Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10163 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 28/05/2020), n.10163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19375/13 R.G. proposto da:

CLEAN CONSULT INTERNATIONAL S.P.A., in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa, giusta mandato a margine del

ricorso, dall’avv. Francesco Saverio Frasca, con domicilio eletto

presso lo studio dell’avv. Luca Di Palo, in Roma, via Germanico, n.

96;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 14/8/13 depositata in data 23 gennaio 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

Fatto

RILEVATO

che:

La società Clean Consult International s.p.a. impugnava, dinanzi alla Commissione provinciale di Lodi, l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione, in relazione all’anno 2006, costi non deducibili perchè non documentati e costi non di competenza.

In particolare, la contribuente deduceva di avere imputato la fattura n. (OMISSIS) del 30 novembre 2006, emessa dalla International Packaging s.r.l., all’esercizio 2006, anzichè al 2005, poichè solo nel 2006 era divenuto certo ed obiettivamente determinabile l’esatto ammontare delle prestazioni.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso limitatamente alla deducibilità dei costi derivanti dalla fattura n. (OMISSIS), emessa dalla International Packaging s.r.l., rigettandolo per il resto.

In esito all’appello proposto dall’Ufficio, la Commissione regionale accoglieva l’impugnazione. Dopo avere dato atto che la prestazione non era regolata da alcun contratto o accordo scritto, circostanza questa del tutto irrilevante in ragione del principio della libertà di forma negoziale, poneva in rilievo che le ammissioni del legale rappresentante della società cedente e della società cessionaria, che avevano dichiarato che le prestazioni oggetto di fatturazione erano state eseguite nell’anno 2005 e che nello stesso anno erano stati pagati acconti per Euro 91.329,00 – circostanze non contraddette da prova contraria – lasciavano ritenere che i criteri di certezza e determinabilità richiamati dal t.u.i.r., art. 109, si fossero concretizzati nell’anno 2005, e non nell’anno 2006, per cui l’esercizio di competenza per la deducibilità di detti costi era l’anno 2005. Ritenevano, pertanto, legittima la ripresa a tassazione dell’importo portato dalla fattura n. (OMISSIS), quale imponibile non deducibile e non detraibile ai fini I.V.A.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione la Clean Consult International s.p.a., affidandosi a due motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 1.

Sostiene che la motivazione della decisione impugnata sarebbe errata perchè la Commissione regionale non avrebbe tenuto conto che oggetto del contendere non era una ordinaria ipotesi di fornitura “chiusa”, alla quale avrebbe dovuto conseguire il pagamento e l’imputazione del relativo costo nell’anno d’imposta in corso, ma piuttosto un’ipotesi che trovava la propria fonte normativa nel citato art. 109, comma 1, che prevede, in deroga alla regola generale di imputazione dei costi all’esercizio di competenza, che questi possano essere imputati ad altro esercizio e, precisamente, a quello in cui essi diventino certi e siano determinabili in modo obiettivo nell’ammontare.

Come era emerso nel giudizio di merito, i rapporti intercorsi con la International Packaging s.r.l., aventi ad oggetto la fornitura di imballaggi, erano fondati su un rapporto di commissione di tipo “aperto” da eseguire sul posto di produzione sulla base delle lavorazioni di volta in volta da effettuare e per un tempo non predeterminabile; la ricorrenza di tale tipo di commessa, per la quale i giudici di secondo grado avevano ritenuto del tutto irrilevante l’assenza di un contratto scritto, non consentiva di determinare in modo obiettivo l’ammontare e l’esatta esistenza della spesa di esercizio; soltanto all’esito della cessazione della commessa e della rendicontazione, avvenuta nel 2006, era divenuta certa l’esistenza e determinabile in modo obiettivo l’ammontare delle spese e, pertanto, solo in quell’anno le stesse concorrevano a formare il reddito imponibile.

2. Con il secondo motivo censura la sentenza impugnata per erroneità della motivazione su un punto decisivo della controversia, ribadendo che il punto dirimente non era se la prestazione oggetto di fatturazione fosse o meno stata eseguita nell’anno 2005, ma se il costo della prestazione fosse divenuto o meno certo nel 2005.

3. Il primo ed il secondo motivo, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.

Costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo cui in tema di imposte sui redditi d’impresa, dalla previsione di cui al t.u.i.r., art. 109, si desume che anche per le spese e gli altri componenti negativi, dei quali “non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare”, il legislatore considera come esercizio di competenza quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali voci, limitandosi soltanto a prevedere una deroga al principio della competenza, con il consentire la deducibilità di dette spese e componenti nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare.

L’individuazione dell’esercizio di competenza implica, dunque, un accertamento di fatto, che rientra fra i compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento può essere censurato in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. n. 18237 del 24/10/2012).

Di conseguenza l’obiettiva determinabilità prevista dalla legge non è collegabile alla manifestazione della volontà delle parti sul costo, essendo, altrimenti, ad esse rimessa la scelta di stabilire a quale esercizio di competenza imputare il relativo componente del reddito d’impresa, e il mancato accordo delle parti non significa che il costo non possa essere, prima dell’accordo, obiettivamente determinabile (Cass. n. 10988 del 14/5/2007).

Nel caso di specie, i giudici di merito, con accertamento in fatto, hanno rilevato che le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società cedente e quelle rese dal legale rappresentante della società cessionaria provano in modo inequivocabile che le prestazioni oggetto di fatturazione sono state, in parte, eseguite nel 2005 e che nello stesso anno sono stati effettuati i pagamenti degli acconti per un importo di Euro 91.329,00. Tali circostanze di fatto non possono essere superate dalle mere argomentazioni della società contribuente, la quale, anche in questa sede, si è limitata ad affermare che il contratto concluso con la società fornitrice di imballaggi era “aperto”, senza tuttavia offrire concreti riscontri probatori idonei a dimostrare che il costo di tali prestazioni fosse divenuto certo e obiettivamente determinabile solo nel 2006, all’esito della cessazione della commessa e della relativa rendicontazione, cosicchè deve ritenersi che il percorso argomentativo seguito dai giudici di appello sia esente dal dedotto vizio motivazionale, avendo la Commissione, al contrario, accertato che le condizioni di certezza e obiettiva determinabilità della spesa fossero già venute ad esistenza nel 2005.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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