Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10169 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 10169 Anno 2015
Presidente: BURSESE GAETANO ANTONIO
Relatore: FALASCHI MILENA

Intollerabilità
SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 17671/09) proposto da:
ROSIELLO MARIO, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso,
dall’Avv.to Michele Ruberto del foro di Bari e dall’Avv.to Maria Saracino del foro di Roma ed
elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Appia Nuova n. 251;
– ricorrente –

contro
DE ROSA AURELIO e BUFFO ANTONIETTA, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Enrico Follieri e
Mario Palumbo del foro di Lucera, in virtù di procura speciale apposta a margine del
controricorso, ed elettivamente domiciliati in Roma, Corso Vittorio Emanuela li n. 18;
– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 575 depositata il 6 giugno 2008.

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Data pubblicazione: 18/05/2015

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 21 gennaio 2015 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Aw.ti Maria Saracino, per parte ricorrente, e Enrico Follieri, per parte resistente;

Core, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 28 aprile 1990 i coniugi Aurelio DE ROSA ed Antonietta BUFFO
evocavano, dinanzi al Tribunale di Lucera, Mario ROSIELLO e ne chiedevano la condanna alla
rimessione in pristino dei luoghi secondo quanto accertato con apposita c.t.u., al risarcimento dei
danni subiti dal loro immobile a seguito degli interventi operati dal convenuto nel suo immobile
posto al piano terraneo dello stabile condominiale per adattarlo a negozio di merceria, a forno e a
panetteria, nonché alla eliminazione delle fonti di danno e di immissioni accertate, ordinando allo
stesso di evitare le molestie al pacifico godimento dell’immobile da parte dei coniugi.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il quale spiegava anche domanda
riconvenzionale con la quale sosteneva la responsabilità degli attori per l’avvallamento e le lesioni
della volta, nonché dei muri comuni, il giudice adito, espletate n. 4 c.t.u., in parziale accoglimento
della domanda attorea, condannava il Rosiello ad eliminare le immissioni di rumore e di calore
nella sovrastante abitazione degli attori, mercè lo spostamento altrove del gruppo elettrogeno
esistente nella sottostante azienda di panificazione, con realizzazione della controsoffittatura e di
un sistema di ventilazione dei locali aziendali, rigettate le ulteriori domande, compresa quella
riconvenzionale.
In virtù di rituale appello interposto dai coniugi DE ROSA — BUFFO, con il quale prospettavano
plurime ragioni di erroneità della decisione, la Corte di appello di Bari, nella resistenza
dell’appellato, che proponeva anche appello incidentale, in parziale accoglimento del gravame

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udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sergio Del

principale e in parziale riforma della decisione impugnata, rigettato l’appello incidentale,
confermato l’accertamento della esistenza di immissioni intollerabili, riconosceva agli appellanti la
somma di E. 5.076,27 per il ripristino dei luoghi ed E. 20.160,00 quale conseguenza del mancato

A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che dagli accertamenti tecnici
espletati risultava che l’accensione del forno posto nei locali aziendali dell’appellato comportava
incrementi ingiustificati e intollerabili, soprattutto nella stagione estiva, della temperatura
nell’appartamento degli appellanti. Fenomeno di intollerabilità delle immissioni sonore che si
verificava anche a seguito del funzionamento del gruppo elettrogeno di emergenza, limiti che
venivano superati ex art. 844 c.c., quali determinati dalla giurisprudenza.
Di converso non poteva trovare accoglimento la domanda risarcitoria relativamente ai danni alla
persona lamentati per assenza di prova dell’esistenza di patologie. Comunque andavano
condivise le misure per eliminare le immissioni adottate dal giudice di prime cure, rientrando la
specificazione delle relative attività tecniche e pratiche nella competenza del giudice
dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c.. Poneva, altresì, a carico dell’appellato i costi sopportati dagli
appellanti per il ripristino dei luoghi ammontanti ad E. 5.076,27, nonché E. 20.160,00 per il
mancato utilizzo dell’appartamento per fatto altrui, commisurato al valore locativo dei bene.
Per la cessazione della sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso per cessazione
il ROSIELLO, affidato a cinque motivi, illustrati anche da memoria ex art. 378 c.p.c., cui hanno
replicato i coniugi DE ROSA — BUFFO con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 101, 112,
183 e 184 c.p.c., nonché erronea applicazione del principio di domanda e quello di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con ultrapetizione, oltre a vizio di motivazione, per

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utilizzo dell’immobile interessato dalle predette immissioni.

avere liquidato a favore degli appellati la somma di E. 20.160,00 a titolo di risarcimento dei danni
per mancato utilizzo del loro immobile, nonostante una domanda in tal senso non fosse mai stata
formulata dagli originari attori. A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di

dell’immobile, in riferimento ad una azione inibitoria di immissioni, violi il principio di espressa
proporzione della domanda, con riferimento ed in violazione degli artt. 99, 101, 112, 183 e 184
c.p.c., a nulla rilevando in sede di udienza di precisazione delle conclusioni l’eventuale
verbalizzazione con riferimento ai danni così come accertati nelle relazioni peritali; in modo che
l’eventuale pronuncia in senso favorevole al riconoscimento del danno costituisca extra petita, in
violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato”.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 99,
101, 112, 183 e 184 c.p.c., nonché erronea applicazione del principio di domanda e quello di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con ultrapetizione, oltre ad erronea applicazione del
principio giuridico che vieta l’introduzione in giudizio nuove domande (mutatio libelli), con
violazione degli artt. 342 e 345 c.p.c., per erronea applicazione del principio giuridico disciplinante
il divieto di domanda nuova in appello, e vizio di motivazione per essere state le contestazioni
degli attori rivolte unicamente in senso inibitorio, onde ottenere una condanna di natura negatoria,
non riguardando la voce di danno riconosciuta per mancato utilizzo dell’immobile. A corollario del
mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: “Se, la richiesta di risarcimento del danno, per
mancata fruizione dell’immobile immesso, non comprensiva tra le domande proposte con l’atto di
citazione, e relativa a fatti diversi e successivi a quelli esposti nell’atto introduttivo, ampliando il
petitum, violi il principio di divieto di mutati° libelli, introducendo in corso di causa una domanda
nuova, con riferimento ed in violazione degli artt. 99, 101, 112, 183 e 184 c.p.c.; se se, nel grado
di appello, la pronuncia in senso favorevole al riconoscimento del danno costituisca extra petita,
in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato, espressamente rilevabile

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diritto: “Se, la mancanza della domanda di risarcimento del danno, per mancata fruizione

anche d’ufficio ex artt. 342 e 345 c.p.c. in virtù della preclusione assoluta di domande nuove in
appello”.

I primi due motivi – che, per la stretta connessione, vedendo sulla medesima questione della

sono infondati.
Non sussiste il lamentato vizio di extrapetizione, owero del principio della necessaria
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, perché da una parte i coniugi DE ROSA – BUFFO
hanno agito per ottenere la rimessione in pristino dei luoghi, con risarcimento dei danni subiti a
seguito degli interventi del convenuto, deducendo che l’adattamento dei locali sottostanti da
merceria a forno e panetteria aveva comportato lo svolgimento di attività commerciale che
generava immissioni moleste nell’appartamento sovrastante, di loro proprietà, e la Corte di
appello ha confermato l’accoglimento di questa domanda già pronunciato dal Tribunale, essendo
rimasta accertata l’esistenza di immissioni intollerabili, ed ha accolto anche le domande relative
sia al rimborso dei costi necessari per il ripristino (pari ad E. 5.076,27) sia al danno per mancato
utilizzo dell’appartamento interessato dalle immissioni (per complessivi E. 20.160,00).
A quest’ultimo proposito occorre rilevare che – come evidenziato dalla Corte di appello — i DE
ROSA – BUFFO, con l’ultimo motivo di gravame (v. pag. 9 della sentenza impugnata), avevano
lamentato la mancata liquidazione del danno patito, invocato una pronuncia di determinazione del
complessivo importo dovuto, avuto riguardo ai danni in concreto riscontrabili e
che sarebbero stati determinati in causa (e, quindi, prescindendo da una precisa quantificazione
preventiva e da una effettiva indicazione specifica di tutte le voci risarcitorie riconducibili all’illecita
condotta del convenuto, demandate all’oggettivo accertamento giudiziale delle stesse che
sarebbero risultate all’esito del processo, comprendendosi, perciò, in esse – al fine di un completo
soddisfacimento degli appellanti principali – anche gli importi imputabili al pregiudizio economico
derivato agli attori dal mancato utilizzo e/o disponibilità del bene dovuto a titolo di risarcimento). Di

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asserita proposizione di domanda risarcitoria nuova, possono essere esaminati congiuntamente –

conseguenza, deve ritenersi che la Corte territoriale non sia incorsa, nel quantificare le somme
per cui ha pronunciato condanna (relativamente ai due distinti titoli di imputazione concretamente
valutati), nel vizio di ultrapetizione essendosi attenuta alle risultanze della c.t.u., disposta già in

resto è risaputo (cfr. Cass. n. 27285 del 2006) che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice
di merito, che abbia esercitato il doveroso compito di definire e qualificare la domanda proposta
dalla parte — senza essere in ciò condizionato dalla formula adottata dalla parte medesima e
tenuto conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in
giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate in corso di causa – e si sia, quindi, nel pronunciare
su di essa, attenuto ai limiti della domanda come interpretata. Oltretutto bisogna considerare che secondo la giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 10263 del 2000) – l’obbligo
di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale (od anche contrattuale) ha per oggetto
l’integrale reintegrazione del patrimonio del danneggiato; pertanto,
nella domanda di risarcimento del danno deve ritenersi implicitamente inclusa la richiesta di
compenso per il pregiudizio subito dal creditore a causa del comportamento del debitore, pari al
conseguimento dell’equivalente monetario del danno, ragion per cui non incorre in vizio di tiara
petizione il giudice che, (anche) a fronte di espressa domanda dal contenuto piuttosto ampio,
riconosca un danno pari al valore locativo dell’alloggio.
Per completezza argomentativa rileva il Collegio che il combinato disposto degli artt. 2043, 2056 e
1223 c.c. esige che il risarcimento del danno extracontrattuale comprenda così la perdita subita
dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta,
con l’unico limite cioè dei danni “non immediati e diretti”, quelli, in altri termini, che non si
presentino, in base a un giudizio probabilistico “ex ante”, come effetto normale del fatto illecito e
non rientrino nelle conseguenze ordinarie cui esso dà origine.

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primo grado, in relazione all’ambito dell’accertamento devolutogli con i motivi di gravame. Del

E noto che, in linea di massima, il danno derivante dalla mancata disponibilità di un immobile
imputabile al fatto del terzo si sostanzia nel reddito che il bene era suscettibile di fornire e che, per
effetto della temporanea perdita di esso, il proprietario non può più conseguire.

c.p.c., nonché degli artt. 2697, 2056 e 844 c.c., oltre a vizio di motivazione, nel ribadire la
introduzione in appello di una domanda nuova precisa che la circostanza dello sgombero
dell’appartamento da parte degli appellati si assumeva verificatasi solo nell’anno 1994 e dunque
in corso di causa, neanche provato il concreto accadimento dello stesso evento. L’illustrazione del
mezzo è conclusa dalla formulazione del seguente quesito di diritto: “se, il riconoscimento del
danno anche figurativo per mancata fruizioné dell’immobile immesso, come danno in re ipsa,
costituisca espressa violazione del principio dell’onere della prova della sussistenza del danno,
con riferimento ed in violazione degli artt. 2697, 2056 e 844 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c.,
occorrendo che, ove si chieda il risarcimento del danno da immissioni, si fornisca la sua prova,
non potendosi superare la struttura della responsabilità aquiliana, in termini di automatismo”.

Anche il terzo motivo è privo di pregio.
Ed infatti è consolidato l’orientamento di legittimità secondo il quale l’accertamento del
superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., comporta nella liquidazione
del danno da immissioni, sussistente in “re ipsa”, l’esclusione di qualsiasi criterio di
contemperamento di interessi contrastanti, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi,
unicamente l’illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema
dell’azione generale di risarcimento danni di cui all’alt 2043 c.c. (Cass. n. 17281 del 2005 e Cass.

n. 10715 del 2006). A questo principio si è attenuta la Corte di merito, riconoscendo l’avvenuto e
accertato superamento della soglia di tollerabilità delle emissioni rumorose e della diffusione per
tempo apprezzabile di fumi pesanti, per cui non ha ragion d’essere l’imposizione di un sacrificio,
ancorché minimo, all’altrui diritto di proprietà o di godimento, e non sono quindi applicabili i criteri

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Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115

dettati dall’art. 844 c.c., in tema di normale tollerabilità, di contemperamento di interessi
contrastanti e di priorità dell’uso (in tali sensi, Cass. n. 1156 del 1995), rimasto accertato quanto
meno un ridotto godimento dell’alloggio da parte dei controricorrenti.

dell’art. 115 c.p.c., nonché degli artt. 2697, 2056 e 844 c.c., oltre a vizio di motivazione, per avere
la corte di merito ritenuto provata la intollerabilità delle immissioni, nonostante fosse stato
dimostrato che le immissioni riscontrate avevano carattere eccezionale, limitatamente ai casi di
mancanza di elettricità, e senza tenere conto che le immissioni erano giustificate da esigenze
produttive. A conclusione del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto:

“Se, con

riferimento agli artt. 2697 e 844 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., la prova della intollerabilità delle
immissioni debba essere raggiunta attraverso l’applicazione alle caratteristiche ed allo stato dei
luoghi, dei criteri della ‘normale tollerabilità’, delle ‘esigenze di produzione’, e della ‘priorità
dell’uso’, ritenendosi, la pronuncia che, in violazione degli artt. 844 e 2697 c.c., prescinda
dall’analisi di detti criteri, affetta da error in iudicando, in ossequio al principio della prova dei fatti
costitutivi della domanda; ed ancora se, relativamente alla violazione delle norme citate nonché
dell’art. 2056 c.c., onde ottenere il risarcimento del danno derivante da immissioni, non si possa
prescindere dalla prova del nesso di causalità tra evento immissivo e danno, e, ai fini della
liquidazione del risarcimento inteso come conseguenza immediata e diretta danno, dalla prova
della esatta sussistenza quantitativa dei lamentati danni”.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta nuovamente la violazione e falsa applicazione

La censura è infondata.
Premesso che l’art. 844 c.c. impone, nei limiti della normale tollerabilità e dell’eventuale
contemperamento delle esigenze della proprietà con quelle della produzione (essenzialmente
rilevanti agli effetti della concessione o meno, da parte del giudice, della tutela inibitoria), l’obbligo
di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni attuate nell’ambito delle norme generali e
speciali che ne disciplinano l’esercizio, e che, ove tale ambito sia superato (come è già risultato

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accertato), si è in presenza di attività illegittima, in presenza della quale non trova ragione di
applicazione il criterio della priorità dell’uso e l’illiceità del fatto accertato rende l’azione
inquadrarle nello schema generale di cui all’art. 2043 c.c. (v., tra le altre, Cass. n. 7411 del 1992),

base dell’accertata illiceità delle emissioni, ha ritenuto superfluo il ricorso al criterio del “preuso”.
:.

La discrezionalità del ricorso a siffatto criterio, riconosciuta dalla costante giurisprudenza di
questa Corte (v. per tutte Cass. n. 161 del 1996), in considerazione del chiaro dettato normativa
(art. 844 co. 2 p. 2″, c.c.) secondo il quale il giudice non deve, ma “può tener conto della priorità
di un determinato uso…”), rende incensurabile la relativa scelta del giudice di merito, nella specie
adeguatamente motivata, esimendo questo Collegio dall’occuparsi dei profili di censura,
conseguentemente irrilevanti, connessi ai concreti elementi urbanistici di riferimento e relativa
risalenza, peraltro anche in fatto contestati.
Nè miglior sorte meritano le doglianze relative alla mancata valutazione, ai fini della
determinazione del danno e della relativa quantificazione, di un assunto comportamento colposo
da parte dei DE ROSA ovvero il carattere eccezionale delle immissioni. È dato di fatto accertato
nelle sentenze di merito, ed incontroverso, che l’attività del ROSIELLO, debitamente autorizzata,
ebbe legittimamente inizio (prima del 1987), alcuni anni dopo che gli attori si insediarono nel loro
appartamento, adibendo i locali merceria in panificio. In siffatto contesto, accertato dai giudici di
merito (come si è avuto modo di verificare in precedenza) che sono stati largamente valicati i limiti

corretta deve ritenersi la considerazione, al riguardo formulata dalla corte di merito, che sulla

della normale tollerabilità delle emissioni, con accertamento di merito incensurabile in cassazione,
corretto deve ritenersi il giudizio della corte territoriale, nella parte in cui ha affermata la
responsabilità ex art. 2043 c.c., dell’autore delle immissioni illecite, con il risarcimento del danno
conseguente, non rilevando ai fini dell’esclusione della responsabilità l’accertamento delle cause
che determinano le immissioni moleste nella proprietà altrui e, in particolare, la circostanza che
l’impianto, o quant’altro da cui derivano le immissioni, sia a norma, mantenuto a regola d’arte e se

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ne faccia quindi un uso normale ovvero la eccezionalità delle cause, sicché il giudizio di merito
che al riguardo ha ritenuto di scarsa rilevanza la doglianza, si appalesa non omissivo e
logicamente corretto.

c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte di merito posto a suo carico la refusione di
esborsi per E. 5.510,00, nonostante lo stesso avesse già sostenuto costi di lite, riconoscendo €.
3.131,36 che gli appellati non avevano mai esborsato. A corollario del mezzo è posto il seguente
quesito di diritto: “Se, in merito alla regolazione delle spese di causa, la condanna del resistente
al rimborso delle spese di accertamento tecnico preventivo, nel caso in cui l’accertamento non
abbia evidenziato le doglianze esposte dal ricorrente, possa essere disposta a carico del
resistente; nochè se la condanna del convenuto-resistente alle successive spese di giudizio,
nonostante l’accoglimento parziale della domanda degli attori, e relativamente a fatti solo
marginali e di minor valore rispetto all’originario addebito di responsabilità, se, dunque, tale
condanna, violi i principi di soccombenza e di soccombenza reciproca, enunciati dagli artt. 91 e
92 c.p.c..”.

La censura è priva di pregio, perché l’esito della lite che conta ai fini del regolamento delle spese
è quello finale della lite, che ha visto soccombente totalmente il qui ricorrente ROSIELLO (si veda
Cass. n. 2634 del 2007, secondo cui “In tema di liquidazione delle spese, per la ipotesi di
cessazione della sentenza, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92

prowedere sulle spese del giudizio di legittimità, deve attenersi al principio della soccombenza
applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio e al loro risultato,
con la conseguenza che la parte vittoriosa nel giudizio di cessazione e tuttavia soccombente in
rapporto all’esito finale della lite, può essere legittimamente condannata al rimborso delle spese in
favore dell’altra parte anche per il grado di cessazione”; da ultimo, nello stesso senso, Cass. n.

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14619 del 2010). Sotto detto profilo rimangono, altresì, prive di pregio le deduzioni di essere stata
già parte anticipataria delle spese.
Conclusivamente, per le considerazioni sopra svolte, il ricorso va rigettato e le spese del presente

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di
Cessazione, che liquida in complessivi €. 3.800,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre al rimborso
delle spese forfettarie e agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2″ Sezione Civile, il 21 gennaio 2015.

giudizio seguono la soccombenza.

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