Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10165 del 30/04/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 10165 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso 13914-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo STUDIO TRIFIRO’
& PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato
SALVATORE TRIFIR0′, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

561

ARENA NICOLA;
– intimato –

avverso la sentenza n. 429/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 30/04/2013

di

MILANO,

depositata

il

15/05/2007

R.G.N.

1498/2005+1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/02/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;
l’Avvocato

BUTTAFOCO

ANNA

per

delega

TRIFIRO’SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione sulla questione
risarcitoria.

udito

13914.08

Udienza 14 febbraio 2013

Pres. F. Roselli
Re!. V. Di Cerbo

SENTENZA

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Milano, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di
legittimità, ha confermato la sentenza di prime cure che aveva ritenuto l’illegittimità del
termine apposto al contratto di lavoro con decorrenza 6 ottobre 2000, stipulato da
Poste Italiane s.p.a. con Nicola Arena ed aveva conseguentemente dichiarato
l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da
memoria; il lavoratore è rimasto intimato.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

Con il primo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art.
1372, secondo comma, cod. civ.) la statuizione della sentenza impugnata che ha
rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

5.

La censura è infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte
(cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato
(sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale
ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la
conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di tale
conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o
errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del
lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e
in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza
dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in
quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.

3

La Corte

6.

Quanto alla statuizione concernente l’illegittimità del termine, deve osservarsi che la
Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità del
termine, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per
esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come
integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile
1998.
La società ricorrente censura tale statuizione col secondo, terzo e quarto motivo di
ricorso che, in quanto logicamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente.
Tali motivi, con i quali si denuncia, in particolare, violazione e falsa applicazione dell’art.
23 della legge n. 56 del 1987, degli artt. 1 e 2 della legge n. 230 del 1962 e degli
artt.1362 e segg. cod. civ. in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e di altre
norme collettive, nonché vizio di motivazione, sono infondati e devono essere pertanto
rigettati.

8.

Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che
l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del
potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge
n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori
ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a
tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi
specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245,
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta
di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le
altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove
però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive
(anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di opposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n.
18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare,
quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in

materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di
riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione
giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli
assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30
aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
4

7.

conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass.
1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n.
21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha
fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
9.

Con riferimento al profilo relativo alle conseguenze economiche della dichiarazione di
nullità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità al caso
0
0
di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5 , 6° e 7 della legge

10. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato
dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio
2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria; ne consegue che,
con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza della questione ad
essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che i motivi di ricorso investano
specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine e che
essi siano ammissibili; in particolare, ove, come nel caso in esame, il ricorso sia stato
proposto avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in
vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima del 4 luglio 2009 (data di entrata in
vigore della legge n. 69 del 2009), tali motivi devono essere altresì corredati, a pena di
inammissibilità degli stessi, dalla formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai
sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis ad essi applicabile; in caso di
assenza o di inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche
dell’accertata nullità del termine, il rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale
produce infatti la stabilità delle statuizioni di merito relative a tali conseguenze.
11. Nel caso in esame il quinto motivo investe il tema al quale si riferisce la disciplina di cui
all’art. 32 prima citato in quanto censura la statuizione della sentenza impugnata nella
parte in cui ha confermato la condanna di Poste Italiane s.p.a. al risarcimento del danno
commisurato alle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora.
12. Con tale motivo, con il quale è stata denunciata violazione e falsa applicazione degli
artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094 e 2099 cod. civ., parte ricorrente lamenta, in
particolare, la violazione dei principi in tema di mora accipiendi e di corrispettività delle
prestazioni e contesta l’idoneità del ricorso introduttivo a costituire atto di messa in
mora. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc.

per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato — ha
diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio,
civ.:

5

4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.

13. Osserva il Collegio che il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in
astratto delle regole vigenti nella materia,senza enucleare il momento di conflitto
rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4
gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi
enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n.
36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile
alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito generico e
non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come nel caso di
specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
14. Il ricorso va pertanto respinto.
15. Nulla deve essere disposto in materia di spese legali concernenti il giudizio di
cassazione atteso il mancato svolgimento di attività processuale da parte del
lavoratore, rimasto intimato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 febbraio 2013.

salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la
prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.
Se in ogni caso la notificazione del ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. possa essere
considerata atto di messa in mora ex art. 1219 cod. civ.

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