruiva di un balcone che, siccome
riconosce la medesima ricorrente (cfr. ricorso, pag. 8), certamente consentiva la veduta diretta
ed obliqua.
In ogni caso questa Corte non può che reiterare nella fattispecie l’insegnamento —
debitamente menzionato dalla corte barese — secondo cui non può dar luogo all’esercizio di

avente essenzialmente funzione divisoria, anche quando consenta di inspicere et prospicere in
alienum (cfr. Cass. 17.3.1995, n. 3109).
Lo spiegato unico motivo di ricorso nella parte in cui si fa riferimento alla scrittura
privata in data 14.7.1979; in parte qua difetta senza dubbio di specificità (cfr. Cass.
17.7.2007, n. 15952, secondo cui i motivi fondanti il ricorso per cassazione devono
connotarsi, a pena di inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza
e riferibilità alla decisione impugnata).
Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a pagare ai contro ricorrenti le spese del
presente giudizio che liquida in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

una veduta una ringhiera posta a separazione fra due fondi urbani, trattandosi di un opera

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