Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10180 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. I, 28/05/2020, (ud. 04/11/2019, dep. 28/05/2020), n.10180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34865/2018 proposto da:

D.A., rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Daniela

Sacchi, del Foro di Lecco, giusta procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2417/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2471/2018 depositata il 15-05-2018 la Corte d’Appello di Milano ha respinto l’appello proposto da D.A., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano che aveva rigettato la sua domanda avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata in modo generico e confuso dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito per ragioni attinenti alla situazione di disordine nel Paese di origine e per ragioni personali inerenti alla sua presunta appartenenza ad un clan denominato (OMISSIS) per vendicare la morte del padre, che era stato ucciso. La Corte d’appello ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale della Nigeria e dell’Edo State, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere, la Corte d’Appello applicato, nel caso di specie, i principi in materia di attuazione dell’onere della prova, gravante in capo al Richiedente protezione internazionale”. Deduce di aver reso un racconto particolareggiato della sua vicenda, essendo scappato dalla Nigeria per motivi di conflitto con la propria etnia, denominata (OMISSIS), sostenitrice del re Y., in conflitto con il re M. e più in generale per il pericolo di essere ucciso in seguito agli attentati del gruppo terroristico (OMISSIS), nonchè per il pericolo di essere condannato a morte per aver ucciso un sostenitore del re M.. Afferma che il racconto era suffragato da prove documentali (doc. nn. 2,3 e 4 prodotti in primo grado) e che nel ricorso di primo grado in dettaglio erano state evidenziate le contraddizioni ed incongruenze in cui era incorsa la Commissione territoriale nel valutare la credibilità della vicenda personale narrata. Ad avviso del ricorrente nè il Tribunale, nè la Corte d’appello avevano confutato tali contraddizioni, sicchè il racconto del ricorrente era da ritenersi credibile e la Corte territoriale non aveva fatto applicazione dei principi in materia di onere della prova attenuato.

2. Con il secondo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 bis, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere, la Corte d’Appello, riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita dell’odierno deducente”. Censura per genericità la valutazione effettuata dalla Corte territoriale della situazione della Nigeria e del Lagos State, in cui è nato, evidenziando che detto Stato si trova nella parte meridionale del Paese e in quell’area sussiste una situazione di violenza indiscriminata secondo la nozione datane dalla Corte di giustizia Europea con la sentenza cd. Elgafaji.

3. Con il terzo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per non avere, la Corte d’Appello, assolto all’onere di cooperazione istruttoria gravante in capo all’autorità giudiziaria adita nella materia che ci occupa”. Censura la valutazione effettuata dalla Corte territoriale della situazione della Nigeria e del Lagos State perchè sommaria e superficiale, sostenendo che il quadro descritto nella sentenza impugnata non corrisponda a quello attuale e riportando quanto risulta dal rapporto di Amnesty International 2017/2018 e da altre fonti (pag. n. 10 e 11 ricorso), da cui emerge che su tutto il territorio nigeriano sono presenti gravi e continui scontri. Deduce il ricorrente, in merito alla possibilità per lo stesso di recarsi a vivere in regioni diverse del Paese, che l’art. 8 della direttiva 2004/83/CE non era stato recepito, in sede di attuazione della medesima direttiva, dal D.Lgs. n. 251 del 2007. Afferma pertanto di aver diritto al riconoscimento della protezione sussidiaria, atteso che nell’area di sua provenienza persiste una situazione di carattere generale che comporta potenziali rischi all’incolumità delle persone.

4. Con il quarto motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 e art. 19 TUI, per non avere, la Corte d’Appello, riconosciuto al Richiedente la protezione internazionale per motivi umanitari, in ragione del livello di integrazione sociale raggiunto dall’istante nel nostro Paese”. Censura la statuizione di diniego della protezione umanitaria per non aver la Corte territoriale tenuto conto del livello di integrazione sociale raggiunto dal ricorrente e documentato, richiamando la giurisprudenza di questa Corte e in particolare la sentenza n. 4455/2018. Rileva infine che le allegazioni e deduzioni svolte in tema di protezione umanitaria hanno rilevanza anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 132 del 2018, che non si applica retroattivamente.

5. I primi tre motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

5.1. Quanto al giudizio di credibilità, questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. n. 3340/2019). Inoltre il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, secondo i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Anche la valutazione sulla situazione del Paese di origine, rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), si risolve in un accertamento di fatto, censurabile nei limiti di cui si è detto (Cass. n. 30105/2018).

5.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto non credibili le vicende personali narrate dal ricorrente richiamando la valutazione del Tribunale e aggiungendo che “le incongruenze rilevate dal primo Giudice non hanno avuto alcuna contestazione in questa sede da parte dell’esponente” (pag. n. 5 della sentenza impugnata). Il ricorrente non censura specificamente detta affermazione, assume che la Corte d’appello non abbia confutato le critiche mosse dal precedente legale in sede di appello alla statuizione del Tribunale (pag. n. 5 ricorso), senza tuttavia precisare quali fossero le suddette critiche e come fossero state esplicitate nell’atto di appello, e si limita ad aggiungere che il richiedente, di basso livello di scolarizzazione, “ben poteva ritenersi credibile”.

Il dovere di cooperazione istruttoria non deve essere attivato sulla coerenza esterna della vicenda personale se le allegazioni sono generiche e inattendibili (Cass. n. 16275/2018 e Cass. n. 14283/2019). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo.

Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità ed alla valutazione del suo Paese, inammissibilmente difforme da quella accertata nel giudizio di merito. Il Giudice di merito ha espresso, con motivazione idonea (Cass.SU n. 8053/2014), il proprio convincimento, descrivendo compiutamente la situazione generale del Paese di origine del ricorrente sulla base delle fonti indicate nella sentenza impugnata.

La doglianza sulla mancata applicazione dell’art. 8 direttiva 2004 è inconferente, perchè la sentenza impugnata non afferma che lo straniero, tornato in patria, deve trasferirsi in zona diversa da quella di provenienza ma, al contrario, che proprio nella zona di provenienza del ricorrente non sussistono situazioni di violenza e pericolo in caso di rimpatrio (Cass. ord. n. 2294 del 16/02/2012; Cass. 8399/2014; Cass. 28433/2018).

6. Anche il quarto motivo è inammissibile.

6.1. I Giudici di merito hanno motivatamente escluso la sussistenza di fattori soggettivi e oggettivi di vulnerabilità del ricorrente, il quale si limita a richiamare, genericamente, la normativa di riferimento e la condizione generale del suo Paese, fornendone, inammissibilmente, una ricostruzione fattuale diversa da quella descritta nella sentenza impugnata, nonchè rimarca il fattore della sua integrazione nel territorio italiano, che, tuttavia, diventa recessivo, in assenza di vulnerabilità, come chiarito da questa Corte proprio con la pronuncia citata in ricorso (Cass. n. 4455/2018).

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, nulla dovendo disporsi circa le spese del presente giudizio, stante la mancata costituzione del Ministero.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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