Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10164 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 28/04/2010, (ud. 23/12/2009, dep. 28/04/2010), n.10164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DI NUBILA Francesco – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M., M.P., M.G., O.

G., P.G., S.M., V.P.

P., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato MARCIALIS LUIGI, giusta riandato a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

NUOVA SCAINI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

sul ricorso 23980-2006 proposto da:

NUOVA SCAINI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GALLONIO 18, presso lo studio dell’avvocato FREDIANI MARCELLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato DORE CARLO, giusta mandato a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.M., M.P., M.G., O.

G., P.G., S.M., V.P.

P., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato MARCIALIS LUIGI, giusta mandato a margine del ricorso;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 589/2005 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 19/07/2005 r.g.n. 199/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/12/2009 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con separati ricorsi del 13 maggio 2003 – poi riuniti per connessione oggettiva – la società Nuova Scaini proponeva opposizione ai precetti intimati dai suoi dipendenti M. M., M.P., M.G., O.G., P.G., S.M. e V.P.P. in esecuzione di alcune sentenze del Tribunale di Cagliari, giudice del lavoro, in data 15 aprile 2000, confermate dalla Corte d’Appello con sentenze in data 29 aprile 2002, che l’avevano condannata al risarcimento del danno subito dai lavoratori per illegittimo licenziamento, in misura pari alla retribuzione dal licenziamento alla reintegrazione nel posto di lavoro.

Al riguardo l’opponente deduceva che gli atti di precetto contestati riportavano somme lorde in favore dei lavoratori senza specificare i criteri di calcolo, che gli atti in questione sarebbero stati illegittimi per vizi formali e per ragioni connesse sia al merito della pretesa (l’an) che alla determinazione del quantum.

In particolare la Nuova Scaini deduceva che:

a) le sentenze di primo grado riportavano una condanna generica a titolo risarcitorio per la cui traduzione in termini monetari era necessaria altra e distinta determinazione giudiziale;

b) dalle sentenze di primo grado sarebbe risultato il rilascio di una copia esecutiva del dispositivo, ragion per cui le sentenze non avrebbero potuto essere spedite in forma esecutiva ed i lavoratori avrebbero agito in base a titoli errati; c) la condanna era a titolo di risarcimento danni, e di conseguenza avrebbe dovuto esserne detratto l’aliunde perceptum (quali l’indennità di mobilità ed i trattamenti previdenziali usufruiti).

Costituitosi il contraddittorio e riunite le cause, il giudice di primo grado rigettava il ricorso con sentenza dell’11 febbraio 2004, condannando l’opponente alle spese.

Con sentenza n. 589/05, depositata in cancelleria il 19 luglio 2005, la Corte d’Appello di Cagliari accoglieva l’appello principale proposto dalla società Nuova Scaini, e, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la nullità degli atti di precetto.

Accoglieva anche, parzialmente, l’impugnazione incidentale proposta dai lavoratori, e, per l’effetto, condannava la società a corrispondere ai dipendenti alcune somme per importi, peraltro, nettamente inferiori a quelli portati negli atti di precetto opposti.

Compensava, infine, per metà, le spese processuali, ponendone la rimanente metà a carico della società.

2. Nel frattempo erano passate in giudicato le sentenze che avevano dichiarato l’illegittimità dei licenziamenti, confermate da questa Corte, rispettivamente, con sentenza n. 15377/2004 del 9 agosto 2004 per quel che riguarda la posizione del M., con sentenza n. 16588/2004 del 23 agosto 2004, per quel che attiene a quella della M., e, infine, con sentenza n. 17219/2004 del 28 agosto 2004, quanto alle posizioni degli altri interessati M., O., P., S. e V..

3. Nell’ampia ed articolata motivazione, la Corte d’Appello riteneva, in sintesi:

a) che nel caso specifico fosse infondata la censura relativa alla pretesa duplicazione del titolo esecutivo, in quanto la copia in forma esecutiva della sentenza di primo grado era stata rilasciata perchè la copia in forma esecutiva del dispositivo rilasciata in precedenza non era stata utilizzata, e perciò doveva considerarsi sostanzialmente annullata con il rilascio del titolo definito;

b) in contrasto con l’opinione espressa su questo punto dal giudice di primo grado, che le sentenze che avevano dichiarato l’illegittimità dei licenziamenti e condannato il datore di lavoro al pagamento di un determinato numero di mensilità senza precisarne l’importo non potessero essere azionate in via esecutiva, in quanto costituivano validi titoli esecutivi soltanto le pronunzie in cui la quantificazione del credito risultava da operazioni aritmetiche eseguibili sulla base di dati contenuti nella sentenza, e che questo non era avvenuto nei casi di specie perchè le sentenze poste alla base, quali titoli esecutivi, dei precetti opposti si erano limitate a condannare la datrice di lavoro “al risarcimento dei danni subiti dai lavoratori commisurati a tutte le retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione”, e perciò per determinare il contenuto delle condanne era necessario utilizzare documenti “estranei”, non contenuti nel testo di quelle pronunzie;

c) che, di conseguenza, gli appellati non potessero procedere ad esecuzione forzata sulla base di esse;

d) che fosse fondato, però, l’appello incidentale dei lavoratori, perchè sussisteva un riconoscimento scritto degli importi dei crediti, contenuto in un conteggio trasfuso in una nota rilasciata dalla società;

e) che la relativa domanda riconvenzionale fosse riproponibile anche in appello, ancorchè il giudice di primo grado non avesse provveduto a fissare, ai sensi dell’art. 418 c.p.c., comma 1, una nuova apposita udienza di discussione, perchè in primo grado la controparte interessata aveva fatto acquiescenza alla presentazione della nuova domanda, accettando il contraddittorio sul punto, e non aveva chiesto appunto la fissazione di una nuova udienza;

f) che dovesse essere detratto da quanto dovuto l’aliunde perceptum, costituito nei casi specie dalle somme percepite dagli interessati a titolo di mobilità su erogazione dell’Inps.

4. Avverso la sentenza d’appello, che non risulta notificata, i signori M.M., M.P., M.G., O.G., P.G., S.M. e V. P.P. hanno proposto ricorso per Cassazione, con quattro motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 19 luglio 2006.

L’intimata società Nuova Scaini s.p.a. in liquidazione ha resistito con controricorso notificato, in termine, il 4 agosto 2006, proponendo contestualmente ricorso incidentale, con due motivi di impugnazione.

A loro volta i signori M., M., M., O., P., S. e V. hanno resistito al ricorso incidentale con proprio controricorso notificato il 10 agosto 2006, ed, infine, hanno depositato una memoria integrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo d impugnazione i ricorrenti denunziano la violazione dall’art. 474 c.p.c..

A questo fine gli interessati affrontano la problematica relativa alla esecutività, o meno, delle sentenze che dichiarano l’illegittimità di un licenziamento quando il datore di lavoro venga condannato al pagamento di un determinato numero di mensilità di retribuzione senza indicare l’importo di ciascuna di esse, riproponendo la tesi che era stata accolta dal giudice di primo grado, e ribadendo che nei casi di specie ciascun ricorrente aveva prodotto nel giudice giudizio documentazione contabile, non contestata dalla parte avversaria (modelli 101, prospetti retributivi e tabelle salariali), sulla cui base erano agevolmente determinabili gli importi.

2. Nel secondo motivo i lavoratori eccepiscono la violazione del principio “ne bis in idem”, e quella dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., sul punto della non detraibilità dell’aliunde perceptum” costituito dall’indennità di mobilità. Sottolineano che il giudice di primo grado aveva stabilito che le somme dovute ai lavoratori non dovevano subire detrazioni a titolo di “aliunde perceptum”, perchè la sentenza di primo grado nulla aveva disposto al riguardo, e sostengono anche che l’eccezione relativa all’avvenuta acquisizione, da parte dei lavoratori, dell'”aliunde perceptum” avrebbe dovuto essere proposta soltanto nel giudizio di merito.

3. Nel terzo motivo i lavoratori interessati ripropongono la stessa questione della non detraibilità dell’aliunde perceptum” costituito dall’indennità di mobilità sotto il diverso profilo della violazione dell’art. 1223 c.c..

Ricordano che non tutti i redditi percepiti dai lavoratori potevano considerarsi compensativi del danno, ma solo quelli conseguiti attraverso l’utilizzazione in altra attività della medesima attività lavorativa che era rimasta inutilizzata da parte dell’azienda.

In particolare ne rimanevano esclusi trattamenti pensionistici, previdenziali ed assistenziali, che erano relativi ad un diverso rapporto costituito con l’ente previdenziale.

Soltanto quest’ultimo aveva titolo per richiedere la restituzione delle somme erogate.

4. Infine, nel quarto motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano la mancata motivazione sul punto relativo all’ammontare dell'”aliunde perceptum”, sostenendo che il datore di lavoro non aveva fornito alcuna prova dell’effettivo ammontare delle somme percepite dai lavoratori a titolo di indennità.

Gli interessati contestano l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui gli interessati avrebbero fatto acquiescenza alla nota dell’azienda con l’indicazione degli importi, sulla quale si era fondata la sentenza, e, in particolare, l’entità di quelli indicati a titolo di indennità di mobilità, che, secondo quanto affermavano, erano stati esposti in misura eguale per ciascuno dei lavoratori.

5. Nel primo motivo del ricorso incidentale la società denuncia violazione dell’art. 2697 c.c..

Contesta che l’entità dei crediti dei lavoratori fosse adeguatamente provata dalla nota inviata dall’azienda e menzionata dalla sentenza, perchè i conteggi relativi erano stati redatti in funzione di una di una soluzione transattiva della vertenza.

6. Infine, nel secondo motivo dell’impugnazione incidentale la Nuova Scaini denunzia la violazione dell’art. 476 c.p.c., ribadendo che non poteva spedirsi alla stessa parte, senza giusto motivo, più di una copia in forma esecutiva di una sentenza.

7. Il primo motivo del ricorso principale è infondato, perchè un titolo, anche di formazione giudiziale, non può considerarsi esecutivo se non quando consente la determinazione degli importi dovuti o perchè già indicati nel proprio testo, o perchè comunque determinabili agevolmente in base agli elementi numerici contenuti in quel testo attraverso operazioni aritmetiche elementari, oppure predeterminati per legge, senza fare ricorso ad elementi numerici ulteriori che non risultino dal testo della pronunzia.

L’art. 474 c.p.c. stabilisce, infatti, che il titolo esecutivo debba essere “certo, liquido ed esigibile”.

Non va dimenticato che gli ufficiali giudiziari incaricati dell’esecuzione, e le stesse parti del procedimento esecutivo, debbono operare in base ad elementi numerici già certi, senza che sia possibile, in quella fase, una ulteriore attività di accertamento, dato che è ammessa solamente l’opposizione all’esecuzione ai sensi degli artt. 615 e 616 c.p.c., quando non sussistano i presupposti per procedere all’esecuzione, e specificamente, per quanto ora interessa, nei casi in cui il titolo non sia certo e/o liquido.

Questi principi valgono anche per la materia del lavoro: esiste un rito speciale del lavoro per la fase di accertamento, ma non per quella di esecuzione.

8. Nel caso di specie, dunque, la decisione adottata su questo punto dalla Corte d’Appello di Cagliari appare del tutto corretta, perchè le pronunzie poste a base dei precetti dichiaravano l’illegittimità dei licenziamenti, e condannavano la società datrice di lavoro a corrispondere ai lavoratori le mensilità di retribuzione globale di fatto intercorrenti tra le date dei licenziamenti e quelle delle effettive reintegrazioni, ma (per quanto risulta) non contenevano la quantificazione della retribuzione globale di fatto spettante a ciascun lavoratore interessato, e perciò non potevano costituire titolo esecutivo azionabile.

Come è noto il punto è stato oggetto di oscillazioni nella giurisprudenza, ma l’esistenza di precedenti più permissivi non può valere ad intaccare le argomentazioni appena svolte, che, al contrario trovano conferma nella giurisprudenza più recente e più convincente (in tal senso, in particolare, Cass. civ., 6 giugno 2003, n. 9132).

9. E’ fondata, invece, la censura contenuta nel terzo motivo del ricorso principale.

Non possono essere detratte, infatti, da quanto dovuto dal datore di lavoro a titolo di risarcimento per un licenziamento illegittimo le somme percepite ad altro titolo da istituti previdenziali o assistenziali.

La questione della compatibilità tra il risarcimento a carico del datore di lavoro per l’illegittimità del recesso e i trattamenti pensionistici – intesi in senso lato – è stato sottoposto alle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno affermato il principio di diritto secondo cui “in caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest’ultimo a norma della L. n. 300 del 1970, art. 18, commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fino alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall’interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicchè le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all’operatività della regola della “compensatio lucri cum damno”.

Tale compensatio, d’altra parte, non può configurarsi neanche allorchè, eccezionalmente, la legge deroghi ai requisiti del pensionamento, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l’ammissione al trattamento previdenziale, sicchè il rapporto fra la retribuzione e la pensione si ponga in termini di alternatività, nè allorchè il medesimo rapporto si ponga invece in termini di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo tra la pensione e la retribuzione, posto che in tali casi la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge “ex tane” il diritto al pensionamento e sottopone l’interessato all’azione di ripetizione di indebito da parie del soggetto erogatore della pensione, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un lucro compensabile col danno, e cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore.” (Cass. civ, S.U., 13 agosto 2002, n. 12194; nello stesso senso, tra le altre, Cass. civ, 14 febbraio 2005, n. 2928).

Si deve ritenere, perciò, con riferimento specifico al caso di specie, che l’indennità di mobilità percepita dai ricorrenti non debba essere detratta, come aliunde perceptum, dal risarcimento loro dovuto dal datore di lavoro a causa dell’illegittimità del recesso.

10. Il secondo ed il quarto motivo dell’impugnazione principale, anch’essi in materia di aliunde perceptum rimangono assorbiti dall’accoglimento del terzo motivo.

11. Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile perchè si risolve nella riproposizione di una questione di fatto, quella relativa all’idoneità di una prova, non suscettibile di riesame in questa sede di legittimità.

Il compito di valutare le prove, e la loro sufficienza, spetta esclusivamente al giudice merito, che, peraltro, è tenuto a dar conto della propria valutazione motivandola adeguatamente. Nel caso di specie, però, l’impugnazione è stata proposta per un motivo di diritto, e non per vizio di motivazione. Del resto, la Corte d’Appello di Cagliari ha motivato ampiamente e razionalmente sul punto, spiegando, a pag. 15 della motivazione, che quello riportato nella nota inviata dall’azienda, a fini conciliativi, il 22 maggio 2002 era un conteggio analitico delle competenze dovute ai lavoratori, anche se l’offerta in via conciliativa era limitata ad un 60% dell’intero.

12. Anche l’ultimo motivo del ricorso incidentale è infondato. Come rilevato, infatti, da questa Corte, “la disposizione di cui all’art. 431 cod. proc. civ., comma 2, nel testo modificato dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, la quale riconosce al lavoratore la facoltà di procedere ad esecuzione”con la sola copia del dispositivo in pendenza del termine per il deposito della sentenza” conferisce al dispositivo piena efficacia di titolo esecutivo destinata a permanere, in relazione allo specifico fine perseguito dal legislatore di consentire al lavoratore una pronta e celere realizzazione dei suoi diritti.” (Cass. civ., 4 novembre 1995, n. 11517).

Nel caso di specie, come sottolineato nella motivazione della sentenza impugnata, la copia esecutiva della sentenza di primo grado era stata rilasciata su autorizzazione del capo dell’ufficio con attestazione nella copia del dispositivo rilasciato in precedenza in forma esecutiva perchè il titolo provvisorio non era stato azionato.

Di conseguenza, come esattamente ritenuto dalla Corte d’Appello di Cagliari, quel titolo provvisorio doveva ritenersi sostanzialmente annullato con il rilascio del titolo definitivo.

13. Perciò, conclusivamente, deve essere accolto soltanto il terzo motivo del ricorso principale, e la sentenza cassata in relazione ad esso.

Devono essere rigettati il primo motivo dello stesso ricorso principale, e per intero il ricorso incidentale, mentre, infine, il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale rimangono assorbiti dall’accoglimento del terzo motivo dello stesso ricorso.

L’accoglimento del terzo motivo del ricorso principale sull’aliunde perceptum, e la cassazione della sentenza sul punto, comportano la necessità di un nuovo conteggio dell’importo dovuto.

La causa deve essere rimessa, per un nuovo esame ad un giudice di rinvio, che si individua nella Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione, cui appare opportuno rimettere anche la liquidazione delle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il secondo e il quarto, rigetta il primo motivo, nonchè il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

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