Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10172 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10172 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA

3

sul ricorso 24919-2009 proposto da:
VINCI FRANCESCO VNCFNC19E29H432Q, ZARATTI MARIA
TERESA VNCMTA18S45H432C, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA MARINO GHETALDI 33, presso lo studio
dell’avvocato GIANCARLO CORAZZA, che li rappresenta e
-;

difende;
ri.correnti –

2015
483

contro

CICCOTTI MONICA CCCMNC74H58H501Y, CICCOTTI DAVIDE
CCCDVD81L07H501L, PUCCI CLARA PCCCLR47M47H501E, TUTTI
IN QUALITA’ DI EREDI DI CICCOTTI ROBERTO,

Data pubblicazione: 18/05/2015

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO
10, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA MONDANI,
che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MASSIMO LAURO;
– controricorrenti –

D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/09/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/03/2015 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito l’Avvocato Corazza Giancarlo difensore dei
ricorrenti che ha chiesto raccoglimento delle difese
in atti;
udito

l’Avv.

Mondani

Federica

difensore

dei

controricorrenti che ha chiesto l’accoglimento delle
difese in atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del
ricorso.

o.

a

avverso la sentenza n. 3713/2008 della CORTE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 20-10-1992 Roberto Ciccotti
e Clara Pucci, proprietari di un appezzamento di terreno sito in
Rocca Priora, in catasto f. 21 particella 51, confinante con terreno

intestato a Maria Zaratti, convenivano dinanzi al Tribunale di Roma
la predetta Maria Zaratti e il marito Francesco Vinci, esponendo che
i medesimi, con la loro attività, procuravano immissioni acustiche
oltre i limiti della normale tollerabilità, e inoltre avevano realizzato
manufatti per ricovero di macchinari e ricovero di cinghiali a
distanza non legale. Gli attori chiedevano, pertanto, che venisse
disposta l’immediata cessazione delle immissioni e la demolizione
del capannone e della capanna posti a distanza illegale, con
condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
Nel costituirsi, i convenuti eccepivano in limine la carenza di
legittimazione passiva della Zaratti e, nel merito, contestavano tutte
le avverse deduzioni e pretese, chiedendo altresì in via
riconvenzionale la condanna degli attori alla demolizione di una
tettoia realizzata a distanza illegale.
In corso di causa, ad istanza degli attori, veniva emesso
provvedimento cautelare con cui veniva ordinato il trasferimento dei
macchinari usati dai convenuti e venivano disposte limitazioni
all’orario dell’attività lavorativa.

f

Con sentenza n. 33827\2003 il Tribunale, in accoglimento per
quanto di ragione della domanda attrice, ordinava ai convenuti di
provvedere, a loro cure e spese, alla demolizione dei due manufatti;
respingeva, invece, la domanda di risarcimento danni. 11 giudice di

carenza di legittimazione passiva della Zaratti, rilevava che, pur
avendo i convenuti posto in essere rimedi volti alla riduzione della
rumorosità, tale riduzione non era sufficiente ad ovviare agli effetti
nocivi provenienti dalle altre fonti di rumorosità. Esso, inoltre,
riteneva i manufatti dei convenuti posti in essere in violazione delle
distanze legali.
Avverso la predetta decisione proponevano appello principale
il Vinci e la Zaratti e appello incidentale Clara Pucci, Monica
Ciccotti e Davide Ciccotti, quali eredi di Roberto Ciceotti.
Con sentenza in data 24-9-2008 la Corte di Appello di Roma
rigettava il gravame principale; in accoglimento per quanto di
ragione dell’appello incidentale, confermava il provvedimento
cautelare nella forma emendata dal G.1. con l’ordinanza resa
all’udienza del 21-12-1995 in primo grado. La Corte territorialie, per
quanto rileva in questa sede, premetteva che gli appellanti principali
avevano incentrato le loro doglianze di merito esclusivamente sulla
questione delle immissioni sonore, mentre nulla avevano dedotto
sulla questione, parimenti sollevata nella citazione introduttiva dagli

primo grado, in particolare, disattesa l’eccezione preliminare di

attori, delle distanze legali, che, pertanto, doveva ritenersi non
devoluta al giudice di appello. Ciò posto, il giudice del gravame, nel
dare atto che dopo l’insonorizzazione effettuata dagli appellanti e
dopo la limitata revoca del provvedimento cautelare emessa nel corso

provenienti dal fondo degli appellanti verso il fondo degli attori, che
eccedessero la normale tollerabilità di cui all’art.

844

c.c.,

confermava la menzionata ordinanza del 21-12-1995, rilevando che
tale provvedimento si poneva, senza dubbio, quale causa generatrice
dello stato di normalità suddetto.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Francesco Vinci e Maria Teresa Zaratti, sulla base di due motivi.
Hanno resistito con controricorso Clara Pucci, Monica Ciccotti
e Davide Ciccotti, quali eredi di Roberto Ciccotti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostengono che la Corte
di Appello ha erroneamente ritenuto che il gravame da essi proposto
fosse limitato alla questione delle immissioni sonore. Deducono,
infatti, che gli appellanti avevano censurato la sentenza di primo
grado anche nella parte in cui aveva disposto la demolizione del
capannone e della capanna, rilevando che la perizia dell’ing.
Pellegrini aveva accertato che, a seguito delle avvenute

3

del giudizio di primo grado non vi erano state immissioni rumorose

insonorizzazioni, le immissioni sonore erano rientrate nell’ambito
della normale tollerabilità e, quindi, rendevano inapplicabile l’art.
890 c.c. alla fattispecie in esame. Fanno presente che con la domanda
introduttiva gli attori avevano chiesto al Tribunale di accertare che i

legge in modo del tutto generico e senza fare riferimento ad alcuna
norma di legge o regolamentare; e che, conseguentemente, sul punto
era sufficiente che i convenuti, come avevano fatto con la comparsa
di risposta, chiedessero il rigetto della domanda. Affermano che
l’effetto devolutivo dell’appello avrebbe dovuto indurre la Corte di
merito al riesame dell’intera vicenda processuale. Deducono, inoltre,
che la sentenza impugnata, nel disporre la demolizione e non lo
spostamento dei macchinari, è incorsa nel vizio di ultrapetizione.
Il motivo non è meritevole di accoglimento.
La Corte di Appello, con motivazione immune da vizi logici,
ha rilevato che con i motivi di gravame gli appellanti avevano
contestato la sola sussistenza delle immissioni rumorose, mentre
nulla avevano dedotto riguardo alla questione della violazione delle
distanze legali, che, pertanto, doveva ritenersi non devoluta al
giudice di appello.
A fronte di tali affermazioni, i ricorrenti avevano l’onere, per
il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di
trascrivere per esteso i motivi di appello proposti, onde consentire a

macchinari erano posti a distanza dal confine inferiore a quella di

-

questa Corte -alla quale, nel caso di denuncia di vizi di motivazione,
è precluso l’accesso diretto agli atti del giudizio di merito-, di
rilevare l’eventuale errore commesso dal giudice del gravame nel
ritenere non devoluta al suo esame la predetta questione.

mere petizioni di principio, inidonee a scalfire la correttezza, sotto il
profilo logico e giuridico, delle valutazioni espresse dal giudice del
gravame nell’individuare il tema di indagine sottoposto al suo esame
in forza dei motivi di impugnazione proposti dagli appellanti.
La doglianza di ultrapetizione è inammissibile, in quanto dalla
lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso si evince che
con i motivi di appello gli odierni ricorrenti non hanno censurato
sotto il profilo della extrapetizione la sentenza di primo grado, nella
parte in cui ha disposto la demolizione dei manufatti.
Si rammenta, al riguardo, che il vizio di ultrapetizione in cui
sia incorso il giudice di primo grado determina una nullità relativa
della decisione non rilevabile d’ufficio, ma denunciabile solo con gli
ordinari mezzi di impugnazione (Cass. 4-9-2000 n. 11559; Cass. 7-52009 n. 10516). Tale vizio, pertanto, non può essere utilmente
dedotto come mezzo di ricorso per cassazione, neppure se riferito
alla sentenza di secondo grado confermativa della precedente,
quando non abbia costituito oggetto di motivo di appello (Cass. Sez.
Un. 4-11-2001 n. 15277).

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In difetto di tali indicazioni, le censure mosse si risolvono in

2) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione
e falsa applicazione dell’art. 890 c.c. Sostengono che il giudice di
appello avrebbe dovuto riformare la sentenza di primo grado, nella
parte in cui aveva disposto la demolizione dei capannoni per il

che dalla consulenza dell’ing. Pellegrini risulta che tutti i livelli di
rumorosità rientravano nei limiti della tollerabilità e che, pertanto, il
riferimento alla disciplina dettata dall’art. 890 c.c. appare erroneo.
Tale norma, infatti, regolamenta le distanze per le fabbriche e
depositi nocivi o pericolosi, nei quali non può rientrare la struttura
in questione, dal momento che non dava più origine ad immissioni
acustiche intollerabili. Il giudice, pertanto, avrebbe dovuto applicare
l’art. 844 c.c., per cui il proprietario di un fondo non può impedire le
immissioni di rumori derivanti dal fondo vicino se non superano la
normale tollerabilità avuto riguardo alla situazione dei luoghi.
Il motivo è inammissibile, concludendosi con la formulazione
di un quesito di diritto (“E’ stato correttamente applicato alla
controversia in esame l’art. 890 c.p.c. o piuttosto la stessa andava
decisa ai sensi di quanto disposto dall’art. 844 c.p.c.?”) non
rispondente ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile
ratione temporis al ricorso in esame
Come è noto, in base alla menzionata disposizione di legge,
nei casi previsti dall’art. 360 n 3 c.p.c., l’illustrazione di ciascun

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mancato rispetto delle distanze previste dall’art. 890 c.c. Deducono

motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la
formulazione di un quesito di diritto. Da tanto discende la necessità
che l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla
formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere

del quesito formulato dalla parte, dovendosi escludere, in
particolare, la possibilità. di desumere il quesito dal contenuto del
motivo (Cass. S.U. 16-11-2007 n. 23732) o d’integrarlo con
quest’ultimo, in quanto ciò comporterebbe una sostanziale
abrogazione della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. (Cass. S.U. Il3-2008 n. 6420). Il quesito non può dunque consistere in una
domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del
motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della
censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura
delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di Cassazione in
condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula

iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in
casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata (Cass. S.U. ord. 5 febbraio 2008
n. 2658).
Ne consegue, all’evidenza, l’inidoneità del quesito di diritto
posto dai ricorrenti, che si risolve nella mera richiesta, rivolta al
giudice di legittimità, dell’individuazione delle regole di diritto da

7

la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto

a

,

applicare, senza contenere alcun utile riferimento alla specifica
vicenda processuale sottoposta al suo esame.
3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con
conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese

liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese, che liquida in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di con iglio dell’11-3-2015
Il Consigliere relatore

Ilísid,

sostenute dai controricorrenti nel presente grado di giudizio,

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