Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10156 del 21/04/2017

Cassazione civile, sez. lav., 21/04/2017, (ud. 21/12/2016, dep.21/04/2017),  n. 10156

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19717-2011 proposto da:

UNIVERSITA’ PISA, P.I. (OMISSIS), in persona del Rettore pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RUGGERO FAURO 43, presso lo

studio dell’avvocato UGO PETRONIO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ORONZO MAZZOTTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.C., C.F. (OMISSIS), S.M. C.F. (OMISSIS),

L.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.

PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MEO,

rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCA BAREGI, giusta delega

in atti;

– controricorrenti –

e contro

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE CNR;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1063/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 06/08/2010 R.G.N. 1881/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato MAZZOTTA ORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 6 agosto 2010, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stato dichiarato il diritto di B., L. e S., tutti dipendenti dell’Università di Pisa in servizio presso l’Istituto di fisiologia clinica del CNR con compiti di supporto all’assistenza sanitaria, alla percezione della indennità di equiparazione di cui agli artt. 1 L. n. 200 del 1974 e D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 “nella misura riconosciuta all’esito del giudicato amministrativo” di cui alla sentenza del TAR Toscana del 24 febbraio 2003, con conseguente condanna dell’Università al pagamento delle differenze retributive maturate dal 1 gennaio 2007.

La Corte territoriale ha innanzitutto ritenuto l’Università di Pisa legittimo interlocutore delle pretese retributive dei lavoratori, “legati da un rapporto di impiego pubblico soltanto con l’istituzione universitaria”.

Di poi ha considerato che il giudicato amministrativo, con cui era stato accertato il diritto dei lavoratori medesimi “di percepire l’indennità D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, ex art. 31 con adeguamento retributivo ed equiparazione economica al personale delle USL già appartenente ai livelli 9^ e 10^ (come da allegato D del D.M. 9 novembre 1982)”, precludesse ogni ulteriore questione “circa la portata retributiva” di detto decreto ministeriale anche per il periodo successivo al 1 gennaio 2007; ha argomentato che l’Università non poteva sottrarsi all’esecuzione di predetto giudicato per il fatto che detti dipendenti avessero accettato “l’inquadramento in base all’art. 28 CCNL 2005 Università, nel quale sono contemplate nuove tabelle di “equivalenza di posizione economica nel SSN”, atteso che il sesto comma di detto art. 28 aveva “inteso preservare le posizioni individuali pur nel succedersi della contrattazione collettiva”.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’Università di Pisa con quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Hanno resistito con controricorso i dipendenti intimati. Non ha svolto attività difensiva il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 70, comma 12, del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 57, dell’art. 28, comma 3 del CCNL Università 2002-2005 nonchè vizio di omessa o insufficiente motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la legittimazione passiva dell’Università in ordine alle pretese retributive dei dipendenti.

Il motivo è infondato perchè non considera che sulla pretesa oggetto del giudizio, scaturente dalla debenza della cd. indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 e D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 vi è oramai consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha statuito sulla legittimazione passiva sia dell’Università sia dell’ente pubblico che utilizza le prestazioni di lavoro.

Invero, in controversie analoghe, si è reiteratamente affermata la congiunta titolarità dal lato passivo del rapporto obbligatorio dedotto in giudizio in capo sia all’Università sia all’Azienda Ospedaliera sulla scorta del costante insegnamento delle Sezioni unite (sent. n. 8521 del 2012; n. 17928 del 2013; n. 9279 del 2016; n. 14799 del 2016) secondo cui la configurazione del rapporto di impiego con l’Università, se vale a fondare l’obbligazione di quest’ultima di corrispondere l’indennità di equiparazione, non vale ad escludere la legittimazione passiva di altri soggetti, cui debba ricondursi un rapporto di servizio connesso al particolare meccanismo che regola il rapporto di lavoro dei dipendenti “strutturati” in organismi distinti dall’Università (adesivamente, v. Cass. n. 5325 del 2014; Cass. n. 1078 del 2015; Cass. n. 16350 del 2015).

La censura trascura tale giurisprudenza che appare assorbente rispetto alla questione del “comando” prospettata da parte ricorrente, peraltro senza riuscire ad enucleare un chiaro dato legale o contrattuale dal quale evincere che l’Università datrice di lavoro non sia legittimata a contraddire rispetto alle pretese retributive di propri dipendenti.

2. Con il secondo mezzo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. nonchè vizio di omessa ed insufficiente motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto intangibile il giudicato amministrativo formatosi antecedentemente alla stipulazione del CCNL Università del 2005, che ha invece stabilito una nuova tabella di equiparazione di livello nazionale cui l’Università pisana si era uniformata per il periodo successivo al 1 gennaio 2007.

Il motivo è fondato.

Per la giurisprudenza di legittimità la pronuncia giudiziale inerente un rapporto di durata è destinata a proiettarsi in futuro, per cui tra le parti vale, anche per il tempo a venire, l’assetto degli interessi risultante dalla decisione resa dal giudice. In dottrina si sostiene che in ipotesi siffatte, ferma restando l’efficacia della decisione riguardo ai diritti già maturati, la portata precettiva delle decisione, che accerta quella situazione, esplica i suoi effetti per il futuro, rebus sic stantibus. Pertanto, se con una determinata pronuncia si accerta l’esistenza di determinati diritti – e, correlativamente, di obblighi gravanti sulla controparte, dei quali sono oggetto prestazioni che debbono essere eseguite periodicamente nel tempo – con una seconda pronuncia non può essere posta nel nulla la precedente statuizione “a situazione normativa e fattuale immutata”, mentre un diverso assetto degli interessi coinvolti può essere disposto, senza violazione alcuna del principio dell’intangibilità del giudicato, qualora si accerti la modificazione di quella situazione (cfr. Cass. SS.UU, n. 383 del 1999).

Tale assunto è stato ribadito di recente da questa Corte (sent. n. 15493 del 2015), secondo cui, “in ordine ai rapporti giuridici di durata ed alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, com’è nel caso del rapporto di lavoro subordinato e delle conseguenti obbligazioni retributive, il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale, ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro. Pertanto, l’autorità del giudicato impedisce il riesame di questioni già risolte con il provvedimento definitivo, che esplica la sua efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, venendo meno soltanto a fronte di sopravvenienze, di fatto o di diritto, che mutino il contenuto materiale del rapporto o ne modifichino il regolamento (Cass., S.U. 7 luglio 1999, n. 383; Cass. n. 16959 del 11/11/2003, Cass. n. 15931 del 16/08/2004; Cass. S.U. n. 13916 del 16/6/2006)”.

Ove pertanto il successivo giudizio involga la soluzione di una questione in fatto e di diritto diversa da quella di cui al giudizio definito con sentenza passata in giudicato e che non ha costituito la premessa logica indispensabile della relativa statuizione, il giudice del merito che ritenga preclusa l’indagine in virtù del giudicato applica erroneamente la regula iuris sottesa all’art. 2909 c.c. (cfr. Cass. n. 13921 del 2013; più di recente v. Cass. n. 7981 del 2016; Cass. ord. 6 n. 26922 del 2016).

E’ quanto accaduto nella specie laddove il giudicato amministrativo rappresentato dalla sentenza del TAR del 2003, fondato sulle tabelle di equiparazione del D.M. 28 febbraio 1982, non può certo spiegare ultrattivamente i suoi effetti una volta che detta tabella è stata sostituita da quella contenuta nel CCNL Università del 2005 (da ultimo v. Cass. SS.UU. n. 9279 del 2016) e che, quanto meno secondo la prospettazione dell’Università, un nuovo accordo contrattuale era stato sottoscritto e accettato dalle parti, quindi, una volta mutato radicalmente il quadro normativo e fattuale di riferimento in virtù di eventi sopravvenuti (cfr. Cass. n. 10967 del 2013 in motivazione).

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 28, comma 6 del CCNL Università 2002 – 2005 e/o del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3, in quanto l’interpretazione offerta dalla Corte toscana alla disciplina richiamata sarebbe del tutto irragionevole perchè “per effetto della clausola di salvaguardia in sostanza ai lavoratori continuerebbe ad applicarsi un trattamento economico consacrato da una tabella ministeriale incompatibile con l’essenza stessa della contrattualizzazione del pubblico impiego”.

La censura non può essere condivisa.

Invero con il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del comparto Università per il quadriennio normativo 2002-2005, all’art. 28 si è stabilito (comma 1): “A decorrere dall’entrata in vigore del presente CCNL il personale dipendente dalle A.O.U. di cui all’art. 13 del CCNQ per la definizione dei comparti di contrattazione, sottoscritto il 18.12.2002, e il personale dipendente dalle Università così come definito dall’art. 51, comma 1, del CCNL 9.8.2000, è collocato nelle specifiche fasce di cui alla colonna A della successiva tabella”.

La disposizione è applicabile al “personale dipendente”, quindi già assunto, “a decorrere dall’entrata in vigore del presente CCNL” (sottoscrizione del 27 gennaio 2005).

All’art. 28, comma 2 è approntata una tabella di corrispondenza per cui ad ogni fascia prevista per la collocazione del personale universitario, dalla 4^ alla 9^ in colonna A, è stabilita una “equivalenza di posizione economica nel SSN”, dalla A alla DS in colonna B, del personale sanitario.

Secondo l’art. 28, comma 6: “Sono fatte salve, con il conseguente inserimento nella colonna “A” della precedente tabella, le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle AOU alla data di entrata in vigore del presente CCNL. Per il personale che, anch’esso già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente CCNL, non trova collocazione nella medesima tabella di cui al comma 2, ivi comprese le EP, sono fatte salve le posizioni conseguite per effetto delle corrispondenze con le figure del personale del SSN”.

Pertanto può essere condivisa l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale nel senso che la locuzione utilizzata dalle parti collettive esprime l’intenzione di salvaguardare le posizioni giuridiche ed economiche, in qualsiasi modo conseguite, dal personale già in servizio al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina collettiva. Nelle “posizioni giuridiche ed economiche” conseguite va incluso anche il trattamento previsto a titolo di indennità perequativa D.P.R. n. 761 del 1979, ex art. 31 al fine di preservare le posizioni individuali di singoli lavoratori già in forze ed evitare a costoro decurtazioni stipendiali.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 1230 c.c., nonchè vizio di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi sulla domanda dell’appellante concernente la natura novativa degli accordi intercorsi tra l’Università medesima ed i tre lavoratori che avevano accettato l’inquadramento in base all’art. 28 del CCNL Università 2002 – 2005.

La censura è fondata.

Nella stessa sentenza impugnata si riporta, tra i motivi d’appello formulati dall’Università, quello in base al quale “avendo gli odierni appellati accettato l’inquadramento, dal 1.1.2007, a norma dell’art. 28 CCNL 2005 dell’Università con le relative tabelle di equivalenza di posizione economica nel SSN, costoro non potevano più far valere il giudicato costituito dalla sentenza del TAR Toscana n. 712 del 24.2.2003”.

Nel ricorso per cassazione è riportato testualmente il motivo di gravame ove si afferma: “Gli appellati nel gennaio 2007 hanno espressamente accettato l’inserimento nell’elenco del personale che presta attività di supporto all’assistenza e all’inquadramento economico corrispondente alle categorie del SSN secondo la tabella dell’art. 28 del CCNL Università 2002 – 2005. L’accordo pacificamente intervenuto tra le parti, che precede l’equiparazione degli appellati al livello D del personale sanitario, non può essere ritenuto come “avente incidenza assolutamente marginale sulla regolamentazione complessiva del rapporto di lavoro”. Proprio perchè l’indennità perequativa compete a causa dell’inserimento nel suddetto elenco, le modalità concordate, con le quali tale inserimento avviene, sono essenziali e costituiscono il fondamento attuale del diritto all’indennità, determinandone necessariamente anche l’ammontare. In altre parole, ammesso e non concesso, che gli appellati potessero nel 2006 vantare diritti sulla base del giudicato amministrativo, la loro adesione alla proposta formulata anche con riguardo alle modalità di inserimento ed al livello di equiparazione prende il posto di qualsiasi diversa pretesa”.

Rispetto a tale specifico mezzo di gravame il Collegio toscano non spende alcuna specifica argomentazione e non vi è dubbio, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, denunciabile, come nella specie, per violazione del canone imposto dall’art. 112 c.p.c., il quale regola la corrispondenza del chiesto con il pronunciato.

L’omissione ha carattere decisivo atteso che l’accettazione di un nuovo regolamento contrattuale non inibito alle parti dal precedente giudicato è destinato anche a “superare” la clausola di salvezza dell’art. 28 CCNL del comparto Università del 2005, “trattandosi di diritti disponibili” (cfr. Cass. n. 10967 del 2013).

5. Pertanto il ricorso, respinti il primo ed il terzo motivo, deve essere accolto rispetto al secondo e quarto motivo, affinchè, cassata la sentenza impugnata, il giudice del rinvio, esclusa ogni preclusione derivante dal preteso giudicato, possa pronunciarsi sull’esistenza e sugli eventuali effetti dell’accordo quale dedotto dall’Università interpretando il comportamento delle parti.

La Corte di Appello di Firenze, uniformandosi a quanto statuito, provvederà anche sulle spese.

PQM

La Corte rigetta il primo ed il terzo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia in relazione al quarto motivo accolto alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2017

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