Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10180 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10180 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 19012 —2008 R.G. proposto da:
CALCULLI MARIA BRUNA — c.f. CLCMBR26L47F052Y – rappresentata e difesa, in virtù
di procura speciale a margine del ricorso, dall’avvocato Domenico Padula, unitamente al
quale elettivamente domicilia in Roma, alla via Nomentana, n. 295, presso lo studio
dell’avvocato Carla Olivieri.
RICORRENTE
contro
OLI VIERI GIOVANNI
INTIMATO
e
OLI VIERI ANNA MARIA BRUNA
INTIMATA
e
OLI VIERI IMMACOLATA ANTONIA
1

4 zN

Data pubblicazione: 09/05/2014

INTIMATA
Avverso la sentenza n. 260 dei 18.7/1.8.2007 della corte d’appello di Potenza,
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 6 febbraio 2014 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
Udito l’avvocato Domenico Padula per la ricorrente,

che ha concluso per il rigetto del ricorso,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto in data 15.5.1989 Anna Maria Bruna Olivieri ed Immacolata Antonia Olivieri
citavano a comparire innanzi al tribunale di Matera Maria Bruna Calculli.
Chiedevano la condanna della convenuta alla rimozione di un gabbiotto da costei
realizzato sul terrazzo di sua esclusiva proprietà nondimeno sovrastante l’immobile di
proprietà delle attrici, alla rimozione di tubi idrici e cavi elettrici posti lungo le pareti
perimetrali dell’edificio che le medesime attrici assumevano di loro unica spettanza, alla
rimozione del contatore del gas allocato in una nicchia ricavata in un muro che parimenti
Anna Maria Bruna ed Immacolata Antonia Olivieri reputavano di loro esclusiva proprietà.
Con lo stesso atto di citazione Giovanni Olivieri chiedeva la condanna di Maria Bruna
Calculli alla rimozione di uno stenditoio collocato sul parapetto esterno della terrazza di
esclusiva spettanza della convenuta; ché in tal guisa – deduceva l’attore – era insorta una
illegittima servitù di stillicidio a carico del suo fondo.
Costituitasi, Maria Bruna Calculli si doleva, in rito, giacché l’avversa iniziativa aveva dato
luogo ad un’ipotesi abnorme di litisconsorzio, instava, nel merito, per il rigetto delle avverse
domande, chiedeva, in via riconvenzionale, nei confronti di Giovanni Olivieri, dichiararsi
l’intervenuto acquisto per usucapione della servitù di stillicido o sciorinamento di panni a

6Aok

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Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Lucio Capasso,

vantaggio del terrazzo di sua proprietà ed a carico del suolo di proprietà dell’attore,
individuato quale fondo servente.
Con sentenza n. 904/2003 il tribunale di Matera, respinta l’eccezione preliminare di rito,
rigettava le domande formulate da Anna Maria Bruna ed Immacolata Antonia Olivieri,
accoglieva la domanda proposta da Giovanni Olivieri, respingeva la domanda riconvenzionale

Avverso tale sentenza, limitatamente ai capi rispetto ai quali era risultata soccombente,
interponeva appello Maria Bruna Calculli.
Si costituivano Anna Maria Bruna ed Immacolata Antonia Olivieri; domandavano il
rigetto dell’avverso gravame ed, in via incidentale, in riforma della sentenza di primo grado,
l’accoglimento delle domande esperite in prime cure.
Si costituiva Giovanni Olivieri, del pari instando per il rigetto dell’avverso gravame ed, in
via incidentale, per la riforma delle statuizioni in punto di spese della prima sentenza.
In sede di precisazione delle conclusioni Maria Bruna Calculli deduceva l’avvenuto
acquisto della servitù di stillicidio anche ai sensi dell’art. 1062 c.c..
Con sentenza n. 260/2007 la corte d’appello di Potenza rigettava l’appello proposto da
Maria Bruna Calculli, rigettava l’appello incidentale proposto da Giovanni Olivieri, faceva
ordine, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da Anna Maria Bruna ed
Immacolata Antonia Olivieri, alla “Calculli di rimuovere il contatore del suo impianto a gas
attualmente allocato in una nicchia ricavata all’interno del parapetto del lastrico solare di
proprietà delle Olivieri medesime” (così sentenza d’appello, pagg. 8 — 9), confermava nel
resto l’impugnata sentenza e compensava integralmente tra le parti le spese del grado.
In particolare — e tra l’altro – la corte territoriale opinava, in ordine al primo motivo
dell’appello principale, concernente il rigetto dell’eccezione preliminare di rito, per la sua
inammissibilità, giacché privo di specificità, in ordine al secondo motivo dell’appello
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spiegata da Maria Bruna Calculli.

principale, per l’intervenuta decadenza dell’appellante principale “dall’ulteriore prova
testimoniale chiesta nell’atto di impugnazione e relativa alla pretesa usucapione della servitù
di stillicidio” (così sentenza d’appello, pag. 5); reputava, inoltre, che “le altre prove acquisite
agli atti non bastano a dimostrare l’invocato acquisto a titolo originario della servitù di
stillicidio” (così sentenza d’appello, pag. 5); che “non giova a tal fine l’atto del 27.3.1963 per

una servitù di stillicidio, che neppure può ritenersi implicitamente richiamata nel mero
generico riferimento di stile alla cessione della proprietà ” (così sentenza d’appello, pag. 5); riteneva, infine, in ordine agli appelli incidentali
proposti da Anna Maria Bruna ed Immacolata Antonia Olivieri, che è “di proprietà delle
Olivieri il tratto di parapetto in cui risulta allocato il contatore del gas della Calculli (v.
planimetria allegata alla relazione di c.t.u.), mentre è di proprietà della Calculli il tratto di
parapetto che protegge il lastrico solare di sua proprietà” (così sentenza d’appello, pag. 8);
che “per l’effetto… alla Calculli va ordinato di rimuovere il contatore del suo impianto a gas,
affinché.., lo collochi in un tratto di parapetto di sua proprietà …”.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Maria Bruna Calculli, chiedendone, sulla scorta
di sette motivi, la cassazione; con i conseguenti provvedimenti in ordine alle spese.
Gli intimati non hanno svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 4), c.p.c. la
violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c..
All’uopo adduce che in primo grado gli intimati Olivieri hanno citato in giudizio ella
ricorrente mercé la cumulativa proposizione di domande per nulla connesse; che,
contrariamente a quanto opinato sul punto dal secondo giudice, la specificità del motivo di

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notar Arleo, essendo la servitù di passaggio cosa del tutto distinta e per nulla… connessa ad

gravame è patente alla stregua dell’evidente violazione degli artt. 103 e 104 c.p.c. e del
complessivo tenore dell’atto di appello.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 1° co., nn. 3) e 4), c.p.c.
la violazione e falsa applicazione degli artt. 103 e 104 c.p.c. e 111 Cost..
All’uopo adduce che in prime cure il rapporto processuale è insorto anche in spregio alle

111 Cost., il giudice deve disporre la separazione delle cause allorché il contraddittorio non si
svolga tra le “giuste parti”; propriamente, “in assenza di connessione, il doversi difendere in
uno stesso giudizio contro più parti ed in relazione a domande sicuramente eterogenee è
senz’altro per il convenuto maggiormente gravoso e rende meno concreto l’esercizio del
diritto di difesa” (così ricorso, pag. 10).
Con il terzo motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 5), c.p.c. il vizio di
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
All’uopo adduce che la valutazione operata dalla corte distrettuale delle risultanze delle
prove testimoniali assunte in prime cure è palesemente lacunosa e contraddittoria; “la Corte di
Appello, infatti, dichiara tutte le deposizioni inattendibili e non motiva affatto sulla
prevalenza dell’una sull’altra, giungendo ad un giudizio di reciproca elisione.., e comunque
tale da non consentire il processo logico — giuridico posto a base della decisione…” (così
ricorso, pag. 15).
Con il quarto motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 10 co., nn. 3) e 4), c.p.c. la
violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1143 c.c..
All’uopo adduce che la valutazione degli esiti istruttori, quale effettuata dalla corte
potentina, è in ogni caso smentita dal complesso delle risultanze probatorie; che “risultava
positivamente provata negli atti di causa una pratica di sciorinamento di panni, del resto

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regole del “giusto processo” ex art. 111 Cost.; che, in dipendenza dei principi di cui all’art.

usuale in un terrazzo” (così ricorso, pag. 17); che “tale pratica era — quanto meno – in atto nel
1980” (così ricorso, pag. 17); che, d’altro canto, ella ricorrente ha avuto il possesso del
terrazzo sin dal 27.6.1963, epoca in cui ne è divenuta proprietaria con tutte le servitù attive e
passive, sicché, avendo titolo per possedere anche la servitù di sciorinamento, tale possesso
non può che risalire, ex art. 1143 c.c., alla data del titolo; che, al contempo, in considerazione

“con tutte le servitù attive e passive” inserita nel proprio titolo d’acquisto sia di mero stile.
Con il quinto motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 3), c.p.c. la
violazione dell’art. 1062 c.c..
All’uopo adduce che “la decisione della corte d’appello potentina si fonda su una errata
interpretazione dell’art. 1062 c.c. che prevede una ipotesi di acquisto a titolo originario del
diritto di servitù che opera ipso jure al verificarsi delle condizioni indicate dalla norma, senza
che vi sia necessità di provare un uso ininterrotto successivo al sorgere del diritto, come
invece la Corte potentina ha affermato” (così ricorso, pag. 21).
Con il sesto motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 3), c.p.c. la
violazione dell’art. 1117 c.c.; ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c. il vizio di omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
All’uopo adduce che, contrariamente a quanto assunto dalla corte di merito e siccome
evincesi dalla relazione di c.t.u., i contatori del gas sono allocati in una nicchia ricavata nel
muro comune, non già di esclusiva proprietà delle Olivieri; che, d’altronde, allorché ha
respinto le ulteriori istanze volte alla rimozione dei tubi idrici e dei cavi elettrici, di cui
all’appello incidentale delle medesime Olivieri, il secondo giudice ha statuito in forma
evidentemente contraddittoria “in presenza della prova positiva che i muri e la nicchia per i
contatori interessano il medesimo muro perimetrale” (così ricorso, pagg. 24 e 25).
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degli acquisiti complessivi riscontri probatori, non vi è margine per assumere che la clausola

Con il settimo motivo la ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3), c.p.c. la
violazione dell’art. 1064 c.c.; ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c. il vizio di omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
All’uopo adduce che il muro perimetrale è da reputar comune “se di esso si prende in

più proprietari” (così ricorso, pag. 26); che, inoltre, la porzione di terrazzo di proprietà
esclusiva delle germane Olivieri è gravata da servitù di passaggio in favore della porzione di
terrazzo di ella ricorrente, sicché “il diritto di passaggio sulla porzione di terrazzo larga un
metro lungo il muro perimetrale… comprende ai sensi dell’art. 1064 c.c. ivi compreso, quindi,.., il parapetto che consente il passaggio senza
pericolo di caduta” (così ricorso, pag. 26).
Il primo ed il secondo motivo di ricorso risultano intimamente connessi; se ne accredita,
pertanto, la contestuale disamina.
In ogni caso ambedue i motivi sono destituiti di fondamento.
Invero la proposizione da parte di Anna Maria Bruna ed Immacolata Antonia Olivieri e da
parte di Giovanni Olivieri con un unico atto di citazione delle istanze che, rispettivamente, le
une e l’altro hanno esperito nei confronti di Maria Bruna Calculli ben può essere ricondotta,
ed in tal guisa appieno si legittima, alla previsione della seconda parte del 1° co. dell’art. 103
c.p.c., ove — è noto — è contemplato il litisconsorzio facoltativo cosiddetto improprio,
litisconsorzio che si configura allorché più cause presentino in comune, anche solo in parte,
qualche questione, la cui soluzione sia necessaria per la decisione (cfr. Cass. 18.6.1975, n.

2446, ove si soggiunge che le parti, come possono promuovere il giudizio con un unico atto di
citazione, così possono validamente appellare con un unico atto di gravame avverso la
sentenza di primo grado).
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considerazione la sua funzione di parapetto a servizio dell’intero terrazzo, sebbene diviso tra

In questi termini è ben evidente che le domande delle une e dell’altro presentavano
significativi profili di comunanza, segnatamente il riscontro della proprietà esclusiva ovvero
comune di pareti murarie ed, in ogni caso, afferivano al medesimo complesso immobiliare al
cui contesto le delibande vicende litigiose, appunto, si iscrivevano.
In questi termini, inoltre, del tutto ingiustificato è il riferimento alle prioritarie esigenze

Risultano del pari strettamente connessi il terzo ed il quarto motivo di ricorso, sicché se ne
reputa opportuno l’esame contestuale.
Più esattamente, ed al di là dell’asserita violazione dell’art. 1143 c.c., pur il quarto motivo
si qualifica in relazione alla previsione del n. 5) del 1° co. dell’art. 360 c.p.c..
Invero, da un canto, col motivo de quo, Maria Bruna Calculli censura sostanzialmente il
giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso, dall’altro, è propriamente il motivo di
ricorso ex art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c. che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti
rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054;
cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).
Sia l’uno che l’altro motivo sono, comunque, immeritevoli di seguito.
Si osserva, in primo luogo, che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza
impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo
della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del
proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così,
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
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consacrate al 2° co. dell’art. 111 della Carta fondamentale.

tassativamente previsti dalla legge; ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il
profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente
dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia
evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato
dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le

procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477;
Cass. 7.6.2005, n. 11789).
Si osserva, in secondo luogo, che, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito
non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare
singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli,
dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo
convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni,
implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr.
Cass. 10.5.2000, n. 6023).
All’insegna dei rilievi premessi si evidenzia nella fattispecie che, allorquando, ha opinato
nel senso le “altre prove acquisite agli atti non bastano a dimostrare l’invocato acquisto a
titolo originario della servitù di stillicidio” (così sentenza d’appello, pag. 5), la corte
distrettuale ha senz’altro ancorato tale suo dictum a motivazione ampia, articolata, congrua e
coerente.
In particolare, allorquando ha ritenuto che “la prova testimoniale assunta in prime cure ha
dato esiti contraddittori” (così sentenza d’appello, pag. 6), evidenziando che “mentre le testi
indotte dalla Calculli… hanno parlato d’una situazione di esercizio del possesso della servitù
sin dagli inizi degli anni ’60…, i testi indotti dall’altra parte… (dirimpettai rispetto all’edificio
delle odierne parti in causa), hanno riferito con esattezza che solo nel 1980 la Calculli

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argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del

avrebbe teso il filo (che prima non esisteva) per lo stenditoio dei panni che dà sul suolo
sottostante…” (così sentenza d’appello, pag. 6), la corte di merito ha, siccome è sua
prerogativa, debitamente scrutinato e congruamente e coerentemente vagliato le risultanze
probatorie a suo giudizio idonee a fondare il proprio convincimento.
E ciò tanto più giacché la corte distrettuale ha avuto cura di rimarcare, per un verso, la

con particolare precisione temporale di circostanze di fatto di marginale importanza, e, per
altro verso, dell’indubbio coinvolgimento emotivo dei familiari della Calculli, da costei
addotti quali testi.
In alcun modo si configura l’asserita violazione dell’art. 1143 c.c..
E’ sufficiente al riguardo sottolineare che l’acquisto sin dal 27.6.1963 della proprietà e,
dunque, del possesso del terrazzo non vale di per sé a dar ragione del compimento di atti
idonei a fondar il possesso ad usucapionem della servitù di stillicidio (si tenga conto,

peraltro, che la norma dell ‘art. 1143 c.c., secondo cui quando il possessore attuale vanti un
titolo a fondamento del suo possesso si presume che esso abbia posseduto dalla data del
titolo, è ispirata alla considerazione che normalmente l’acquisto della proprietà o di un
diritto reale in base ad un titolo comporta anche l’acquisto del possesso, tal ché non è dettata
per l’usucapione ventennale perché in relazione a questo istituto la sussistenza del titolo a
fondamento del possesso non avrebbe alcun significato, non avendo il possessore munito di
titolo concretamente idoneo (e, quindi, valido) alcuna necessità di invocare l ‘usucapione ai
fini della prova del dominio o di altro diritto reale: cfr. in tal senso Cass. 28.8.1993, n. 9134).
Siccome ha correttamente affermato il secondo giudice, assolutamente inidonea a fondar
l’acquisto della servitù di stillicidio, in quanto del tutto generica, è la clausola “con tutte le

servitù attive e passive” inserita nell’atto in data 27.6.1963, con cui Maria Bruna Calculli ebbe
ad acquistare il terrazzo.
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scarsa attendibilità delle deposizioni rese dai testi escussi, allorché costoro hanno dato conto

Al riguardo è bastevole reiterare l’insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo
cui, ai fini della costituzione negoziale di una servitù, sebbene non sia necessario che l’atto
contenga una manifestazione espressa della volontà delle parti di porre in essere siffatto
diritto, occorre, tuttavia, che la costituzione di esso possa desumersi da tutti gli elementi atti a
dimostrare, senza alcun margine di incertezza, il reale intento delle parti contraenti, quali

costituenti il contenuto della servitù e la determinazione della estensione e delle modalità di
esercizio di questa, in relazione alla ubicazione ed alla consistenza dei due fondi ed alle
esigenze del fondo dominante (cfr. Cass. 9.5.1977, n. 1794).
Il quinto motivo è inammissibile.
Si premette, al riguardo, che la corte potentina ha opinato nel senso che “la destinazione…
ex art. 1062 c.c. presuppone pur sempre che lo stato delle cose sia rimasto immutato rispetto
al tempo in cui i due fondi erano posseduti dal medesimo proprietario, circostanza che invece
è contestata e sulla quale… la prova testimoniale ha dato esiti contraddittori” (così sentenza

d’appello, pag. 6).
In questi termini il motivo di doglianza per nulla si correla alla ratio decidendi (cfr. Cass.

17.7.2007, n. 15952, secondo cui i motivi fondanti il ricorso per cassazione devono
connotarsi, a pena di inammissibilità, in conformità ai requisiti della specificità, completezza
e rifèribilità alla decisione impugnata).
Invero, Maria Bruna Calculli avrebbe dovuto censurare la seconda statuizione dando
conto specificamente delle risultanze istruttorie idonee a dimostrare la immutata
conformazione e consistenza dello stato dei luoghi rispetto al tempo del possesso
dell’originario unico proprietario.
Strettamente connessi sono altresì il sesto ed il settimo motivo di ricorso.
Analogamente, quindi, si prospetta l’opportunità di attendere alla loro congiunta disamina.
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l’indicazione del fondo servente e di quello dominante, nonché del peso e della utilitas

Ambedue i motivi, in ogni caso, sono immeritevoli di seguito.
Si premette che dal medesimo ricorso si evince, per un verso, che i tubi idrici e cavi
elettrici sono posizionati sulla parte esterna delle pareti perimetrali, segnatamente sul lato
esterno del parapetto del terrazzo, per altro verso, che il contatore del gas è allocato sul lato
interno dello stesso parapetto (cfr. ricorso, pag. 23, ove è riferimento alla relazione di

Si premette, inoltre, che la corte potentina ha affermato che i “parapetti, ex art. 1126
c.c.,… servono non già alla copertura dell’edificio, ma alla mera praticabilità della terrazza…,
di guisa che sono di proprietà del proprietario del lastrico solare…” (così sentenza d’appello,

pag. 8).
Del resto, la funzione della terrazza, quale accessorio rispetto all’alloggio posto allo stesso
livello, prevale su quella di copertura dell’appartamento sottostante e, se dal titolo non risulta
il contrario, la terrazza medesima deve ritenersi appartenente al proprietario del contiguo
alloggio, di cui strutturalmente e funzionalmente è parte integrante (cfr. in tal senso Cass.

18.8.1990, n. 8394).
Costituisce, pertanto, esatto ed ineccepibile corollario quello per cui i parapetti, recte il
lato interno dei parapetti, della terrazza a livello, giacché destinati ad assicurare la praticabilità
della terrazza, sono di proprietà del proprietario esclusivo della medesima terrazza (siccome la

corte di merito ha debitamente posto in risalto, questa Corte di legittimità specifica che sono
a carico esclusivo del proprietario della terrazza a livello le spese per il rifacimento dei
parapetti o di altri simili ripari, in quanto, appunto, essi servono alla praticabilità della
terrazza: cfr. Cass. 1.12.2000, n. 15389).
Orbene, nella fattispecie, è fuor di contestazione che il contatore del gas è posizionato sul
lato interno del tratto di parapetto che delimita la terrazza a livello di proprietà di Anna Maria
Bruna ed Immacolata Antonia Olivieri. Dal che ne discende che appieno si giustifica il

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consulenza tecnica).

parziale accoglimento da parte del secondo giudice dell’appello incidentale delle germane
Olivieri e, quindi, l’ordine rivolto alla Calculli di rimozione del contatore del gas.
E’ appena il caso di aggiungere, da ultimo, che l’estensione, ex art. 1064, 1° co., c.c., della
servitù di passaggio a tutto ciò che necessita per il suo esercizio, nella specie, per il suo
esercizio sicuro e scevro da rischi, giammai può legittimare la collocazione del contatore

passaggio di cui fruisce, pur dilatata, quest’ultima, nella sua proiezione operativa alla stregua
del 1° co. dell’art. 1064 c.c., non vi è, all’evidenza, alcuna attinenza.
Le parti intimate non hanno svolto difese. Pertanto, nonostante il rigetto del ricorso,
nessuna statuizione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

nell’aliena proprietà: tra la prerogativa che la Calculli intende far valere e la servitù di

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