Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10170 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 10/02/2020, dep. 28/05/2020), n.10170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 18749/2012 R.G. proposto da:

Betta di I.E. Eredi s.a.s., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Ascanio

Amenduni, con domicilio eletto in Roma, via Franco Sacchetti, n. 25,

presso lo studio dell’Avv. Giuseppina Stillitani;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia n. 2/11/12 depositata il 16 gennaio 2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 febbraio 2020

dal Consigliere Nicastro Giuseppe;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale De Augustinis Umberto, che ha concluso chiedendo il rinvio

della causa a nuovo ruolo.

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate notificò alla Betta di I.E. Eredi s.a.s. un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2004, con il quale, sul fondamento dell’antieconomicità del comportamento della società nonchè dell’esiguità del reddito dichiarato dai suoi soci, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, accertò maggiori ricavi – determinati applicando la percentuale di ricarico del 93 per cento, tratta dallo studio di settore (TMO5U) – e un conseguente maggiore reddito da imputare ai soci ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, un maggior valore della produzione netta, ai fini dell’IRAP e maggiori operazioni imponibili, ai fini dell’IVA;

a seguito di tale avviso di accertamento, l’Agenzia delle entrate notificò ai cinque soci della Betta di I.E. Eredi s.a.s. D.L.I., C.S., D.L.M.P., D.L.N.F. e D.L.G. altrettanti avvisi di accertamento, relativi all’anno d’imposta 2004, con i quali imputò agli stessi soci, ai fini dell’IRPEF, i maggiori redditi accertati in capo alla società;

gli avvisi di accertamento furono separatamente impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Bari (hinc anche: “CTP”), che, riuniti i ricorsi, li accolse;

avverso tale pronuncia, l’Agenzia delle entrate propose appello alla Commissione tributaria regionale della Puglia (hinc anche: “CTR”), che lo accolse, “conferma(ndo) la legittimità degli accertamenti emessi nei confronti della società e dei soci”;

la CTR ribadì anzitutto che – come già asserito dalla CTP – l’avviso di accertamento nei confronti della Betta di I.E. Eredi s.a.s., in quanto “del tipo analitico-presuntivo e, come tale, basato sulla sussistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti”, poteva essere legittimamemente emesso a prescindere dall’ispezione delle scritture contabili della società e senza instaurare il contraddittorio preventivo con la stessa;

quanto “al ricarico effettuato, utilizzando lo studio di settore”, la CTR, precisato che la CTP aveva affermato l’illegittimità degli avvisi di accertamento in quanto l’ufficio “non ave(va) motivato la scelta della percentuale applicata, i CLUSTER di riferimento, e le ragioni che hanno determinato l’entità del ricarico”, affermò che “il maggior reddito contestato deriva da una evidente sproporzione tra i ricavi accertati e i costi sostenuti per l’acquisto dei beni da rivendere. La dichiarata conseguente perdita d’esercizio ha realizzato l’antieconomicità dell’attività e la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo, senza dover l’ufficio ricercare ulteriori elementi di prova; gli studi di settore hanno valenza probatoria e costituiscono una presunzione dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. La società (…) non ha offerto elementi, fatti e ragioni, idonei a dimostrare l’inapplicabilità degli standard e l’esiguità dei ricavi rispetto al volume degli acquisti, pur gravando sulla stessa l’onere della prova dei motivi degli scostamenti riscontrati”;

quanto “alle incongruenze collegate alla situazione reddituale dei soci”, la stessa CTR, rammentato che la CTP aveva asserito che “le gravi incongruenze devono essere relative all’attività esercitata dalla società e non alla situazione reddituale dei soci”, affermò che “(Tufficio ha contestato l’esiguo reddito attribuito loro dalla società e gli stessi non hanno offerto alcuna prova idonea a supportare e dimostrare la sussistenza di altre disponibilità personali al fine di giustificare il reddito medio necessario ad assicurare condizioni capaci di soddisfare le necessità economiche, tantomeno hanno dimostrato la sussistenza di altri proventi e flussi finanziari (operazioni di disinvestimento mobiliare e/o immobiliare) riconducibili ad altri componenti della famiglia, con la conseguenza che vanno confermati gli accertamenti nei loro confronti”;

quanto, infine, alle sanzioni, la CTR affermò che “non si rilevano cause esimenti o di inapplicabiilità, e vanno confermate nella misura determinata dall’ufficio, secondo la normativa di riferimento”;

avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 16 gennaio 2012 e non notificata – ricorre per cassazione la Betta di I.E. Eredi s.a.s., che affida il proprio ricorso, notificato il 16/24 luglio 2012, a due motivi;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, notificato il 12/13 settembre 2012;

è intervenuta nel processo, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., con atto notificato il 21 luglio 2016 (all’Agenzia delle entrate) e il 22 luglio 2016 (alla Betta di I.E. Eredi s.a.s.), D.L.M.P., socia della Betta di I.E. Eredi s.a.s., “facendo propri i motivi di gravame già sollevati con il ricorso” e chiedendone l’accoglimento;

il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 10 febbraio 2020, nella quale il Procuratore generale ha concluso come indicato in epigrafe.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, artt. 62-bis e 62-sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, e degli artt. “2727 – 2729 e 2697” c.c., per avere la CTR attribuito al “generico studio di settore di appartenenza” valore di presunzione grave, precisa e concordante della percentuale di ricarico (nella specie, del 93 per cento) applicata dal contribuente;

con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, in quanto la CTR: a) “senza (…) ravvisarne o dichiararne la eventuale fittizietà (…), afferma dogmaticamente, che (la) perdita (di esercizio) avrebbe realizzato l’antieconomicità”; b) non ha motivato, o ha motivato in modo insufficiente e illogico, l’applicazione della percentuale di ricarico del 93 per cento, in particolare, “non ha fornito risposta adeguata (…) circa il mancato riferimento al c.d. cluster specifico (gruppo omogeneo) dello studio di settore, mai peraltro effettivamente applicato nei confronti della società ricorrente, perchè mai elaborato” e, conseguentemente, non ha motivato in ordine a “quale cluster dovesse farsi riferimento per determinare la percentuale di ricarico legittimamente applicabile, in rettifica, alla dichiarazione del contribuente e “perchè””;

l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, e di quelle dei loro soci o associati comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario (Cass., 25/06/2018, n. 16730, 28/11/2014, n. 25300);

in tema d’impugnazioni civili, anche con riguardo al contenzioso tributario, l’integrazione del contraddittorio è necessaria, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., non solo in ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale (cause cosiddette inscindibili), ma altresì nelle ipotesi di cause che, pur scindibili, riguardano due (o più) rapporti logicamente interdipendenti tra loro o dipendenti da un presupposto di fatto comune (cause cosiddette dipendenti), sicchè, ove esse siano state decise nel precedente grado di giudizio in un unico processo, la norma procura che il simultaneus processus non sia dissolto e che le cause restino unite anche in sede di successiva impugnazione, al fine di evitare che, nelle successive vicende processuali, conducano a pronunce definitive di contenuto diverso (Cass., 18/01/2019, n. 1321, 13/07/2016, n. 14253, 19/01/2007, n. 1225);

dalla sentenza impugnata risulta che a entrambi i giudizi di merito avevano partecipato, oltre alla Betta di I.E. Eredi s.a.s. e alla socia D.L.M.P. – che è intervenuta volontariamente nel processo – anche i soci D.L.I., C.S., D.L.N.F. e D.L.G., ai quali il ricorso per cassazione non risulta essere stato notificato e che non sono intervenuti nel processo;

l’affermazione dell’Agenzia delle entrate (a pag. 37 del controricorso) che le liti concernenti gli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci della Betta di I.E. Eredi s.a.s. sono state definite a norma del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, è rimasta priva di riscontro;

pertanto, va ordinata l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., nei confronti dei suddetti soci pretermessi e non intervenuti, a cura della ricorrente, fissando, allo scopo, il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza interlocutoria.

P.Q.M.

ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti di D.L.I., C.S., D.L.N.F. e D.L.G. da eseguire, a cura della ricorrente, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza interlocutoria; rinvia la causa a nuovo ruolo.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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