Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10172 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. I, 28/05/2020, (ud. 19/06/2019, dep. 28/05/2020), n.10172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21247/2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Archimede, 143,

presso lo studio dell’avvocato Patricelli Luigi che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Di Carlo Pietro;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 405/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 08/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/06/2019 da Dott. SAN GIORGIO MARIA ROSARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Bari ha rigettato il ricorso proposto da C.A., nato a (OMISSIS), avverso la decisione della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Foggia di rigetto della sua istanza di riconoscimento dello status di rifugiato, come di quella di protezione sussidiaria e di permesso di soggiorno per motivi umanitari. Avverso tale decisione C.A. ha proposto appello.

Il richiedente aveva dedotto che nel 2013 suo padre aveva scoperto che il fratello intratteneva una relazione con sua moglie, e, durante una colluttazione, lo aveva ferito mortalmente, fuggendo subito dopo. I suoi cugini lo avevano allora minacciato di ucciderlo o farlo arrestare in luogo del padre. A questo punto egli aveva lasciato il Mali, e, transitando per l’Algeria e la Libia, era giunto in Italia.

Sia la Commissione che il Tribunale hanno ritenuto che dal racconto del richiedente non emergesse alcuna delle ipotesi per la concessione di protezione internazionale.

2. La Corte d’appello di Bari ha rigettato il gravame. A sostegno della propria decisione, il giudice di secondo grado ha rilevato che C.A. non aveva fornito alcuna spiegazione della ragione per la quale temeva che le autorità del Paese di origine non potessero fornirgli protezione contro le minacce dei cugini, osservando che dalle fonti di informazione (in particolare il Report of the Secretary General on the situation in Mali, 28 September 2017, Un Security Council) non risultava che nel Sud del Mali fosse totalmente precluso l’accesso alla protezione dello Stato attraverso le forze di polizia e il sistema giudiziario.

La Corte ha altresì negato il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui del predetto D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), alla stregua del rilievo che la zona di provenienza dell’appellante non risulta caratterizzata da livelli di instabilità tali da potersi invocare, in assenza di un racconto individuale di pericolo, una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, nè tale da determinare un rischio effettivo di danno grave per l’intera popolazione. E nemmeno il richiedente presenta, secondo la Corte, caratteristiche specifiche tali da esporlo a rischio differenziato e qualificato.

La Corte ha altresì confermato il diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non versandosi in ipotesi riconducibile ai “seri motivi” di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la insussistenza di esigenze di carattere umanitario in assenza di allegazione di parte.

3. – Per la cassazione di tale sentenza C.A. propone ricorso sulla base di tre motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5, 6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27. Il giudice della protezione – osserva il ricorrente – non può fermarsi alla valutazione delle sole ragioni che hanno spinto lo straniero a lasciare il Paese di origine dovendo, al contrario, effettuare un esame dei fatti prospettati anche alla luce delle condizioni sociopolitiche generali del Paese. Secondo le fonti di informazione prodotte in giudizio l’intero territorio del Mali sarebbe da considerare ad altissimo rischio.

2.- Con il terzo motivo, da esaminare congiuntamente al primo siccome afferente alla medesima questione riguardata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la pronuncia è impugnata nella parte in cui ritiene non assolto dal ricorrente l’onere di allegazione su di lui gravante in relazione alla situazione di violenza indiscriminata nel Paese di origine.

3. – I motivi non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità. In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine del richiedente la protezione differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse nella presente sede (v. Cass., ord. n. 26728 del 2019).

Nella specie, il giudice di secondo grado non ha omesso di effettuare la doverosa verifica, ai fini dell’accertamento della sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria, della situazione del Paese di origine del richiedente. Al contrario, la Corte d’appello di Bari, all’esito della istruttoria compiuta – della quale ha dato conto attraverso l’esplicito riferimento, operato nella sentenza, al report del 2017 dell’UN Security Council – è pervenuta alla conclusione secondo la quale la zona di provenienza dell’appellante non risulta caratterizzata da livelli di instabilità tali da potersi invocare, in assenza di un racconto individuale di pericolo, una situazione di violenza indiscriminata da conflitto armato, nè tale da determinare un rischio effettivo di danno grave per l’intera popolazione.

A fronte di tale ricostruzione il ricorrente si limita a contrapporre alla fonte indicata dalla Corte territoriale una diversa fonte, ciò che impinge nel merito della valutazione operata dalla prima nell’esercizio della sua discrezionalità.

4.- Resta da esaminare il secondo motivo, relativo alla denunciata violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, per il mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria a causa della omessa considerazione di una situazione di particolare vulnerabilità in relazione alla condizione del Mali.

5.- Il motivo è privo di pregio.

La natura residuale ed atipica della protezione umanitaria, se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (v., ex aliis, Cass., ord. n. 21123 del 2019).

Nella specie, la Corte di merito ha correttamente escluso che potesse essere riconosciuta la protezione umanitaria per non essere stata allegata alcuna vicenda che evidenziasse una particolare vulnerabilità del richiedente in caso di rientro nel Paese di origine, al di là della denuncia della condizione generale del Paese medesimo, non condivisa dalla Corte per quanto già riferito in sede di esame della prima e della terza censura.

6.- In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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