Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10176 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. I, 28/05/2020, (ud. 19/06/2019, dep. 28/05/2020), n.10176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23606/2018 proposto da:

M.M., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Giacci,

presso il cui studio in Termoli, alla Via M. Pagano n. 15, è

elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 643/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/06/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Bari ha rigettato il ricorso proposto da M.M., nato in (OMISSIS), avverso la decisione della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari con la quale era stato negato allo stesso il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Avverso tale decisione M.M. ha proposto appello.

L’appellante aveva dedotto di essere nato e vissuto nel villaggio di (OMISSIS), di essere musulmano di etnia (OMISSIS), di essere orfano di entrambi i genitori e di avere una sorella. Aveva lasciato il Senegal dopo le elezioni del 2012, in cui suo nonno era stato eletto capo del villaggio, poichè suo padre era rimasto ucciso da tale A. durante una rissa seguita alle elezioni il cui risultato non era stato accettato dall’avversario di suo nonno. L’omicida era stato arrestato dalla polizia secondo le prime dichiarazioni di M.M., a distanza di due mesi dalla sua denuncia secondo una versione fornita in un secondo momento. Egli era poi fuggito dal Senegal per timore di ritorsioni da parte dei familiari dell’ A..

2. La Corte d’appello di Bari ha rigettato il gravame. A sostegno della propria decisione, il giudice di secondo grado ha rilevato la inverosimiglianza e scarsa credibilità delle situazioni esposte dal richiedente, con conseguente mancanza di un racconto di persecuzione credibile. Comunque – ha osservato la Corte di merito – il richiedente, rientrando nel suo Paese, potrebbe ottenere protezione dallo Stato, come si evince dal rapporto 2017 di Freedom House dal quale risulta che in Senegal si è affermata una delle democrazie più stabili dell’Africa. La Corte ha confermato altresì il diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non versandosi in ipotesi riconducibile ai “seri motivi” di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la non sussistenza di esigenze di carattere umanitario, in assenza di allegazione di parte. Nè alcun rilievo potrebbe attribuirsi alla sola circostanza dell’apprendimento della lingua italiana da parte del richiedente.

2. – Per la cassazione di tale sentenza M.M. propone ricorso sulla base di due motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce “nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su di un motivo di gravame in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione e falsa applicazione della L. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè dell’art. 32 medesimo testo normativo, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14, nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 25 e vizio di motivazione in ordine alla mancata attivazione dei doveri informativi officiosi”. Il rigetto delle istanze del richiedente sarebbe stato fondato esclusivamente sulla ritenuta non veridicità del racconto dello stesso e comunque sulla ritenuta non riconducibilità dei fatti esposti alle condizioni previste dalla legge per il riconoscimento della protezione internazionale. La Corte di merito avrebbe quindi omesso, in presenza della denuncia di reiterata esposizione ad attentati alla vita, di intervenuta uccisione di un familiare, e di sostanziale disinteresse delle autorità statuali ad ogni forma di soluzione violenta di liti private, ogni verifica della sussistenza nel Paese di provenienza del richiedente di una situazione caratterizzata da endemica violenza interna e mancato contrasto della diffusione di tali metodi da parte dei poteri statuali. Tale accertamento aveva carattere doveroso, sia ai fini della verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sia per la valutazione della esistenza di una situazione di vulnerabilità meritevole di protezione umanitaria.

2.- La censura è inammissibile.

Il ricorrente, al di là della generica invocazione dei parametri normativi cui si correla la verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale nelle sue diverse forme, non rivolge alla sentenza impugnata censure specifiche che vadano oltre la mera denuncia, vuota di concreti contenuti, di fenomeni di violenza e di inefficacia dei poteri statuali di contrasto di tali fenomeni.

Peraltro, la Corte di merito, dopo avere dettagliatamente riferito sulle ragioni di non credibilità del racconto del richiedente (ravvisate nella contraddittorietà delle dichiarazioni dello stesso con riguardo alla data del decesso del padre, indicata nell’agosto del 2012, mentre le elezioni che avrebbero portato all’omicidio si erano svolte quattro mesi dopo, e con riguardo all’arresto dell’omicida, temporalmente collocato nelle prime dichiarazioni alla immediatezza del fatto, e, nel racconto successivo, a due mesi dopo la denuncia da parte dello stesso richiedente), si è fatta carico dell’esame della situazione del Senegal, citando le fonti ufficiali delle informazioni acquisite rapporto 2017 di Freedom House – dalle quali emerge che in tale Paese si è affermata una delle più stabili democrazie dell’Africa, giungendo per tale inappuntabile via alla conclusione che sarebbe comunque irrilevante il racconto di M.M. ai fini del riconoscimento delle misure richieste, avuto riguardo alla possibilità dello stesso di ottenere protezione dallo Stato in caso di rientro, tanto più che l’assassino del padre è stato arrestato.

3. – Con il secondo motivo del ricorso si lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Avrebbe errato la Corte territoriale nel negare al richiedente il riconoscimento della protezione umanitaria senza considerare che il rientro dello stesso nel suo Paese di origine avrebbe segnato la brusca interruzione dell’intrapreso percorso di conquista di una vita normale e di un ritorno ad una dimensione sociale e culturale intollerabilmente penalizzante, oltre che la compromissione di diritti fondamentali ed inviolabili. Sarebbe completamente mancato da parte della Corte territoriale l’esame della sussistenza dei requisiti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4.- Anche tale doglianza è inammissibile per genericità. Ed infatti, a fronte dell’argomentato, e corretto in punto di diritto, rigetto della istanza, fondato, da un lato, sulla mancata allegazione di alcuna particolare vulnerabilità del richiedente e sulla irrilevanza ex se della circostanza dell’apprendimento della lingua italiana da parte dello stesso, dall’altro sulla inesistenza di una situazione di violazione dei diritti umani in Senegal, il ricorrente non ha saputo opporre alcuna censura specifica, limitandosi ad una generica evocazione di una grave, ma non dimostrata, situazione politica di quel Paese, tale da compromettere una condizione di vita dignitosa.

5. – In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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