Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10179 del 21/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/04/2017, (ud. 23/02/2017, dep.21/04/2017),  n. 10179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14868/2015 proposto da:

N.M. e N.L. in proprio e quali legali

rappresentanti del RISTORANTE HOTEL “GABBIANO” SNC, elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi all’avvocato GIANFRANCO BUCCINO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI FOGGIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1027/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 26/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/02/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 26 giugno 2014, la Corte di Appello di Bari, confermando la decisione del Tribunale di Foggia, rigettava l’opposizione proposta da N.M. e N.L. -quali legali rappresentanti della società “Hotel Gabbiano” s.n.c. avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 90/99 emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Foggia con la quale era stato intimato loro il pagamento della complessiva somma di Lire 11.627.200 per una serie di infrazioni commesse nella indicata qualità in relazione a rapporti di lavoro instaurati con taluni dipendenti con la detta società;

che, ad avviso della Corte territoriale, correttamente il primo giudice aveva ritenuto le dichiarazioni rese dai lavoratori all’ispettore del lavoro – rispondendo a chiari ed elementari quesiti non suscettibili di fraintendimenti e sulla cui scorta erano state contestate le violazioni poste a fondamento della sanzione irrogata – genuine e non inficiate dalle successive ritrattazioni e smentite degli stessi lavoratori che, escussi come testi, non erano stati in grado di giustificare la radicale differenza tra quanto dichiarato in sede ispettiva e quanto affermato successivamente;

che per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso N.M. e L. affidato a tre motivi;

che la Direzione Provinciale del Lavoro di Foggia è rimasta intimata;

che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., in cui vengono ribadite le argomentazioni di cui ai motivi di ricorso;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che: con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in quanto erroneamente la Corte di appello aveva dato rilevanza al contenuto dei verbali ispettivi rispetto alle risultanze delle deposizioni testimoniali dal momento che uno dei testi escussi aveva precisato che al momento dell’ispezione non era a conoscenza della qualità degli ispettori ragion per cui non era priva di giustificazione la circostanza che le risposte rese in sede ispettiva dai lavoratori fossero state date in maniera imprecisa e superficiale; con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per avere il giudice del gravame trascurato di considerare che l’onere di dimostrare la sussistenza dei rapporti di lavoro subordinato gravava sull’INPS; con il terzo motivo si deduce omessa motivazione riguardo ad un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) non avendo la Corte di appello indicato le ragioni per le quali non aveva tenuto in alcuna considerazione la testimonianza di C.V., soggetto estraneo ai rapporti di lavoro, che aveva confermato le circostanze di cui alle deposizioni testimoniali rese dai lavoratori;

che i primi due motivi, da trattare congiuntamente perchè logicamente connessi, sono inammissibili in quanto una violazione o falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, non può dipendere o essere in qualche modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale probatorio; al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; – abbia invertito gli oneri probatori; orbene, poichè, in realtà, nessuna di tali situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste; ed infatti, la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito ragione per cui la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;

che, del pari, inammissibile è terzo motivo in quanto non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, comma 1, n. 5, così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte (SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale, in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); invero non lamenta l’omesso esame di un fatto storico ma si risolve nella denuncia di una errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti che finisce con il con il sollecitare una nuova valutazione del merito della controversia, inammissibile in questa sede in quanto – come in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità – lo scrutinio delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);

che, alla luce di quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che non si provvede in ordine alle spese del presente giudizio essendo il Ministero rimasto intimato;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso, nulla per le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il23 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2017

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