Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10168 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 28/05/2020), n.10168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23809/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

P.S.M.;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione n. 28, n. 1442/28/16, pronunciata il 19/02/2016,

depositata il 14/03/2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 gennaio

2020 dal Consigliere Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro P.S.M., che è rimasto intimato, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell’appello del contribuente, è stata riformata la sentenza di primo grado che aveva rigettato l’impugnazione (da parte di P.S.) di tre avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione IRPEF, per le annualità 2005, 2006, 2007, redditi di partecipazione all’associazione “Garden Club” (in seguito anche “Garden Club”), della quale l’opponente era socio;

il giudice d’appello ha fondato il proprio convincimento sulla premessa che gli addebiti rivolti al contribuente derivavano da una verifica fiscale nei confronti dell’associazione “Garden Club” e ha ravvisato un’evidente violazione dell’obbligo di motivazione dell’atto impositivo, sancito dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, nella circostanza che l’Amministrazione finanziaria avesse contestato all’interessato maggiori imposte, senza allegare agli avvisi il processo verbale di constatazione (in seguito: “pvc”), emesso dalla Guardia di Finanza a conclusione dell’attività di controllo, dal quale erano scaturiti i tre avvisi diretti al “Garden Club”.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo del ricorso (1. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.: vizio di ultrapetizione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)), l’Agenzia censura l’error in procedendo della sentenza impugnata per avere accolto l’appello del contribuente e affermato l’illegittimità degli avvisi, per mancata allegazione del pvc notificato al “Garden Club”, sebbene la contestazione della mancata allegazione del pvc, da parte del contribuente, fosse stata formulata, in termini generici, in primo grado, senza poi essere riproposta come specifico motivo d’appello;

con il secondo motivo (2. Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)), l’Agenzia censura l’errore di diritto sotteso alla statuizione della Commissione regionale, oggetto del precedente motivo, in quanto, comunque, l’allegazione, agli avvisi, del citato pvc diretto all’associazione era irrilevante in ragione della circostanza (incontestata) che il contribuente già aveva avuto integrale e piena conoscenza di tale processo verbale, il cui contenuto era stato riportato negli atti impositivi al medesimo indirizzati (coll’indicazione, in particolare, degli imponibili non dichiarati per ciascuna annualità), tanto da consentirgli di svolgere compiutamente (in più sedi) le proprie difese;

occorre preliminarmente rilevare che il presente giudizio risulta essere incardinato, sin dal suo primo grado di giudizio, tra il solo contribuente e l’Agenzia delle entrate, senza che, dunque, allo stesso abbia preso parte l’Associazione Garden Club;

orbene, è principio consolidato (Cass. 30/12/2019, n. 34614; conf.: 23267/2018) quello per cui l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi (cfr., per tutte, Cass., sez. un., 2008, n. 14815);

siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario;

ne consegue che il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29), ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (cfr., altresì, da ultimo, Cass., ord., 28 febbraio 2018, n. 4580; Cass., ord., 22 gennaio 2018, n. 1472);

non vi è, infine, evidenza del fatto che gli avvisi di accertamento siano stati impugnati (anche) da parte dell’Associazione, per cui difettano i presupposti per l’ipotetica operatività dell’istituto della riunione;

in conclusione, va dichiarata la nullità dell’intero giudizio di merito, con cassazione dell’impugnata sentenza e rimessione delle parti avanti al giudice di primo grado, che dovrà disporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, procedere a nuovo esame dell’impugnazione originaria, e statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte dichiara la nullità dell’intero giudizio, cassa la sentenza impugnata e rimette la causa alla Commissione tributaria provinciale di Sondrio, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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