Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10173 del 21/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/04/2017, (ud. 20/01/2017, dep.21/04/2017),  n. 10173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18320-2016 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SARDEGNA 29,

presso lo studio dell’avvocato GIORGIO VASI, che lo rappresenta e

difende giusta mandato alle liti in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 798/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 18/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

depositata del 20/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE

CHIARA.

Fatto

RILEVATO

che:

il sig. S.M., cittadino del Mali, ricorse al Tribunale di Catanzaro avverso il diniego di protezione internazionale pronunciato dalla competente commissione territoriale;

dedusse che, rimasto da bambino orfano di padre, era stato affidato agli zii paterni, con i quali ben presto erano insorte violente contrapposizioni per motivi politici, essendo egli aderente al partito RPM e loro, invece, elettori dell’URD; poichè gli zii più volte lo avevano picchiato e minacciato, anche di morte, se non si fosse risolto a parteggiare per il partito da essi preferito, aveva alla fine deciso di fuggire dal suo paese;

il Tribunale accolse la domanda subordinata di riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

la Corte d’appello di Catanzaro, in accoglimento del gravame del Ministero dell’Interno, ha negato anche tale tipo di protezione osservando che, sulla base della stessa narrazione dell’appellato, non potevano ritenersene integrati i presupposti;

il sig. S. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi di censura, cui l’intimato Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto, sostiene che la situazione da lui descritta configuri una di quelle situazioni di particolare vulnerabilità cui la giurisprudenza di questa Corte ha fatto riferimento quali possibili presupposti del riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e lamenta, altresì, che la Corte d’appello non abbia correttamente valutato la credibilità del suo racconto secondo i criteri previsti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e non abbia ottemperato ai propri doveri di “cooperazione istruttoria” di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8;

la tesi del ricorrente è manifestamente infondata;

anzitutto, invero, il suo caso, per come da lui stesso riferito, non rientra in alcuna delle ipotesi di vulnerabilità indicate, sia pure a titolo esemplificativo, dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 26887/2013, richiamata dal ricorrente, menziona le persone affette da patologie gravi, le madri con figli minori, le persone impossibilitate ad autodeterminarsi anche nelle scelte più elementari nel proprio paese), nè presenta caratteri tali da poterlo assimilare ad essi;

inoltre, non può venire in considerazione la disciplina della verifica della credibilità del richiedente protezione, atteso che la Corte d’appello non ha posto in discussione la credibilità del ricorrente, ma ha deciso ipotizzando la veridicità del suo racconto;

nè, infine, è ammissibile la censura di violazione del dovere di accertamento della situazione in cui versa il paese di origine del ricorrente, basata su circostanze (sproporzionato uso della forza quale metodo usuale di risoluzione delle controversie familiari, in un contesto tribale e di carenza di tutela da parte dell’autorità di polizia; violazione del diritto al cibo, all’acqua, all’abitazione) mai dedotte nel giudizio di merito (o che comunque non si precisa, nel ricorso, essere state dedotte in quella sede);

il ricorso va pertanto rigettato;

le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese forfetarie nella misura del 15%, spese prenotate a debito e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2017

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