Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10180 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/04/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 16/04/2021), n.10180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE AnnaMaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34731 – 2018 R.G. proposto da:

D.F.F. – c.f. D(OMISSIS) – elettivamente domiciliato in

Roma, alla via Ugo Bartolomei, n. 23, presso lo studio dell’avvocato

Caruso Antonio che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato

Ivella Francesco Saverio lo rappresenta e difende in virtù di

procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

S.F. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma,

alla via Livorno, n. 15, presso lo studio dell’avvocato Forcina

Antonio che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7915/2018 del Tribunale di Roma,

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 dicembre

2020 dal consigliere Dott. Abete Luigi.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso al Giudice di Pace di Roma l’avvocato S.F. esponeva che nel maggio del 2008 su incarico e nell’interesse di D.F.F. aveva predisposto atto di citazione ai fini del risarcimento dei danni conseguenti ad un incidente stradale avvenuto nel dicembre del 2003; che il D.F. gli aveva revocato il mandato nel luglio del 2009; che il compenso a lui dovuto era rimasto insoluto.

Chiedeva ingiungersi alla controparte il pagamento della somma di Euro 4.286,44, oltre interessi e spese di procedura.

2. Con decreto n. 20790/2010 l’adito giudice pronunciava l’ingiunzione.

3. D.F.F. proponeva opposizione.

Deduceva che, a fronte dell’unico mandato conferito all’avvocato Sprega, e per l’attività stragiudiziale e per l’attività giudiziale, aveva a costui corrisposto acconti per Euro 26.847,00 – non già per Euro 20.631,00, così come controparte aveva riconosciuto in ricorso – acconti che assorbivano ogni avversa pretesa, sicchè null’altro era dovuto.

Chiedeva revocarsi l’ingiunzione ed, in riconvenzionale, condannarsi l’opposto alla restituzione delle somme percepite in eccedenza.

4. Si costituiva l’avvocato S.F..

Instava per il rigetto dell’opposizione.

5. Il giudice di pace, preso atto della propria incompetenza in ordine alla domanda riconvenzionale, ne disponeva la separazione dall’opposizione all’ingiunzione.

6. Con sentenza n. 26423/2013 il giudice di pace rigettava l’opposizione, confermava l’ingiunzione e condannava l’opponente alle spese.

7. Avverso tale sentenza D.F.F. proponeva appello.

L’avvocato S.F. resisteva.

8. Nelle more, con sentenza n. 4060/2017, il Tribunale di Roma accoglieva la domanda riconvenzionale esperita da D.F.F. con l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 20790/2010 e condannava l’avvocato Sprega a restituire al D.F. la somma di Euro 6.905,55, oltre interessi.

9. Nelle more, inoltre, l’avvocato Sprega proponeva appello avverso la sentenza n. 4060/2017 del Tribunale di Roma.

10. Con sentenza n. 7915/2018 il Tribunale di Roma rigettava l’appello esperito da D.F.F. avverso la sentenza n. 26423/2013 del Giudice di Pace di Roma e condannava l’appellante alle spese del grado.

Evidenziava il tribunale che, contrariamente all’assunto dell’appellante, il giudice di pace aveva opinato per la unitarietà dell’incarico professionale.

Evidenziava ancora che correttamente il primo giudice aveva ritenuto che era onere dell’opponente dimostrare che i pagamenti eseguiti costituivano acconti altresì per le attività giudiziali ancora da svolgere.

Evidenziava quindi che siffatto onere per nulla era stato assolto.

11. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso D.F.F.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

L’avvocato S.F. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

12. Il relatore ha formulato ex art. 375 c.p.c., n. 5), proposta di manifesta fondatezza del primo motivo di ricorso, assorbita la disamina del secondo motivo di ricorso; il presidente ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

13. Il controricorrente ha depositato memoria.

14. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1193 e 2697 c.c., degli artt. 112 e 115 c.p.c. e del D.M. n. 127 del 2004, art. 2, capitolo 3.

Deduce in primo luogo che, sostanzialmente, il Tribunale di Roma ha reputato sussistente il diritto ad un doppio compenso, l’uno concernente la fase stragiudiziale ed interamente corrisposto, l’altro concernente la fase giudiziale e non ancora corrisposto.

Deduce quindi che il Tribunale di Roma non ha applicato, così come avrebbe dovuto, il principio per cui le attività connesse e complementari all’introduzione dell’azione giudiziale non determinano l’insorgere del diritto al compenso per le prestazioni stragiudiziali.

Deduce in secondo luogo che non è contestato che ha corrisposto all’avvocato Sprega Euro 26.847,00, che le fatture del 28.5.2008 e del 18.6.2008 sono state emesse da controparte a titolo di acconto e non a saldo, che nel luglio del 2008 controparte ha imputato il pagamento delle anzidette fatture a titolo di acconto e non a saldo, che dunque è evidente che non vi è stata distinzione tra incarico stragiudiziale ed incarico giudiziale.

Deduce quindi che il Tribunale di Roma non ha correttamente valutato siffatte risultanze probatorie, allorchè ha ritenuto che “era onere dell’opponente provare che i pagamenti eseguiti costituivano acconto, altresì, per le attività giudiziali” (così ricorso, pag. 25).

Deduce in terzo luogo che, a fronte dell’eccepita idoneità dell’eseguito pagamento di Euro 26.874,00 ad estinguere ogni avversa pretesa, l’avvocato Sprega non ha nè addotto nè comprovato le attività specificamente svolte nella fase stragiudiziale.

Deduce quindi che, in dipendenza del mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sull’avvocato Sprega, il Tribunale di Roma avrebbe dovuto riconoscere valore di prova all’imputazione delle fatture non contestate.

15. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Premette che con apposito motivo di gravame aveva, a censura del primo dictum, addotto che il primo giudice non si era pronunciato in ordine alla domanda con la quale aveva invocato l’accertamento della idoneità delle somme corrisposte a soddisfare ogni avversa pretesa.

Indi deduce che, allorquando il tribunale ha ritenuto che siffatta domanda è stata implicitamente esaminata e disattesa dal giudice di pace, ha a sua volta omesso di esaminare il motivo di gravame ovvero ha respinto il motivo di gravame senza alcuna motivazione.

Deduce ulteriormente che il tribunale ha omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione subordinata concernente la duplicazione della “fase di studio”, siccome liquidata sia nell’ambito dell’attività stragiudiziale sia nell’ambito dell’attività giudiziale.

16. Il primo motivo di ricorso è fondato e meritevole di accoglimento; il suo buon esito assorbe e rende vana la disamina del secondo motivo.

17. Si premette che il collegio appieno condivide la proposta del relatore, che ben può essere reiterata in questa sede.

Si è anticipato che il ricorrente, all’esito della notificazione del decreto presidenziale e della proposta, ha provveduto al deposito di memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Orbene è vero senza dubbio che il primo mezzo di impugnazione veicola (in secondo luogo) pur profili di doglianza tesi a censurare la valutazione degli elementi documentali di riscontro e dunque il giudizio “di fatto” cui i giudici del merito hanno atteso (cfr. ricorso, pagg. 20 – 22).

Cosicchè non è ingiustificato il rilievo dal controricorrente in tal senso formulato in memoria (cfr. pag. 2).

E tuttavia l’assunto di cui alla memoria – a tenor del quale (il contro ricorrente) “ha dato ampia prova delle ragioni di credito, rappresentando nel dettaglio quali attività professionali fossero state svolte” (così pag. 4), non rinviene riflesso nella lapidaria e – si dirà – distonica, rispetto all’elaborazione di questa Corte, motivazione del secondo giudice.

18. Evidentemente in ordine ai profili di censura che il primo mezzo di impugnazione veicola in terzo luogo soccorre l’insegnamento di questa Corte.

Ovvero l’insegnamento secondo cui in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di diritti ed onorari di avvocato o procuratore, la contestazione mossa dall’opponente circa la pretesa fatta valere dall’opposto sulla base della parcella corredata dal parere del Consiglio dell’Ordine non deve necessariamente avere carattere specifico, essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico ad investire il giudice del potere – dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a determinare l’onere probatorio a carico del professionista in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa (cfr. Cass. 25.6.2003, n. 10150; Cass. 30.7.2004, n. 14556; Cass. 11.1.2016, n. 230, secondo cui nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attività, è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il “quantum debeatur” senza incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c.).

19. In questo quadro si delinea la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. denunciata in rubrica.

In questo quadro più esattamente l’affermazione del tribunale, secondo cui il D.F. si era limitato a prospettare che l’avvocato Sprega non aveva “mai contestualizzato con apposito dettaglio (…) le prestazione effettivamente svolte” (cfr. sentenza d’appello, pag. 6), affermazione che indubbiamente svilisce l’idoneità di siffatta prospettazione difensiva, non appare corretta, siccome il committente – nella fattispecie, appunto, l’originario opponente – ben poteva limitarsi ad una contestazione di carattere generico.

In questo quadro altresì il rilievo del ricorrente, che evidentemente attinge il testè riferito passaggio motivazionale, secondo cui controparte, sebbene sollecitata, “non ha provato l’attività svolta nella fase c.d. stragiudiziale o meglio preparatoria per l’azione giudiziaria” (così ricorso, pag. 25), risulta corretto e meritevole di seguito.

Ben vero solo all’esito della dimostrazione da parte dell’avvocato Sprega delle attività specificamente svolte avrebbe potuto giustificarsi l’assunto del tribunale secondo cui spetta al debitore “provare che il pagamento sia stato eseguito con riferimento a quel determinato e specifico credito azionato” (così sentenza d’appello, pag. 6).

20. Va debitamente puntualizzato che il ricorrente ha, in sostanza, ab origine lamentato che, in applicazione della regola di cui all’art. 2697 c.c., “la controparte doveva provare l’attività svolta nella fase cd. stragiudiziale o meglio preparatoria per l’azione giudiziaria” (così ricorso, pag. 14), siccome già con l’iniziale opposizione aveva chiesto accertarsi e dichiararsi che non era dovuto il compenso per l’attività preparatoria dell’azione giudiziaria (cfr. controricorso, pag. 4). Indi ha reiterato la doglianza a pagina 6 dell’atto di appello, siccome, appunto, ne dà riflesso il tribunale (cfr. sentenza d’appello, pag. 6).

21. Ovviamente unicamente all’esito del puntuale riscontro, nel solco degli insegnamenti di questa Corte dapprima richiamati, delle attività svolte in fase stragiudiziale sarà possibile valutarne la connessione e la complementarità rispetto all’attività giudiziale all’uopo svolta (trattasi del profilo di censura veicolato in primo luogo dal primo motivo) e, conseguentemente, sarà possibile verificare se l’importo corrisposto remunera ogni pretesa (trattasi del profilo di censura veicolato dal secondo motivo).

22. In accoglimento – nei termini suindicati – del primo motivo di ricorso la sentenza n. 7915/2018 del Tribunale di Roma va cassata con rinvio allo stesso tribunale in persona di diverso magistrato anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

All’enunciazione – in ossequio alla previsione dell’art. 384 c.p.c., comma 1 – del principio di diritto – al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio – può farsi luogo per relationem, nei medesimi termini espressi dalle massime desunte dagli insegnamenti di questa Corte n. 10150/2003, n. 14556/2004 e n. 230/2016 dapprima citati.

23. In dipendenza del buon esito del ricorso non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del citato D.P.R., comma 13, comma 1-bis del citato D.P.R., art. 13.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza n. 7915/2018 del Tribunale di Roma e rinvia allo stesso tribunale in persona di diverso magistrato anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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