Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10175 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 28/04/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 28/04/2010), n.10175

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30281-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DON

MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 747/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/11/2005 R.G.N. 1940/04+1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 19.10 – 8.11.2005, in riforma della sentenza di prime cure, dichiarò, in relazione al contratto a termine concluso ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 per ragioni di carattere sostitutivo fra D.D. e la Poste Italiane spa e decorrente dal 13.9.2004, che fra le parti era in corso un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condannò la parte datoriale al ripristino del rapporto e a corrispondere le retribuzioni al lavoratore dalla data della messa in mora, detratto l’aliunde perceptum.

Per la cassazione di tale sentenza la Poste Italiane spa ha proposto ricorso fondato su quattro motivi e illustrato con memoria.

L’intimato D.D. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’intimato, come allegato da parte ricorrente, è stato assunto a termine, per il periodo 13 settembre – 30 ottobre 2004, con adibizione a mansioni di portalettere, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione di personale addetto al servizio di recapito presso la Regione; tale contratto è quindi disciplinato dal D.Lgs. n. 368 del 2001.

La sentenza impugnata ha accolto la domanda del lavoratore osservando che:

– la normativa applicabile, imponendo che le ragioni dell’assunzione a termine siano specificate formalmente nel contratto, esclude la possibilità di espressione generiche, così da consentire la verifica della corrispondenza della situazione di fatto all’enunciazione contrattuale;

– le esigenze di sostituzione erano state formulate in maniera generica;

– la documentazione prodotta e le prove orali dedotte non offrivano sufficienti ragguagli circa la corrispondenza tra il personale assente per vari motivi e quello assunto a termine, in quanto, oltre alla diversità della zona alla quale era stato effettivamente assegnato il lavoratore, difettava anche la coincidenza cronologica tra le assenze che sembravano essersi verificate in corso di rapporto e la funzione sostitutiva indicata;

– stante la nullità della clausola appositiva del termine, il contratto doveva ritenersi a tempo indeterminato.

2. La ricorrente, con il primo mezzo, denunciando violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, nonchè vizio di motivazione, osserva che:

– nel sistema delineato dalla predetta fonte normativa non è necessaria l’indicazione del nominativo del lavoratore sostituito;

– è stata eliminata la necessaria corrispondenza bi-univoca tra l’assunzione a termine e l’assenza di un singolo dipendente;

– erroneamente era stata ritenuta necessaria la specificazione delle esigenze sostitutive;

– le ragioni dell’assunzione a tempo determinato non dovevano rivestire carattere eccezionale o straordinario.

Premesso che, secondo quanto già ricordato, la sentenza impugnata non ha affermato che, ai fini della validità del termine, debba essere indicato il nome del lavoratore sostituito e che le ragioni dell’assunzione debbano rivestire carattere di eccezionalità o straordinarietà, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, ha già avuto modo di precisare che l’onere di specificazione della causale nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate, e ha lo scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto; il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti, proprio della previgente disciplina, impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate, ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato, e risente, dunque, di un certo grado di elasticità, che, in sede di controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza.

Con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, pertanto, il contratto a termine, se in una situazione aziendale elementare è configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa è configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta; in quest’ultimo caso, il requisito della specificità può così ritenersi soddisfatto non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che, per quella stessa funzione, si sono realizzate per il periodo dell’assunzione.

E’ stato pertanto enunciato il principio di diritto secondo cui l’apposizione del termine per ragioni sostitutive è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti, da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse, risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato (cfr, ex plurimis, Cass., n. 1576/2010).

La Corte territoriale non si è sostanzialmente discostata dal suddetto orientamento, cosicchè il motivo all’esame non può essere accolto.

3. Con il secondo mezzo la parte ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia preso in considerazione le prove documentali prodotte e il contenuto delle prove testimoniali offerte. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione venga dedotta l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parte, accertamenti del consulente tecnico) è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata, che il ricorrente precisi, ove occorra mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli assume decisiva e non valutata (o insufficientemente valutata), dato che, in ragione dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte di Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative; per le stesse ragioni, ove la doglianza concerna la mancata ammissione di una prova orale, il ricorrente ha l’onere di indicare in modo adeguato e specifico la prova non ammessa (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8388/2002; 1113/2006).

Il ricorso non soddisfa a tali requisiti, non essendo stati ivi trascritti il contenuto della documentazione che si assume mal valutata e il capitolato della prova orale non ammessa, onde il motivo all’esame va ritenuto inammissibile.

4. Con il terzo mezzo, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, la ricorrente, dedotta l’essenzialità del termine apposto al contratto de quo e l’applicabilità alla fattispecie del disposto dell’art. 1419 c.c., si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la nullità parziale del contratto stesso (limitata cioè alla clausola appositiva del termine) e non dell’intero contratto.

La censura non può esser accolta, avendo questa Corte già avuto modo di rilevare che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, cosicchè, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto) e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalle pronunce della Corte Costituzionale n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (cfr, Cass., n. 12985/2008).

5. Con il quarto mezzo la ricorrente, denunciando violazione di legge (artt. 1206 e ss., 1219, 2099 e 2697 c.c.; L. n. 230 del 1962, art. 1), nonchè vizio di motivazione, si duole che la Corte territoriale abbia dichiarato il diritto dell’odierno intimato al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora anzichè dal momento dell’effettiva ripresa del servizio e, comunque, solo quale corrispettivo della prestazione lavorativa.

La censura è da ritenersi infondata in base all’orientamento di questa Corte Suprema (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 14381/2002;

Cass n. 8903/2007), che, con riferimento all’analoga ipotesi della trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione dei termini o, comunque, dell’elusione delle disposizioni imperative della L. n. 230 del 1962, ha affermato che il dipendente che cessa l’esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla (in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione) qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c..

La censura si appalesa poi inammissibile, risolvendosi nella richiesta di un accertamento di fatto, laddove assume, invero genericamente, che la sentenza impugnata non avrebbe verificato se vi fosse stata effettivamente la costituzione in mora della parte datoriale.

6. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in Euro 18,00 oltre ad Euro 2.000,00 (duemila) per onorari ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

 

 

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