Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10158 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 28/05/2020), n.10158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25363/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALITEC s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, dal Prof. Avv.

Giuseppe Maria Cipolla, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 134;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo – sezione staccata di Pescara, n. 176/10/2013,

depositata in data 25 marzo 2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 gennaio

2020 dal consigliere Dott. Cataldi Michele.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Alitec s.p.a. ha presentato alla Direzione regionale dell’Abruzzo dell’Agenzia delle entrate istanza di disapplicazione, per il periodo d’imposta 2006, del regime delle c.d. società di comodo, di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 1, motivando l’inoperatività con il perdurante silenzio del Comune di Chieti sui progetti di riqualificazione incentivata di zone urbane degradate, presentati dalla contribuente nell’ambito di un programma per la ristrutturazione del corso centrale di Chieti e dell’opificio della medesima società.

L’Ufficio, con provvedimento del 18 aprile 2007, ha respinto l’istanza, per non avere la contribuente fornito alcuna spiegazione in ordine al mancato conseguimento di ricavi dallo svolgimento dell’attività imprenditoriale costituente il suo oggetto principale, ovvero la manutenzione ed il ricondizionamento di aeromobili.

2. Con avviso d’accertamento, relativo allo stesso anno d’imposta 2006, l’Agenzia delle Entrate, L. n. 724 del 1994 ex art. 30, comma 1, ha rettificato la dichiarazione Ires della contribuente, che non si era adeguata al parere della Direzione regionale relativo all’esercizio 2006, mentre aveva ricevuto un successivo parere erariale favorevole alla disapplicazione, relativamente all’anno d’imposta 2007, del regime delle società di comodo, in ragione dei dedotti ritardi, imputabili all’Ente nazionale Aviazione civile (E.N. A.C.), nel rilascio del certificato di agibilità delle opere di ampliamento di due hangars preesistenti, con conseguente impossibilità della stessa Alitec s.p.a., per cause ad essa non imputabili, di perseguire il proprio oggetto sociale principale.

3. La contribuente ha impugnato l’accertamento e l’adita Commissione tributaria provinciale di Chieti ha accolto il ricorso.

4. Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle entrate ha proposto appello, che la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo-sezione staccata di Pescara, con la sentenza n. 176/10/2013, depositata in data 25 marzo 2013, ha rigettato.

5. Contro la sentenza d’appello ha proposto ricorso, affidato a due motivi, l’Ufficio.

6. La contribuente si è costituita con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato a due motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso principale l’Ufficio denuncia la violazione della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 1; degli artt. 2697 e 2727 c.c.; e del t.u.i.r., art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo valorizzato, al fine di ritenere legittima la disapplicazione del regime delle società di comodo, le ragioni, per giustificare il mancato svolgimento dell’attività principale di manutenzione e ricondizionamento di aeromobili, dedotte dalla contribuente nel giudizio, ma non anche nell’interpello, fondato invece sull’incolpevole impossibilità di svolgere l’attività sociale secondaria di costruzione, ristrutturazione e compravendita di immobili.

Infatti, secondo l’Agenzia ricorrente, la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 109, lett. a), eliminando dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, l’inciso “salvo prova contraria”, dovrebbe condurre ad interpretare quest’ultima disposizione nel senso che la prova in giudizio dell’impossibilità oggettiva di conseguire i ricavi ed i redditi minimi determinati ex lege sarebbe consentita alla società contribuente solo previa presentazione dell’istanza di disapplicazione del regime delle società di comodo e, comunque, limitatamente alle medesime giustificazioni già esposte nello stesso interpello, che costituirebbe quindi “condizione di procedibilità dell’azione e limite delle giustificazioni deducibili nel successivo contenzioso” (pagg. 6 s. del ricorso).

1.1. Inoltre, il giudice a quo avrebbe violato le predette disposizioni normative attribuendo all’Amministrazione l’onere di provare che la società fosse in grado di operare attivamente nell’anno d’imposta accertato, laddove era invece onere della contribuente provare le circostanze oggettive, indipendenti dalla sua volontà, che le avrebbero impedito di conseguire i ricavi ed i redditi minimi previsti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, al fine di vincere la presunzione legale, relativa, di non operatività prevista da tale disposizione.

1.2. Ancora, la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che la mancanza delle autorizzazioni amministrative, necessarie al progetto di riqualificazione urbanistica cui ha partecipato la contribuente, potesse giustificare l’inoperatività di quest’ultima, laddove la L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, deve invece intendersi riferito all’impossibilità di svolgere l’attività imprenditoriale nel suo complesso, e non relativamente a singoli affari.

1.3. Infine, il giudice d’appello avrebbe erroneamente preso in considerazione, al fine di supportare l’impossibilità di operare dedotta dalla contribuente, l’accoglimento erariale dell’istanza di disapplicazione presentata dalla società relativamente all’anno d’imposta 2007, atteso il principio di autonomia di ciascuna annualità, del t.u.i.r., art. 7, e considerato che non vi è alcun giudicato esterno sul punto, non essendo stato impugnato il provvedimento dell’Ufficio, relativo all’esercizio 2007, favorevole al contribuente, ma conseguente ad interpello avente ad oggetto esclusivamente l’attività sociale principale, di manutenzione e ricondizionamento di aeromobili, di quest’ultima.

1.4. Tutte le censure esposte nel composito motivo sono infondate.

1.5. Innanzitutto, deve essere premesso che, con riferimento proprio all’anno d’imposta controverso, il 2006, questa Corte (Cass., 01/02/2019, n. 3063, ampiamente nella motivazione, le cui argomentazioni sul punto, che si condividono, sono di seguito richiamate) ha già avuto modo di precisare il testo della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, recante la disciplina antielusiva inerente le c.d. “società non operative”, o “di comodo”, applicabile ratione temporis, come risultante dal complesso quadro normativo delineatosi per effetto di una serie di interventi legislativi che lo hanno ripetutamente interessato in un ristretto arco temporale.

Infatti – all’esito della modifica apportata dal D.L. 11 marzo 1997, n. 50, art. 4, convertito, con modifiche, dalla L. 9 maggio 1997, n. 122, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, prima parte, le società ivi indicate, tra le quali figurano anche le s.p.a. “si considerano, salva la prova contraria, non operative se l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano (…)” applicando percentuali indicate dalla stessa norma.

Tale formulazione, compreso il riferimento alla prova contraria, non è variata all’esito della successiva modifica apportata dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 15, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che ha tuttavia inserito, nella L. n. 724 del 1994, art. 30, il comma 4-bis, che disciplina il c.d. “interpello disapplicativo”, prevedendo che “(…) in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonchè del reddito determinati ai sensi del detto articolo”, “la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 8” (lo stesso art. 37-bis è stato invero successivamente abrogato dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 1, comma 2, ma le disposizioni che lo richiamano devono intendersi comunque riferite all’interpello di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10-bis).

Per espressa previsione del D.L. n. 233 del 2006, art. 35, comma 16, le modifiche da esso apportate alla L. n. 724 del 1994, art. 30, compreso l’inserimento in quest’ultimo del comma 4-bis, si applicano dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del medesimo D.L. n. 233 del 2006, quindi dal periodo d’imposta 2006, oggetto dell’avviso d’ accertamento qui impugnato dalla contribuente. Successivamente, con la L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 109, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla L. n. 724 del 1994, art. 30, sopprimendo, nella prima parte del comma 1, il riferimento alla prova contraria e, nel comma 4 bis, eliminando, ai fini del c.d. “interpello disapplicativo”, il riferimento al “carattere straordinario” delle “oggettive situazioni” che abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi e degli ulteriori indicatori previsti dalla norma.

Le modifiche della L. n. 724 del 1994, art. 30, apportate dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 109, non trovano però applicazione con riferimento al periodo d’imposta relativo al 2006, oggetto dell’avviso di accertamento impugnato, poichè la stessa L. n. 724 del 1994, art. 1, comma 110, prevede che solo alcune delle novelle apportate dal precedente comma 109, debbano trovare applicazione a partire dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n. 233 del 2006, non comprendendo tra esse nè quella che ha eliminato dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, prima parte, il riferimento alla prova contraria della società contribuente non operativa; nè quella che ha fatto venir meno il necessario carattere straordinario delle circostanze oggettive di cui al comma 4-bis.

Pertanto, il testo della L. n. 724 del 1994, art. 30, applicabile, ratione temporis, alla fattispecie sub iudice, che attiene al periodo d’imposta 2006, è quello modificato dal D.L. n. 233 del 2006, che, in ordine al c.d. “interpello disapplicativo”, continua a prevedere, nella prima parte del comma 1, la prova contraria circa l’inoperatività della società; e, nel comma 4-bis, quale necessario presupposto della richiesta disapplicazione, la ricorrenza di situazioni – che abbiano reso impossibile il conseguimento dei ricavi e degli altri standard indicati nello stesso articolo – non solo “oggettive”, ma anche “di carattere straordinario”.

Così ricostruita la norma applicabile, ratione temporis, al caso di specie, è infondata la tesi della ricorrente Agenzia nella parte in cui pretende di confortare l’attribuzione, all’interpello disapplicativo, di una pretesa natura di condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisidizionale della contribuente, sulla base di una disciplina sostanziale – la L. n. 724 del 1994, art. 30, nella versione modificata dalla L. n. 296 del 2006 – che invece non è vigente, per le ragioni già esposte, rispetto all’anno d’imposta (2006) sub iudice.

1.6. Tanto premesso in ordine al dato normativo effettivamente applicabile, questa Corte ha comunque già escluso che dalla proposizione, o dalla mancata proposizione, dell’interpello disapplicativo in questione possano derivare le limitazioni (anche in termini di allegazione e prova di circostanze oggettive e straordinarie che giustifichino il superamento della presunzione di elusione di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30) pretese dall’Ufficio ricorrente.

E’ stato infatti chiarito, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), sia che la presentazione dell’interpello e la conseguente risposta negativa dell’Amministrazione (che ha natura di parere, al quale il contribuente può non adeguarsi, senza doverlo necessariamente impugnare, per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive: Cass. 28/07/2017 n. 18807; Cass. 27/03/2015, n. 62000) non impediscono al contribuente di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva; sia che egualmente, in caso in cui l’interpello non sia stato proposto, il contribuente potrà comunque richiedere in sede giurisdizionale l’accertamento dei presupposti per la disapplicazione della disciplina antileusiva (Cass. 15/03/2019, n. 7402; cfr. Cass. 12/05/2012, n. 17010 e Cass. 28/07/2017, n. 18807, in materia d’Iva, ivi citate).

Quindi, nel caso di specie, non sussisteva alcuna preclusione o limitazione della tutela giurisdizionale della contribuente, neppure in ordine all’allegazione ed alla prova, in giudizio, di ragioni dell’inoperatività, oggettive e straordinarie, ulteriori rispetto a quelle dedotte nell’interpello respinto.

1.7. Parimenti infondata è la censura secondo cui il giudice a quo avrebbe erroneamente attribuito all’Amministrazione l’onere di provare che la società contribuente fosse in grado di operare attivamente nell’anno d’imposta accertato, laddove era invece onere della contribuente provare le circostanze oggettive, indipendenti dalla sua volontà, che le avrebbero impedito di conseguire i ricavi ed i redditi minimi previsti dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, al fine di vincere la presunzione legale relativa di non operatività prevista da tale disposizione.

E’ vero, infatti, che la motivazione della sentenza impugnata contiene l’affermazione che, in merito all’allegazione che la società fosse in grado di operare attivamente sin dal 2002, “l’Ufficio non produce alcun elemento a supporto dell’assunto, per cui l’affermazione resta confinata nell’ambito di una possibilità cui difetta il sostegno della prova; nè può per altro verso pretendersi che la contribuente, in assenza di attività, produca una prova negativa oggettivamente impossibile.”.

Tuttavia, subito dopo tale affermazione di principio, la stessa motivazione passa alla valutazione probatoria del materiale istruttorio fornito dalla contribuente a supporto della dedotta effettiva impossibilità operativa, con riferimento sia all’attività sociale primaria che a quella secondaria, ritenendolo idoneo e sufficiente a dimostrare le ragioni del mancato realizzo degli standard legali minimi di operatività.

Pertanto, deve ritenersi che, nonostante l’introduttiva affermazione erronea in ordine all’attribuzione dell’onere probatorio, il giudice a quo abbia invece successivamente condotto, e concluso, l’effettiva valutazione del materiale istruttorio nel rispetto della distribuzione dello stesso onere che si ricava dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, ovvero verificando (nel merito, con esito positivo) se la contribuente avesse fornito la prova (delle ragioni dell’effettiva inoperatività) contraria alla presunzione legale.

1.8. Pure infondata è la censura dell’Ufficio secondo cui la CTR avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente che le ragioni dell’impossibilità operativa della società contribuente di svolgere l’attività imprenditoriale fossero relative ai singoli affari che essa aveva in concreto intrapreso, mentre sarebbe stato necessario verificare altresì “le ragioni per le quali essa non aveva svolto nessun altro genere di attività dello stesso tipo”.

Infatti, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, la prova contraria che, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, la società contribuente deve offrire ha per oggetto i motivi per i quali essa sia stata impossibilitata a svolgere l’attività imprenditoriale, ovvero l’esistenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore: Cass. 20/04/2018, n. 9852) e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla volontà della contribuente, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (Cass. 21/10/2015, n. 21358), dando luogo ad una “impossibilità”, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui alla predetta norma, che non va intesa in termini assoluti bensì economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass. 20/06/2018, n. 16204; Cass. 28/02/2017 n. 5080).

Pertanto, nei limiti dello specifico oggetto della censura di violazione di legge proposta sul punto dall’Ufficio della ricorrente, non ha errato il giudice a quo nell’aver valutato la prova liberatoria dell’impossibilità, offerta dalla contribuente, non con riferimento generico ed astratto ad un indefinito “altro genere di attività dello stesso tipo” che la società avrebbe potuto in teoria svolgere; ma contestualizzando la verifica alle situazioni effettive che, nell’esercizio accertato, si erano venute a creare concretamente, per la medesima società, nell’ambito di ciascuno dei due specifici ambiti di mercato nei quali essa, svolgendo le attività primarie e secondarie del suo oggetto sociale, si era collocata.

1.9. Infine, è inammissibile la censura avverso la parte della sentenza impugnata nella quale il giudice d’appello ha fatto rilevare il contrasto tra le decisioni assunte dall’ufficio in merito alle istanze di interpello disapplicativo proposte dalla contribuente società per gli anni d’imposta 2007 (accolta) e 2006 (respinta).

Infatti, la lettura della motivazione rende palese come si tratti di una considerazione del giudice a quo, in ordine agli esiti diversi delle due procedure d’interpello, esposta solo successivamente allo specifico scrutinio della prova contraria offerta dalla contribuente relativamente all’anno d’imposta accertato, già ex se espressamente apprezzata come ampia ed esaustiva dalla CTR. Pertanto, si tratta, al più, di una mera argomentazione, non decisiva, di supporto, ad abundantiam, di una ratio decidendi (quella sul raggiungimento della prova contraria da parte della contribuente) già espressamente definita dal giudicante sufficiente e quindi idonea alla decisione favorevole alla contribuente.

2. Con il secondo motivo di ricorso principale, l’Ufficio denuncia la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per la natura apparente della motivazione adottata dal giudice a quo nella sentenza impugnata.

Così come formulato, il motivo è infondato, atteso che (come peraltro già argomentato ante, nella trattazione del primo motivo) la sentenza è corredata di una motivazione non meramente formale e puramente grafica, che nella sostanza tratta in particolare la questione centrale della controversia, relativa alla prova contraria offerta dalla società contribuente.

Lo stesso motivo è poi inammissibile nella parte in cui lamenta la ricostruzione e l’apprezzamento degli aspetti fattuali della controversia ed il loro riscontro istruttorio, attingendo il merito della lite, ciò che in questa sede di legittimità non è consentito, nel caso di specie neppure nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vigente ratione temporis, non avendo peraltro l’Ufficio, ricorrente principale, denunciato tale vizio.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, per avere il giudice a quo respinto la sua eccezione di inammissibilità dell’appello erariale per mancanza di specifici motivi d’impugnazione.

4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 324 e 329 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., per avere il giudice a quo respinto la sua eccezione, subordinata, di giudicato formatosi sull’accertamento, da parte della CTP, delle ragioni che avrebbero giustificato l’inoperatività della stessa società nell’anno d’imposta accertato, non avendo l’Agenzia delle Entrate proposto un motivo d’appello specifico sul punto.

4.1. Per effetto del rigetto del ricorso principale erariale, entrambi i motivi del ricorso incidentale della contribuente, da considerarsi condizionato, sono assorbiti.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater.

PQM

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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