Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10159 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 28/05/2020), n.10159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4027/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CAFFARO s.r.l. in liquidazione in amministrazione straordinaria e

SNIA s.p.a. in amministrazione straordinaria, ciascuna in persona

del relativo Commissario straordinario ed entrambe rappresentate e

difese, per procura speciale in atti, dal Prof. Avv. Augusto

Fantozzi, dall’Avv. Edoardo Belli Contarini, dall’Avv. Roberto

Altieri e dall’Avv. Daniela Cutarelli, con domicilio eletto presso

lo studio dei predetti in Roma, via Sicilia, n. 66;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 135/24/2013, depositata in data 8 ottobre 2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio

2020 dal consigliere Dott. Cataldi Michele.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Caffaro s.r.l. (in qualità di società consolidata) e la Snia s.p.a. (quale società consolidante), dall’anno d’imposta 2006 avevano optato per il regime fiscale del consolidato nazionale, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 117-129.

Successivamente era stata dichiarata aperta la procedura di amministrazione straordinaria a carico sia della Caffaro s.r.l. (in data 18 dicembre 2009) che della Snia s.p.a. (il 14 ottobre 2010).

Il 27 novembre 2011 l’Agenzia delle entrate ha emesso, nei confronti della Caffaro s.r.l. in liquidazione in amministrazione straordinaria e della Snia s.p.a. in amministrazione straordinaria, un avviso di accertamento unico, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40 bis, in materia di Ires relativa all’anno d’imposta 2006, contestando la deduzione, da parte della Caffaro s.r.l., di costi non di competenza dell’esercizio accertato e di costi non inerenti.

2. Le contribuenti, hanno congiuntamente impugnato l’accertamento, eccependo:

a) che l’avviso d’accertamento unico non avrebbe potuto essere emesso, poichè il consolidato era già venuto meno con la precedente apertura della procedura di amministrazione straordinaria a carico della consolidata Caffaro s.r.l., che aveva condotto all’approvazione del programma liquidatorio che comportava la retrocessione a quest’ultima delle sue perdite fiscali, relative all’anno d’imposta accertato, con la conseguente impossibilità della consolidante Snia s.p.a. di dedurle, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40 bis, comma 3;

b) l’inesistenza del presupposto impositivo, in relazione alla sussistenza di ingenti perdite fiscali a carico della consolidata Caffaro s.r.l., sia ante consolidato (e quindi utilizzabili in ogni caso esclusivamente da quest’ultima); sia relative al periodo accertato (ma che la consolidante non poteva fare oggetto dell’istanza di cui al ridetto D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, comma 3, a causa del precedente scioglimento del consolidato);

c) l’infondatezza del disconoscimento dei costi ritenuti dall’Amministrazione non di competenza dell’esercizio accertato e non inerenti;

d) l’illegittima ed immotivata determinazione delle sanzioni irrogate dall’accertamento nella misura del 120%.

L’adita Commissione tributaria provinciale di Milano ha parzialmente accolto il ricorso, annullando il solo rilievo concernente i costi ritenuti dall’Ufficio non di competenza dell’anno d’imposta accertato.

3. Ambedue le società in amministrazione straordinaria hanno proposto appello principale, riproponendo sia la questione della nullità dell’avviso d’accertamento che quella dell’inerenza dei costi non riconosciuti da tale atto impositivo. L’Agenzia delle entrate ha proposto appello incidentale, in relazione al capo della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la deducibilità dei costi che l’accertamento assumeva non di competenza del periodo de quo.

L’adita Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello principale delle società contribuenti in amministrazione straordinaria.

4. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso, affidato a due motivi, l’Amministrazione.

5. Le società contribuenti in amministrazione straordinaria si sono costituite con controricorso ed hanno depositato memoria.

6. Il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale Dott. de Augustinis Umberto, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente Agenzia denuncia la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis e del TUIR, art. 126, comma 2”, per avere il giudice a quo ritenuto la nullità dell’accertamento unico controverso, per essere stato emesso dopo che il consolidato nazionale in questione si era già interrotto.

Assume infatti la ricorrente che il t.u.i.r., art. 126, comma 2, dispone che il regime fiscale del consolidato nazionale “cessa dall’inizio dell’esercizio in cui interviene la dichiarazione del fallimento o il provvedimento che ordina la liquidazione”, e quindi ex tunc, determinando pertanto una successione tra lo stesso regime opzionale e quello fiscale ordinario, nel caso di specie avvenuta nell’anno d’imposta 2009, con il conseguente corollario che ai redditi relativi agli anni d’imposta inclusi tra l’inizio (2006) e la cessazione (2009) del consolidato si applicano le norme, anche procedimentali, che disciplinano quest’ultimo.

Pertanto, secondo la stessa ricorrente, è determinante, ai fini dell’utilizzabilità del procedimento di rettifica di cui al predetto D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, esclusivamente la vigenza del consolidato nel periodo d’imposta oggetto dell’accertamento, essendo invece irrilevante che esso sia cessato successivamente all’esercizio accertato e prima dell’avviso d’accertamento.

Nel caso di specie, il maggior imponibile imputato alla consolidata Caffaro s.r.l. è relativo all’esercizio 2006, nel quale era operativo, per effetto dell’opzione delle due società in questione, il regime del consolidato nazionale. L’interruzione di quest’ultimo, “a seguito del decreto, datato 27.11.2009, con cui il Tribunale di Udine ammetteva le società alla procedura dell’amministrazione straordinaria” (pag. 4 del ricorso), e quindi t.u.i.r. ex art. 126, comma 2 (per il quale “Nel caso di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa, l’esercizio dell’opzione non è consentito e, se già avvenuto, cessa dall’inizio dell’esercizio in cui interviene la dichiarazione del fallimento o il provvedimento che ordina la liquidazione”) non ha determinato, secondo l’ufficio ricorrente, la retroattiva applicazione alle medesime società, relativamente all’anno d’imposta accertato, del regime fiscale ordinario, neppure relativamente al procedimento d’accertamento.

2. Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente Agenzia denuncia la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, anche in relazione all’art. 159 c.p.c., comma 2, quale espressione del principio generale di conservazione degli atti giuridici”.

Assume infatti l’Ufficio che, in ogni caso, sotto il profilo procedimentale, la notifica dell’accertamento unico (anche) alla società già consolidata, al cui imponibile si riferiscono le rettifiche, è condizione di per sè idonea e sufficiente alla validità dell’atto impositivo (quanto meno) nei confronti della medesima società, la cui legittimità non è comunque venuta meno per la sola circostanza che lo stesso avviso sia stato notificato anche alla società già consolidante.

3. I due motivi, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente e sono ammissibili, nonostante l’eccezione delle controricorrenti in ordine alla pretesa carente esposizione dei fatti di causa, per effetto della quale il ricorso violerebbe l’art. 366 c.p.c., comma 1.

Infatti, la motivazione della decisione impugnata fonda, a priori, la pregiudiziale invalidità dell’accertamento unico, e la necessità di procedere con distinti accertamenti nei confronti di ciascuna delle due società, sull’inapplicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, a causa della precedente cessazione del consolidato nazionale.

Pertanto, ai fini della censura della decisione, che prescindeva dall’esistenza e del contenuto delle perdite (evidenziando anzi che tale questione non rappresentava il punto rilevante ai fini della pregiudiziale questione della validità dell’accertamento), il contenuto del ricorso, nel suo complesso, appare contenere tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata.

3.1. Il primo motivo inoltre è fondato.

E’ opportuno, innanzitutto, premettere che, per quanto qui interessa (e quindi a prescindere dalla data completa del relativo provvedimento che ha sottoposto la Caffaro s.r.l. alla procedura di amministrazione straordinaria, che le parti indicano diversamente, fatto salvo che per l’anno, concordemente individuato nel 2009), è incontestato e risulta dalla sentenza che la cessazione del consolidato nazionale è avvenuta dall’inizio dell’esercizio 2009 ed a seguito dell’assoggettamento della predetta consolidata all’amministrazione straordinaria.

L’attribuzione, all’assoggettamento all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, dell’efficacia non solo impeditiva, ma anche interruttiva dell’opzione per la tassazione di gruppo, è stata prevista, ad integrazione del t.u.i.r., art. 126, comma 2, dal combinato disposto tra il D.M. attuativo 9 giugno 2004, art. 4, comma 1, lett. b), e art. 13, emanato ai sensi del t.u.i.r., artt. 129 e 124.

Lo stesso decreto ministeriale d’attuazione ha indicato, all’art. 13, comma 1, le conseguenze derivanti dalla cessazione dell’efficacia dell’opzione già esercitata, assimilandone il trattamento a quello che il t.u.i.r., art. 124, riserva alle altre ipotesi di interruzione della tassazione di gruppo prima del compimento del triennio. Tuttavia, lo stesso decreto d’attuazione, art. 13, comma 4, prevede che nell’ipotesi in esame non si applichi la disposizione di cui al t.u.i.r., art. 124, comma 1, lett. a), secondo il quale il reddito della società o dell’ente controllante, per il periodo d’imposta in cui viene meno tale requisito, viene aumentato o diminuito per un importo corrispondente agli interessi passivi dedotti o non dedotti nei precedenti esercizi del triennio per effetto di quanto previsto dal t.u.i.r., art. 97, comma 2.

Poichè le parti, e la stessa sentenza impugnata, non pongono in dubbio che l’apertura della procedura disciplinata dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 abbia, nel caso di specie, provocato l’interruzione del l’opzione per il consolidato nazionale, non si pone in questa sede la necessità di distinguere, al fine di riconoscere tale effetto nel caso di specie, tra le due modalità alternative di gestione della crisi, una basata sulla predisposizione – da parte del commissario straordinario – di un programma di cessione delle attività e, pertanto, finalizzata all’integrale liquidazione del complesso produttivo; l’altra basata sulla predisposizione – da parte del commissario straordinario – di un programma di ristrutturazione economico- finanziaria e, pertanto, finalizzata alla salvaguardia dei livelli occupazionali e produttivi e, in ultima analisi, alla ripresa dell’attività imprenditoriale.

3.2. Altrettanto incontestato è che le rettifiche in questione riguardano l’imponibile della consolidata Caffaro s.r.l. per l’anno d’imposta 2006. Neppure contestato, infine, è che l’accertamento in questione è stato notificato alle contribuenti il 27 novembre 2011.

Sulla base di tali dati, è quindi applicabile alla fattispecie controversa il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, le cui le disposizioni, ai sensi del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 35, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, sono entrate in vigore l’1 gennaio 2011, “con riferimento ai periodi di imposta per i quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i termini di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43.”. Disposizione intertemporale, quest’ultima, che conferma come la novellata disciplina della rettifica, con l’accertamento unico, delle dichiarazioni dei soggetti aderenti al consolidato nazionale sia ancorata dal legislatore al periodo d’imposta, trovando applicazione quando quest’ultimo sia compreso all’interno della vigenza dell’opzione per il consolidato nazionale.

Tanto premesso in ordine all’applicabilità “originaria”(invero non contestata sotto il profilo cronologico, non essendo in discussione che l’esercizio in questione ricada nell’ambito della predetta norma intertemporale) al periodo d’imposta controverso dell’accertamento unico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, non può condividersi l’affermazione della CTR secondo cui la stessa disposizione sarebbe divenuta non più applicabile al caso di specie a causa della sopravvenuta, nel 2009, cessazione del consolidato. Infatti tale argomentazione è motivata esclusivamente sulla base del t.u.i.r., art. 126, comma 2 (per il quale “Nel caso di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa, l’esercizio dell’opzione non è consentito e, se già avvenuto, cessa dall’inizio dell’esercizio in cui interviene la dichiarazione del fallimento o il provvedimento che ordina la liquidazione.”). Tuttavia tale disposizione prevede sì un netto iato tra consolidato e regime fiscale ordinario, ma non anche la retroattiva reviviscenza della disciplina di quest’ultimo rispetto agli esercizi già esauriti ed inclusi nel perimetro temporale del consolidato, prima della sua cessazione; nè quindi, la sottrazione, ex post ed ex tunc, di ogni efficacia attribuita dall’ordinamento tributario all’opzione delle società contribuenti per lo stesso consolidato.

3.3. Le controricorrenti, a sostegno della tesi della CTR (di per sè non ulteriormente argomentata), contrappongono una serie di dati normativi dai quali vorrebbero trarre la conferma dell’inapplicabilità dell’accertamento unico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, alle ipotesi nelle quali, pur se nel periodo d’imposta rettificato era efficace l’opzione del consolidato, quest’ultimo era già cessato al momento dell’emissione dell’avviso d’accertamento unico.

Si tratta di disposizioni – di seguito richiamate- relative alla disciplina (novellata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 35, comma 1, convertito dalla L. n. 122 del 2010), applicabile ratione temporis, delle perdite di periodo del consolidato non utilizzate, rispetto alle quali il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, comma 3, attribuisce alla consolidante la facoltà di chiedere, con apposita istanza, che siano computate in diminuzione dei maggiori imponibili derivanti dalle rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al consolidato. Contemporaneamente, è stato abrogato il D.M. attuativo 9 giugno 2004, art. 9, comma 2, ultimo periodo, ai sensi del quale la rettifica del reddito complessivo di ciascun soggetto che aveva esercitato l’opzione per il consolidato era, senza necessità di un’apposita istanza, imputata alle perdite non utilizzate in sede di dichiarazione dei redditi del consolidato, fino a concorrenza del loro importo.

In sintesi, le difese delle controricorrenti prendono in considerazione:

A) il ridetto D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis (introdotto dal citato D.L. n. 78 del 2010, art. 35, comma 1, convertito dalla L. n. 122 del 2010), secondo cui:

“1. Ai fini dell’imposta sul reddito delle società, il controllo delle dichiarazioni proprie presentate dalle società consolidate e dalla consolidante nonchè le relative rettifiche, spettano all’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente alla data in cui è stata presentata la dichiarazione.

2. Le rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al consolidato sono effettuate con unico atto, notificato sia alla consolidata che alla consolidante, con il quale è determinata la conseguente maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale e sono irrogate le sanzioni correlate. La società consolidata e la consolidante sono litisconsorti necessari. Il pagamento delle somme scaturenti dall’atto unico estingue l’obbligazione sia se effettuato dalla consolidata che dalla consolidante.

3. La consolidante ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione dei maggiori imponibili derivanti dalle rettifiche di cui al comma 2 le perdite di periodo del consolidato non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo. A tal fine, la consolidante deve presentare un’apposita istanza, all’ufficio competente a emettere l’atto di cui al comma 2, entro il termine di proposizione del ricorso. In tale caso il termine per l’impugnazione dell’atto è sospeso, sia per la consolidata che per la consolidante, per un periodo di sessanta giorni. L’ufficio procede al ricalcolo dell’eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate, e comunica l’esito alla consolidata ed alla consolidante, entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza.

4. Le attività di controllo della dichiarazione dei redditi del consolidato e le relative rettifiche diverse da quelle di cui al comma 2, sono attribuite all’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente nei confronti della società consolidante alla data in cui è stata presentata la dichiarazione.

5. Fino alla scadenza del termine stabilito nell’art. 43, l’accertamento del reddito complessivo globale può essere integrato o modificato in aumento, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base agli esiti dei controlli di cui ai precedenti commi.”;

B) il D.L. n. 78 del 2010, art. 35, comma 3, convertito dalla L. n. 122 del 2010, secondo cui:

“Con provvedimento del Direttore dell’agenzia delle entrate, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabiliti i contenuti e le modalità di presentazione dell’istanza di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40-bis, comma 3, nonchè le conseguenti attività dell’ufficio competente. Il D.M. 9 giugno 2004, art. 9, comma 2, secondo periodo, e art. 17, sono abrogati.”;

C) il Provv. Direttore dell’agenzia delle entrate 29 ottobre 2010, n. 154309, art. 2 (che stabilisce i contenuti e le modalità di presentazione dell’istanza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, comma 3, e che è stato emanato in attuazione del predetto D.L. n. 78 del 2010, art. 35, comma 3), per il quale:

“2.1. Il Modello deve essere presentato dalla società consolidante che intenda avvalersi dell’utilizzo delle perdite del consolidato a fronte delle rettifiche del reddito complessivo proprio di ciascun soggetto che partecipa al consolidato, previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40-bis, comma 2, ivi incluse quelle derivanti dalle variazioni previste dal TUIR, art. 122, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2007.

2.2. Il Modello deve essere altresì presentato dalla società consolidante che intenda avvalersi dell’utilizzo delle perdite del consolidato nel procedimento di accertamento con adesione di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 9-bis.

2.3. Possono essere richieste in diminuzione dei maggiori imponibili le perdite di periodo del consolidato non utilizzate alla data di presentazione del Modello. Per perdite di periodo del consolidato devono intendersi sia le perdite relative al periodo d’imposta oggetto di rettifica, sia quelle ancora utilizzabili alla data di chiusura dello stesso ai sensi del TUIR, art. 84. Si scomputano prioritariamente le perdite relative al periodo d’imposta oggetto di rettifica.

2.4. Si considerano utilizzate alla data di presentazione del Modello:

(i) le perdite scomputate, ai sensi del TUIR, art. 84, nelle dichiarazioni dei redditi del consolidato relative ai periodi d’imposta successivi a quello oggetto di rettifica;

(ii) le perdite attribuite alle società che le hanno prodotte in ipotesi di mancato rinnovo o interruzione dell’opzione per il consolidato o rimaste in capo alla consolidante in caso di mancato rinnovo o interruzione totale della tassazione di gruppo, ai sensi del TUIR, artt. 124 e 125;

(iii) le perdite già utilizzate ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40-bis, comma 3, e del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 9-bis, comma 2, mediante presentazione del Modello;

(iv) le perdite rettificate o scomputate a seguito di precedenti atti impositivi diversi da quelli che danno luogo all’utilizzo di perdite mediante la presentazione del Modello.

2.5. Le perdite richieste in diminuzione mediante la presentazione del Modello non sono più nella disponibilità della consolidante.”.

D) il t.u.i.r., art. 124, comma 4 (richiamato dal predetto provvedimento direttoriale), secondo cui:

“Le perdite fiscali risultanti dalla dichiarazione di cui all’art. 122, i crediti chiesti a rimborso e, salvo quanto previsto dal comma 3, le eccedenze riportate a nuovo permangono nell’esclusiva disponibilità della società o ente controllante. Il decreto di cui all’art. 129 può prevedere appositi criteri per l’attribuzione delle perdite fiscali, risultanti dalla dichiarazione di cui all’art. 122, alle società che le hanno prodotte, al netto di quelle utilizzate, e nei cui confronti viene meno il requisito del controllo.”;

E) il D.M. attuativo 9 giugno 2004 (emanato ai sensi del t.u.i.r., artt. 129 e 124), che all’art. 13, comma 8, prevede che:

“8. Le perdite fiscali residue risultanti dalla dichiarazione di cui all’art. 9, in alternativa a quanto previsto dall’art. 124, comma 4, del testo unico, sono imputate alle società che le hanno prodotte e nei cui confronti viene meno il requisito del controllo secondo i criteri stabiliti dai soggetti interessati.”.

3.4. Rilevano quindi le controricorrenti che, in caso d’interruzione del consolidato, ai sensi del combinato disposto dei punti 2.3. e 2.4. (ii) del citato art. 2 del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, si considerano utilizzate e non possono essere richieste in diminuzione dei maggiori imponibili “le perdite attribuite alle società che le hanno prodotte in ipotesi di mancato rinnovo o interruzione dell’opzione per il consolidato o rimaste in capo alla consolidante in caso di mancato rinnovo o interruzione totale della tassazione di gruppo, ai sensi del TUIR, artt. 124 e 125”, con conseguente venir meno della facoltà della consolidante di chiedere che le stesse perdite siano computate in diminuzione dei maggiori imponibili derivanti dalle rettifiche di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, comma 2.

L’assunta inutilizzabilità, nel caso di cessazione del consolidato, della facoltà della consolidante di chiedere che le perdite siano computate in diminuzione comporterebbe pertanto, secondo le controricorrenti, l’inapplicabilità integrale dell’accertamento unico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis.

Al fine che qui rileva, e cioè esclusivamente per verificare pregiudizialmente se la sopravvenuta cessazione del consolidato determini l’inapplicabilità dell’accertamento unico relativamente a periodi d’imposta nei quali esso era invece operativo, tale conclusione non può essere condivisa.

Invero, a conferma di quanto già argomentato, la circostanza stessa che il citato provvedimento direttoriale, cui è stato demandato di stabilire i contenuti e le modalità di presentazione dell’istanza di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, comma 3, stabilisca, ai punti 2.3. e 2.4. (ii) dell’art. 2, che le perdite ivi previste non possano essere richieste dalla consolidante in diminuzione con il relativo modello, e si considerino utilizzate alla data di presentazione di quest’ultimo, lascia piuttosto presupporre che, in ragione del complesso normativo di vario livello richiamato dalle stesse contribuenti, l’accertamento unico continui ad applicarsi anche dopo che il regime del consolidato è cessato, giacchè altrimenti, ove in tal caso l’art. 40 bis fosse stato ritenuto radicalmente inapplicabile, l’esplicita esclusione – sia pur con il provvedimento direttoriale emanato in attuazione del predetto D.L. n. 78 del 2010, art. 35, comma 3 – della facoltà della consolidante di portare in diminuzione le stesse perdite con Istanza di cui al comma 3 di tale disposizione non sarebbe stata necessaria e non avrebbe senso logico.

Nella sostanza, dunque, sembra doversi ritenere che la questione dell’utilizzabilità, o meno, da parte della consolidante, delle perdite in caso di interruzione del consolidato fiscale, e quindi del contenuto dell’eventuale istanza facoltativa di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, comma 3, attenga alla disciplina “interna”, di vario rango normativo e da coordinare, dell’accertamento unico e ne presupponga l’applicazione, piuttosto che escluderne l’applicabilità.

In questo senso, peraltro, per quanto può rilevare, depone anche il passo della Circolare dell’Ufficio 6 giugno 2011, n. 27/E, par. 5.1 in parte riprodotto dalle stesse controricorrenti, nel quale si rileva che, in caso di interruzione o mancato rinnovo dell’opzione riguardante l’intero perimetro di consolidamento, “la procedura di scomputo delle perdite qui in esame non potrà trovare applicazione, in quanto in tale eventualità tutte le perdite prodotte in costanza di consolidato sono attribuite alle società che le hanno prodotte ovvero permangono nella esclusiva disponibilità della ex consolidante, secondo gli accordi di consolidamento all’uopo pattuiti e, pertanto, non possono essere utilizzate ai presenti fini”. Anche da tale fonte della prassi emerge infatti una questione di eventuale inutilizzabilità delle perdite, e quindi della facoltà di scomputarle con l’istanza in questione, ma non la radicale inammissibilità dell’accertamento unico che sostengono le controricorrenti.

3.5. E’ opportuno precisare che quanto sinora argomentato riguarda esclusivamente la questione procedimentale pregiudiziale dell’ammissibilità dell’accertamento unico de quo anche dopo la cessazione del consolidato, unico punto della controversia sul quale la sentenza impugnata si è pronunciata, con effetto assorbente di ogni altra questione sottoposta falle parti alla CTR.

Non sono quindi oggetto di questa pronuncia, ad esempio, aspetti relativi, in fatto, all’effettiva esistenza ed al valore delle perdite in questione; ed in diritto – all’esito dell’interpretazione delle diverse fonti normative applicabili e del loro coordinamento- alla loro effettiva utilizzabilità, o meno, da parte della società già consolidante; alla loro retrocessione alla società già consolidata; alla facoltà, o meno, di quest’ultima di utilizzare le perdite ad essa eventualmente riassegnate in sede di interruzione del consolidato fiscale, in compensazione di maggiori imponibili accertati con l’atto unico, in relazione alle annualità di vigenza del consolidato; all’esistenza, al valore ed all’utilizzabilità, da parte della società già consolidata, di ulteriori perdite, proprie di quest’ultima, preesistenti al consolidato.

Ogni ulteriore aspetto della questione, infatti (compresi quelli dei quali le controricorrenti hanno segnalato espressamente l’avvenuto assorbimento nel controricorso) ove ritualmente già introdotto e riproposto nel corso del giudizio di merito, potrà essere eventualmente oggetto del giudizio di rinvio, che segue alla cassazione della sentenza impugnata.

3.6. In particolare, poi, essendo rimasto assorbito, per effetto della decisione pregiudiziale impugnata, ogni ulteriore accertamento, anche in fatto, relativo alle perdite in questione, neppure sussistono elementi per valutare in questa sede la possibile rilevanza, nel caso concreto, della questione di legittimità costituzionale accennata, nel controricorso, dalle contribuenti, che nella sostanza attinge invero non l’applicabilità tout court dell’accertamento unico D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 40 bis, ma la disciplina dell’utilizzabilità, o meno, delle perdite, sulla quale la CTR ha omesso ogni pronuncia.

3.7. Fermo restando l’accoglimento del primo motivo, con il conseguente assorbimento del secondo, è opportuno rilevare comunque, ad abundantiam, che anche quest’ultimo è fondato, in quanto, anche laddove fosse stata ritenuta l’inammissibilità dell’accertamento unico nel caso in questione, la sua notifica (anche) alla società già consolidata, al cui imponibile si riferiscono le rettifiche, sarebbe comunque idonea e sufficiente alla validità dell’atto impositivo, quale accertamento ordinario, (quanto meno) nei confronti della medesima società, la cui legittimità non è comunque venuta meno per la sola circostanza che lo stesso avviso sia stato notificato anche alla società già consolidante.

Non osta a tale conclusione la pretesa incompetenza territoriale della Direzione regionale della Lombardia, che ha emesso l’atto, rispetto alla verifica della dichiarazione propria della società già consolidata, non avendo le controinteressate dedotto di aver denunciato tale vizio dell’atto già nel ricorso introduttivo, riproponendolo poi in appello, come avrebbero dovuto (Cass. 12/07/2018, n. 18425) e comunque potuto fare, atteso che, anche ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 bis, commi 1 e 2, l’Ufficio competente alla rettifica del reddito proprio della consolidata si determina in base al domicilio fiscale di quest’ultima. Nè sussiste la pretesa incompetenza “per valore” della Direzione generale dell’agenzia delle Entrate, per la circostanza che non si tratterebbe di verifica nei confronti di contribuenti titolari di ingenti volumi di affari, rispetto ai quali soltanto tale ripartizione territoriale sarebbe competente. Infatti, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che “In tema di accertamenti tributari, le Direzioni regionali delle Entrate sono munite, in virtù delle previsioni di autorganizzazione dell’Agenzia delle Entrate, adottate in diretta attuazione del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 66, comma 3, dei poteri di accesso, ispezione e verifica ispettiva, il cui esercizio, peraltro, è stato successivamente riconfigurato dal D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 13, conv., con modif., nella L. n. 2 del 2009, che ha riservato alle medesime Direzioni tali poteri di verifica nei confronti di contribuenti titolari di ingenti volumi di affari.” (Cass., 14/10/2016, n. 2085; conforme Cass. 19/01/2016, n. 848), con la conseguenza che l’istituzione, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, della riserva esclusiva di competenza delle Direzioni regionali, fondata su una norma di fonte primaria, non ha fatto venir meno la competenza di cui gli stessi uffici territoriali erano titolari per disposizione regolamentare (cfr. Cass. 21/12/2018, n. 33289; Cass. 03/10/2014,n. 20915).

Restano invece impregiudicate, come già rilevato, tutte le questioni relative al contenuto dell’accertamento, ed in particolar modo alla questione delle perdite utilizzabili, rispetto alle quali la CTR ha omesso, in ragione della pregiudiziale ritenuta invalidità dell’avviso, ogni accertamento e pronuncia in fatto ed in rito.

4.La domanda ex art. 96 c.p.c. delle controricorrenti va rigettata in conseguenza dell’accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributarla regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;

rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. delle controricorrenti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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