Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10176 del 10/05/2011

Cassazione civile sez. un., 10/05/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 10/05/2011), n.10176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. DE LUCA Michele – Presidente di sezione –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Luigi – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29493/2010 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

U.M.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PORTUENSE

104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS, rappresentata

e difesa dall’avvocato CARIOLA Agatino, per procura speciale del

notaio Carlo Zimbone di Acireale, rep. 5950 del 25/03/2011, in atti;

– resistente con procura –

avverso la sentenza n. 162/2010 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 04/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato Agatino CARIOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Dr.ssa U.M. è stata sottoposta a procedimento disciplinare – su iniziativa del Ministro della giustizia – perchè ritenuta responsabile della violazione prevista dal R.D. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 e dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q). E’ stato addebitato alla Dr.ssa U. – all’esito della verifica ispettiva eseguita dal 15.1.2008 all’8.3.2008 negli uffici giudiziari di Catania e delle sezioni distaccate di Acireale, Adrano, Belpasso, Bronte, Giarre, Mascalucia e Paterno – di essere incorsa, nel periodo dal 19.11.2002 al 14.1.2008, in gravi ed ingiustificati ritardi nel deposito di 48 sentenze civili monocratiche e di 260 sentenze penali monocratiche assunte presso la sezione disataccata di Acireale, di 38 sentenze penali monocratiche presso la sezione distaccata di Bronte, e di 11 sentenze penali monocratiche, trattenute in decisione presso la sezione distaccata di Giarre.

I ritardi, con riferimento alle sentenze civili, hanno superato 1 anno in un caso (gg. 386), 6 mesi in 39 casi e, comunque, 90 giorni in tutti i residui casi.

Le sentenze penali hanno oltrepassato 1 anno in sei casi (fino ad un massimo di gg. 440) e 6 mesi in 91 casi.

Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto la dichiarazione di non luogo a procedere per essere rimasto escluso l’addebito.

Su richiesta del Ministro della giustizia, è stata fissata l’udienza pubblica di discussione.

All’esito, la competente Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, con sentenza pronunciata in data 8.10.2010 e depositata il 4.11.2010, ha assolto il magistrato affermando che i ritardi contestati, pur reiterati e gravi, erano, però, giustificati, considerando l’arco temporale in contestazione, durante il quale l’incolpata era stata impegnata in udienza a giorni alterni, avendo tenuto in media 140 udienze per anno, con il conseguente ed aggiuntivo impegno di preparazione delle udienze stesse, così da non potere negare un’incidenza causale specifica sulla violazione dei termini di deposito dei provvedimenti in discussione.

Per la cassazione della sentenza ricorre il Ministero della giustizia con atto affidato ad un motivo.

La dr.ssa U. ha depositato memoria difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dato atto che al caso in esame si applicano esclusivamente le disposizioni di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, in particolare l’art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q), trattandosi di condotte che, pur iniziate nella vigenza del R.D. 31 maggio 1946, n. 511 (art. 18), non sì sono esaurite in data anteriore al 19 giugno 2006 (data di entrata in vigore della nuova normativa), ma si sono protratte oltre tale data, senza alcuna possibilità di scissione, quanto all’apprezzamento della gravità del fatto, dell’unica condotta permanentemente lesiva dell’interesse tutelato (Sez. Un., 16 luglio 2009, n. 16557; conf. Sez. Un., 21.10.2010, n. 967).

Con unico motivo il Ministero ricorrente denuncia l’omessa, contraddittoria ed illogica motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. e). A tal fine rileva.

I requisiti della condotta disciplinarmente rilevante sono dati dalla reiterazione e dalla gravità, mentre la mancanza di giustificazione concerne le cause e le circostanze che li hanno determinati o che hanno concorso a determinarli.

La possibilità di giustificazione evoca l’istituito penalistico dell’inesigibilità, che sta ad indicare quella particolare situazione in cui il soggetto, per fatti indipendenti dalla propria volontà e non preventivabili, si trovi nell’impossibilità di ottemperare ad un determinato precetto normativo.

Sulla base di tali premesse – sostiene il Ministero ricorrente – non può dirsi sufficiente, per escludere l’addebito disciplinare, che il magistrato sia genericamente ritenuto laborioso, essendo necessario che sussistano circostanze che sfuggano al suo controllo e rivestano un’ incidenza specifica sui tempi di redazione dei provvedimenti, in modo tale da rendere inesigibile il tempestivo deposito.

La sentenza impugnata – si afferma nel ricorso – si è discostata da questi principii perchè, pur ravvisando correttamente la necessità di dare rilievo alle sole circostanze che “risultino in rapporto di causalità specifica con il ritardo”, ha omesso del tutto un riferimento al rapporto tra l’efficacia giustificante, nei limiti di ragionevolezza, di determinate circostanze e la condotta di ritardo.

Ha, infatti, richiamato esclusivamente il dato del numero delle udienze, di per sè non significativo, nè dell’effettivo carico di lavoro, nè della concreta incidenza sulla possibilità di depositare tempestivamente i provvedimenti.

Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono.

Questa Corte ha più volte affermato (tra le varie Sez. Un. 24 marzo 2010, n. 7000; 23 agosto 2007, n. 17919; 17 luglio 2004, n. 12875; 22 gennaio 2002, n. 2626; 12 maggio 2001, n. 195) che il ritardo nel deposito dei provvedimenti giudiziari, anche se sistematico, non può, da solo, integrare illecito disciplinare, essendo necessario verificare anche se esso sia ingiustificato, in relazione al carico di lavoro ed alla situazione personale del magistrato, con un giudizio che ricolleghi il ritardo ad un comportamento allo stesso ascrivibile, almeno a titolo di colpa.

Ha, però, anche ribadito che tale principio va coordinato con l’altro secondo il quale (Sez. Un. 23 dicembre 2009, n. 27290; 21 dicembre 2009, n. 26825; 23 agosto 2007, n. 17916; 4 ottobre 2005, n. 19347; 22 dicembre 2004, n. 23738) il comportamento del magistrato che ritardi il deposito dei provvedimenti in misura tale che, per quantità di casi ed entità dei ritardi, sia tale da violare la soglia della ragionevolezza, è di per sè espressione di una colpa, quanto meno in relazione ad un’ errata organizzazione del proprio lavoro, pur nell’ambito del complesso delle condizioni soggettive ed oggettive nelle quali il magistrato opera.

L’accertamento a tal fine compiuto dalla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha natura valutativa e si sottrae a censura, in sede di giudizio di legittimità, se la relativa motivazione non risulti incongrua o del tutto carente.

La decisione impugnata si sottrae alle censure in questa sede prospettate. La Sezione Disciplinare ha rilevato che il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. q), richiedono, per la configurazione dell’illecito disciplinare ivi previsto, la reiterazione e la gravità dei ritardi.

A tal fine, ha ritenuto che “nel caso in esame si tratta di ritardi reiterati, in quanto relativi a 48 sentenze civili e 309 sentenze penali; e certamente gravi, in quanto hanno superato talora un anno, in un caso per le sentenze civili e in sei casi per le sentenze penali”.

Ha, però, valutato che tali ritardi fossero giustificati, motivando come segue: “Tali ritardi risultano nondimeno giustificati, se si consideri che nell’arco di tempo in esame l’incolpata è stata impegnata in udienza a giorni alterni, avendo tenuto in media centoquaranta udienze per anno”.

Aggiungendo: “E un tale impegno, pressochè quotidiano, se si consideri il tempo di preparazione delle udienze, ha certamente un’incidenza causale specifica sulla violazione dei termini di deposito dei provvedimenti in discussione”.

La decisione in questa sede impugnata ha, quindi, ritenuto che il numero delle udienze tenute dal magistrato nell’arco di tempo considerato costituisse circostanza causalmente collegata al ritardo nel deposito dei provvedimenti in questione, tale da giustificarlo.

Ora, la censura che muove sul punto il Ministero ricorrente è che la Sezione disciplinare, con il richiamo esclusivo al dato del numero delle udienze, non abbia motivato sulla concreta incidenza di tale elemento sulla possibilità di depositare tempestivamente i provvedimenti.

La censura, però, non coglie nel segno.

Infatti, la Sezione disciplinare, indicando nell’elevato numero delle udienze – e nei conseguenti tempi di preparazione delle stesse – la causa giustificatrice specifica dei ritardi nei depositi, senza alcun riferimento all’organizzazione del lavoro del magistrato, ha dimostrato di ritenere che lo stesso non fosse in grado di governare diversamente il profilo della propria organizzazione lavorativa.

In tal modo, ha implicitamente escluso che il comportamento del magistrato potesse considerarsi, per quantità di casi ed entità dei ritardi, tale da violare la soglia della ragionevolezza, e, quindi, ascrivibile allo stesso, anche solo a titolo di colpa, per una errata gestione del proprio lavoro.

L’accertamento valutativo in tal modo condotto dalla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura – sulla base dei principii in precedenza enunciati – è stato, quindi, correttamente e congruamente motivato.

Il che esclude la sussistenza dei vizi lamentati.

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Sussistono giusti motivi per la compensazione, fra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2011

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