Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10157 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/04/2010, (ud. 22/01/2010, dep. 28/04/2010), n.10157

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttolo pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

B.A. n.q. di associato dello studio ass., P.

V. n.q. di associato dell’omonimo studio, S.G. n.q.

di associato dello studio ass., S.C.N. n.q. di

associata dello studio ass., STUDIO ASS. PROF. P.V. in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliali in ROMA VIALE REIGTNA MARGHERITA 262/264, presso lo

studio dell’Avvocato D’ANDRIA CATALDO, che li rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrenti –

e contro

R.D.;

– intimato –

e contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE REGINA

MARGHERITA 262/264, presso lo studio dell’Avvocato D’ANDRIA CATALDO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 114/2002 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 18/02/2003;

udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza dei

22/01/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per i resistenti l’Avvocato D’ANDRIA, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha e or eluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate propongono ricorso per cassazione nei confronti dello Studio Associato prof. P.V. nonchè di R.D., C.N.S., B.A., S.G. e P.V. (che resistono con controricorso successivamente illustrato da memoria) e avverso la sentenza n. 114/08/02, depositata il 18-02-03, con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento Ilor per il 1992, riguardante lo Studio Associato, e di avvisi di accertamento Irpef riguardanti, per lo stesso anno, i medici associati in relazione ai conseguenti redditi di partecipazione (emessi a seguito di verifica fiscale presso lo studio associato e presso la “Fondazione Vito Pansadoro”), la C.T.R. Lazio rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate.

Per quel che in questa sede ancora rileva, con riguardo alla deduzione di spese e costi sostenuti per l’utilizzazione di servizi e beni forniti dalla Fondazione, i giudici d’appello evidenziavano: che in analoga fattispecie riguardante gli anni 88/91 la corte di cassazione, con sentenza n. 5857 del 2001, aveva rinviato alla stessa C.T.R., che aveva accolto l’appello dei contribuenti e annullato gli avvisi opposti; che il reddito annuo era stato rettificato con metodo analitico-induttivo sulla base di una serie di argomentazioni presuntive prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza; che il procedimento penale a carico del professor P. per i fatti oggetto del presente processo si era concluso con sentenza (passata in giudicato) di assoluzione perchè il fatto non sussiste, con la quale era stata accertata l’esistenza di rapporti economici tra lo Studio Associato e la Fondazione, e in particolare l’intervenuta sublocazione allo Studio, da parte della Fondazione, di locali presi in locazione, nonchè la fornitura di attrezzature mediche.

2. Preliminarmente, in relazione alla deduzione, da parte alcuni resistenti, della inammissibilità del ricorso per intempestività, occorre rilevare che non risulta in atti che la sentenza impugnata sia stata notificata – come invece asserito nei relativi controricorsi – e pertanto, considerato il termine “lungo” per impugnare, maggiorato del periodo feriale, nonchè la sospensione dei termini di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, la notifica del ricorso deve ritenersi tempestiva.

Sempre in via preliminare deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero degl’Economia e delle Finanze, posto che dalla sentenza impugnata risulta che l’appello, depositato il 9 marzo 2001, fu proposto dalla sola Agenzia delle Entrate e che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, quando la successione ex lege dell’Agenzia delle Entrate al Ministero delle Finanze si sia realizzata, in ragione della riforma dell’A.F. ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999, dopo la conclusione del giudizio di primo grado e l’appello sia stato proposto esclusivamente dall’Agenzia (ovvero dalla relativa articolazione periferica di essa), si verifica l’estromissione implicita del Ministero sicchè quest’ultimo non può più essere considerato parte in causa (v.

cass. n. 3557 del 2005);

Essendosi la giurisprudenza citata consolidata successivamente alla proposizione del ricorso in esame, va disposta la compensazione delle relative spese. Con un unico, articolato motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 50, artt. 2697, 2721 e 2723 c.c., artt. 112, 116, 383, 384 e 392 c.p.c., nonchè D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, oltre che vizi di motivazione, l’Agenzia ricorrente sostiene che immotivatamente i giudici d’appello hanno affermato che l’accertamento era fondato su di una serie crescente di argomentazioni presuntive, essendo tale accertamento basato sul fatto che il contratto del 1987 e gli elenchi allegati non prevedevano l’uso dei locali, del know-how, della banca dati, nè la possibilità di fornire beni e servizi ulteriori oltre quelli elencati, il contratto di locazione tra la clinica proprietaria dei locali e la Fondazione escludeva la possibilità di sublocazione, e, infine, le fatture emesse dalla Fondazione per la loro genericità impedivano di individuare natura, quantità e qualità dei beni locati, con la conseguenza che le riprese a tassazione dei costi dedotti derivavano dalla ritenuta non idoneità della giustificazione documentale, onde spettava ai contribuenti che intendevano contestare l’idoneità dimostrativa dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative ed estintive dei medesimi, dimostrare i fatti su cui le eccezioni si fondavano.

Secondo la ricorrente pertanto, a fronte della contestazione dell’esistenza delle passività dichiarate, avendo l’Ufficio contestato la congruità dei costi rispetto al contratto, i giudici d’appello avrebbero dovuto procedere alla valutazione degli elementi probatori forniti dallo Studio Associato ai fini della deducibilità delle spese de quibus, tenendo conto dei limiti posti dalla legge civile e dal processo tributario in punto di prova del contratto e delle fatture.

Aggiunge la ricorrente che perchè una sentenza tributaria sia motivata con riferimento ad una decisione assunta in sede penale occorre che la sentenza penale sia acquisita e sia oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario, tenendo conto delle limitazioni proprie del processo tributario in materia di prova testimoniale, con la conseguenza che la sentenza penale adottata sulla base di prove testimoniali può al più costituire elemento di convincimento per il giudice tributario ai sensi dell’art. 116 c.p.c..

Le censure esposte sono in parte infondate e in parte inammissibili.

Giova innanzitutto evidenziare, con riguardo all’affermazione della sentenza impugnata secondo la quale l’esistenza di rapporti economici tra lo Studio Associato e la Fondazione (in particolare: la sublocazione degli studi medici e la fornitura di attrezzature mediche dalla Fondazione allo Studio) risultavano accertati nella sentenza definitiva di assoluzione del professor P. perchè il fatto non sussiste, che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. – modificativo del D.L. n. 429 del 1982, art. 12 (convertito in L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 25 – l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna, con la conseguenza che, a causa del mutato quadro normativo, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributar, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti dei contribuente, ma che tuttavia il giudice tributario, pur non potendo più limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributar estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, può, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, in ogni caso verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (v. cass. nn. 10945 del 2005 e 2499 del 2006).

Tanto premesso, e considerato che i costi de quibus sono assistiti da riscontro documentale, deve rilevarsi, con riferimento alla distribuzione dell’onere della prova, che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamente (in tutto o in parte) inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata posta in essere (o almeno non nei termini documentati, e quindi il costo non è stato – in tutto o in parte – sostenuto) incombe sull’Amministrazione finanziaria che adduca la falsità del documento (perciò l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti (v. cass. n. 1023 del 2008).

Nella specie, i giudici d’appello hanno ritenuto che gli avvisi opposti fossero stati emessi sulla base di una serie di argomentazioni presuntive prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ed è in proposito da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (v. tra le altre cass. n. 10135 del 2005 e n. 16831 del 2003). Alla luce di quanto sopra esposto, è da evidenziare che nel motivo in esame, al di là delle enunciazioni contenute in rubrica, non risultano espressamente dedotte specifiche violazioni dei principi che regolano la prova per presunzioni nè risulta dedotta in maniera autosufficiente l’omissione di (adeguata) valutazione di elementi decisivi ai fini dell’apprezzamento delle fonti di presunzione. In particolare, il vizio di motivazione richiamato in rubrica risulta genericamente articolato, senza riportare in ricorso il testo di documenti (ad esempio: p.v.c., contratti, fatture, solo genericamente indicati) dai quali eventualmente emergessero elementi asseritamente trascurati dai giudici di appello, così impedendo a questo giudice di legittimità di valutare la censura senza ricorrere a fonti esterne al ricorso.

Il ricorso dell’Agenzia deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le relative spese. Rigetta il ricorso dell’Agenzia e condanna quest’ultima al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.700/00 di cui Euro 3.500,00 per onorari.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2010 e il 16 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

 

 

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