Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1016 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. II, 20/01/2021, (ud. 23/06/2020, dep. 20/01/2021), n.1016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19747-2019 proposto da:

K.O., rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO SASSI, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto di rigetto n. 1026/2019 del TRIBUNALE di

CAMPOBASSO, depositato il 13/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2020 dal Consigliere GIANNACCARI ROSSANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il giudizio trae origine dalla domanda presentata da K.O., cittadino della Liberia, con la quale chiedeva alla Commissione Territoriale di Salerno – sez. di Campobasso – il riconoscimento della protezione internazionale nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o umanitaria.

1.1. La domanda di protezione internazionale veniva rigettata dalla Commissione territoriale.

1.2. Avverso tale provvedimento, il richiedente proponeva ricorso al Tribunale di Campobasso, che, con Decreto del 13 maggio 2019, rigettava la domanda.

1.3. Osservava il Tribunale come le ragioni per le quali il ricorrente aveva lasciato il paese d’origine fossero estranee al perimetro della protezione internazionale, perchè attinenti al timore di contrarre l’ebola, dopo che ne era stata affetta la madre con esito letale. Accertava, in ogni caso, che in Liberia non era in atte alcuna epidemia.

1.4. Quanto al difetto dei presupposti per la protezione sussidiaria per la presenza in Liberia di un conflitto indiscriminato, il Tribunale adito, richiamando l’ultimo rapporto di Amnesty International (2017-18), evidenziava l’assenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non ravvisandosi nel Paese d’origine situazioni di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno.

1.5. Quanto, infine, alla tutela rappresentata dal permesso di soggiorno per motivi umanitari, il Tribunale osservava come non fossero stati allegati dal richiedente motivi o documenti dai quali si potesse ricavare che il richiedente fosse affetto da gravi stati patologici o fosse, più in generale, vulnerabile al punto che un rientro nel Paese d’origine lo avrebbe esposto a situazioni umanitarie di particolare complessità.

2. Ha proposto ricorso per cassazione K.O. sulla base di tre motivi.

2.1. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato alla controparte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis commi 9 e 11, e successive modifiche, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e successive modifiche, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e) e g) e artt. 3, 4, 5, 14 e art. 16, comma 1, lett. b) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente e della situazione esistete in Liberia sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria. Con la doglianza in esame, il ricorrente lamenta, in primis, l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria da parte del Tribunale nel rigettare le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, con conseguente omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; in particolare, il giudice di merito non avrebbe tenuto conto della diffusione dell’ebola nei paesi africani e della sua letalità, sicchè sarebbe erronea l’affermazione del Tribunale secondo cui il rischio sarebbe cessato. Il Tribunale non avrebbe cooperato attivamente nell’accertamento dei fatti anche attraverso l’audizione del ricorrente, considerata l’assenza di videoregistrazione del colloquio dinanzi alla commissione territoriale, limitandosi a recepire la valutazione espressa dalla Commissione Territoriale.

1.1 Ai motivo non è fondato.

1.2. Come risulta testualmente dal decreto impugnato, il Tribunale ha fissato l’udienza di comparizione delle parti poichè in sede amministrativa non era stata effettuata la videoregistrazione. Tale interpretazione è conforme alla lettura, in combinato disposto, del D.Lgs. n. 25 del 2008 e dell’art. 35 -bis, commi 10 ed 11, che distinguono, rispettivamente, i casi in cui il giudice può fissare discrezionalmente l’udienza, da quelli in cui egli deve necessariamente fissarla, e, precisamente. Il caso di assenza della videoregistrazione, che, secondo le intenzioni del legislatore, è elemento centrale del procedimento in quanto consente al giudice di valutare il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, inclusi quelli non verbali (ex multis Cassazione civile sez. VI, 27/09/2019, n. 24112;Cassazione civile sez. I, 28/02/2019, n. 5973; Cassazione civile sez. I, 05/07/2018, n. 17717).

1.3. Ulteriore aspetto, posto in rilievo dal ricorrente riguarda l’obbligo di audizione del richiedente la protezione internazionale, al fine di assicurare un contraddittorio non meramente cartaceo ma effettivo con la presenza della persona interessata.

1.4. Anche questa censura deve essere disattesa.

1.5. L’obbligo di fissazione dell’udienza di comparizione personale del richiedente in caso di assenza della videoregistrazione non implica necessariamente l’obbligo dell’audizione del richiedente da parte del giudice di merito.

1.6. Anche nella materia della protezione internazionale vige il generale dovere di allegazione delle ragioni per le quali sì impugna il provvedimento della Commissione Territoriale; il motivo di ricorso non può esaurirsi nella generica doglianza dell’assenza dell’ascolto personale, che non è previsto nè dalla normativa nazionale nè da quella Euro unitaria.

1.7. Secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 26.7.2017, Moussa Sacko, la necessità che il giudice proceda all’audizione del richiedente deve essere valutata alla luce del generale dovere di allegazione previsto dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva 2013/32. Il giudice può decidere di non procedere all’audizione del richiedente nell’ambito del ricorso dinanzi ad esso pendente solo nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale con il richiedente in occasione del procedimento di primo grado. La Corte di giustizia ha quindi definito la questione pregiudiziale stabilendo che la direttiva 2013/32/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e in particolare gli artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione. E’ invece necessario che, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’art. 17, paragrafo 2, della direttiva medesima. In conclusione, secondo la Corte di Lussemburgo, spetta al giudice stabilire la necessità di disporre l’audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’art. 46, paragrafo 3, di tale direttiva.

1.8. Tale approdo, come rilevato dalla stessa Corte di giustizia, è del resto coerente con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui lo svolgimento dell’udienza non è necessario quando la causa non prospetti questioni di fatto e di diritto che non possano essere risolte sulla scorta del fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti (Corte EDU 12 novembre 2002, Dory c. Suede, 37).

1.9. Nel caso di specie, il motivo di ricorso denuncia plurime violazioni di legge senza confrontarsi compiutamente con la motivazione impugnata, limitando le doglianze ad un apodittico diritto all’ascolto e ad un generico dovere di cooperazione istruttoria.

1.10. Nella specie, il giudice di merito ha correttamente escluso che il timore di contrarre la malattia ebola, non solo è estraneo alla nozione di danno grave al fine del riconoscimento dello status di rifugiato, ma ha accertato che dal 2016 il virus è stato debellato e che dal 2018 non ha più diffusione nemmeno l’ultima epidemia presente in Africa. Tale affermazione è contestata con affermazioni apodittiche e citazioni confuse e disaricolate di massime giurisprudenziali.

1.11. Quanto alla censura di inadempimento del dovere cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha richiamato, in conformità al dovere di cooperazione sullo stesso gravante, le fonti (Amnesty International – report 2017/2018), che accertavano l’inesistenza di una situazione di conflitto armato interno e/o internazionale nel Paese d’origine del richiedente, facendo applicazione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; Cass. n. 13858 del 2018).

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in Liberia; lamenta che il Tribunale non abbia valutato le condizioni di vulnerabilità ed i rischi connessi al rientro nel Paese di provenienza in considerazione della gravissima crisi economica e della concreta violazione dei diritti umani fondamentali.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Il Tribunale ha escluso sia la condizione di vulnerabilità per essere il ricorrente affetto da particolari patologie o caratteri di vulnerabilità ed il motivo si risolve in una generica doglianza delle condizioni di sicurezza e di instabilità politica, senza peraltro alcun riferimento a fonti internazionali e quindi, in una mera ed apodittica affermazione delle tesi del ricorrente.

3.Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 bis, comma 2, lett. a), per aver il Tribunale di merito, in conseguenza della ravvisata infondatezza del ricorso, disposto la revoca del patrocinio gratuito a spese dello stato.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio deve essere impugnato con il mezzo di impugnazione suo proprio, che è l’opposizione, da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che ha disposto la revoca (ex multis Cassazione civile sez. VI, 08/03/2018, n. 5535).

3.3. La revoca del gratuito patrocinio non attiene, infatti, al merito della causa ma alla verifica delle condizioni personali e patrimoniali per ottenere il beneficio delle spese a carico dello Stato, sicchè non integra un autonomo capo della decisione. E’ compito del giudice dell’opposizione, da promuovere ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, verificare la sussistenza delle condizioni della revoca, che postula l’accertamento del presupposto della colpa grave nella proposizione dell’aione, valutazione diversa ed autonoma rispetto a quella afferente alla fondatezza del merito della domanda (Cassazione civile sez. VI, 10/04/2020) 4.11 ricorso va, pertanto, rigettato.

4.2 Non deve provvedersi sulle spese non avendo l’intimato svolto attività.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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