Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10156 del 18/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10156 Anno 2015
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: BIANCHINI BRUNO

ORDINANZA
sul ricorso 23289-2013 proposto da:
FORNALE’ ANTONIO FRNNTN51C17L781H, TREVISANI
ORIANA TRVRN053R66B886Y, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA BANCO DEL SANTO SPIRITO 48, presso lo studio
dell’avvocato AUGUSTO D’OTTAVI, rappresentati e difesi
dall’avvocato LUCIANO GRISI, giusta mandato a margine del
ricorso;

– ricorrenti contro
SAVOIA MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato
MARIO CONTALDI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato RICCARDO RAVIGNANI, giusta mandato speciale in
calce al controricorso;

Data pubblicazione: 18/05/2015

- contraticorrente
avverso la sentenza n. 493/2013 della CORTE D’APPELLO di
VENEZIA dell’11.12.2012, depositata l’11/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/03/2015 dal Presidente Relatore Dott. BRUNO BIANCHINI;

dato atto che è stata depositata relazione ex art. 380 bis cpc del seguente
tenore:
“1 — Antonio Fomalè — alle cui domande aderì la moglie , Oriana
Trevisani, intervenuta in causa a seguito di ordine di integrazione del
contraddittorio- citò innanzi al Tribunale di Verona Maria Savoia
chiedendo che venisse accertato che il fabbricato vendutogli dalla
predetta godeva di un accesso sulla residua proprietà della venditrice,
per il tramite di una scala esterna; la convenuta negò la ricorrenza dei
presupposti per dirsi costituita la servitù per destinazione del padre di
famiglia e in via riconvenzionale chiese la chiusura di una porta e di
una finestra esistenti sulla facciata dell’immobile venduto alle parti
attrici , prospicienti il proprio giardino, in quanto tali aperture, chiuse
da tempo prima della vendita, erano stata illegittimamente riaperte dai
coniugi Fornalè.

2 — L’adito Tribunale respinse la domanda dei Fornalè ed accolse la
riconvenzionale, sulla base della considerazione che, a seguito di
consulenza tecnica e dall’apprezzamento dello stato dei luoghi, sarebbe
emerso che la scala esterna aveva come funzione — prima della venditadi mettere in relazione i vari piani della originaria proprietà della Savoia
e — dopo la vendita- avrebbe costituito l’unica modalità di detto
accesso, di tal che sarebbe mancata quella univoca situazione di
destinazione di un fondo a servizio dell’altro, tipica della fattispecie di

Ric. 2013 n. 23289 sez. M2 ud. 05-03-2015
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udito per i ricorrenti l’Avvocato Luciano Grisi che si riporta agli scritti;

acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia; fu invece
accolta la domanda riconvenzionale sulla base dell’assunto che, al
momento della compravendita, la porta era sbarrata da una trave e la
finestra era murata così che i Fornalè non avrebbero potuto far valere
alcun diritto al ripristino di dette aperture.

marzo 2013 e notificata il successivo 27 settembre, respinse il gravame
dei Fornak : per la cassazione di tale decisione i predetti hanno
proposto ricorso, fondandolo su quattro motivi di annullamento; la
Savoia ha risposto con controricorso.

OSSERVA IN DIRITTO
I — Con il primo motivo si ripropone impugnativamente l’ eccezione di
ultrapetizione già respinta dalla Corte veneziana, basata sull’assunto
che il Tribunale non avrebbe potuto trarre argomenti per ritenere non
sussistenti i presupposti per l’acquisto della servitù di transito per il
fondo della Savoia, traendola dalla funzione di accesso alle ulteriori
porzioni della proprietà della venditrice — il giardino e la parte
superiore all’immobile dei Fornalè — che non aveva formato indagine
nel giudizio di primo grado: a sostegno della censura i ricorrenti
deducono che la linea difensiva della Savoia non si era attestata in
contestazione dell’esistenza dei presupposti dell’acquisto del transito
per destinazione del padre di famiglia, quanto piuttosto deducendo la
sussistenza di altro accesso alla strada pubblica che prescindesse dal
passaggio sul proprio fondo.
I.a — A giudizio del relatore il mezzo è manifestamente infondato in
quanto, una volta che l’attore ha formulato la domanda in termini di
accertamento della servitù ex art. 1062 cod. civ. , il giudice doveva
verificare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento di tale
domanda, all’interno delle allegazioni di fatto originarie o di quelle
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3 – La Corte di Appello di Venezia, con sentenza pubblicata 1’11

legittimamente acquisite per il tramite della consulenza tecnica: in
realtà i ricorrenti paiono far riferimento ad una — non condivisibileapplicazione del principio di non contestazione che però non sarebbe
stato invocabile atteso che, da quanto emerge dalla lettura degli atti
difensivi della allora convenuta ( riportati ai foll 10/11 del

funzione della scala esterna di permettere l’accesso alle varie porzioni
del proprio fondo , così prendendo posizione su uno degli elementi
contrari alla verifica dei presupposti per l’accoglimento della domanda
avversaria.
II — Con il secondo motivo viene denunziato 1′ error in judicando in cui
sarebbe incorso il giudice dell’appello nel ritenere non integrati gli
elementi di acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia
— così facendo erronea applicazione dell’art. 1062 cod. civ.- o
comunque non fornendo una motivazione su un punto decisivo della
controversia, laddove avrebbe omesso di considerare l’irrilevanza
dell’aspetto soggettivo — da parte dell’alienante di fondi
originariamente unici — al fine di ritener costituita la servitù anzidetta,
nei casi in cui fosse comunque stata accertata una situazione degli
immobili univocamente conducente all’esistenza di un bene asservito
in funzione dell’altro.
II.a — Il mezzo è palesemente infondato perché la univocità della
destinazione di un immobile a servizio dell’altro comporta anche il
requisito della esclusività di tale destinazione per la logica ragione che
se coesistono due divergenti funzioni — e quindi due diverse
interpretazioni dello stesso dato fattuale- non è ipotizzabile la
ineluttabilità logica della destinazione da parte dell’originario
proprietario e, in questa situazione di incertezza, non è tutelabile una
situazione a discapito di altra.
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controricorso) , la Savoia aveva sin dall’inizio lumeggiato , tra l’altro, la

III — Con il terzo ed il quarto motivo si assume nuovamente l’omesso
esame di un punto decisivo in relazione alle domande riconvenzionali
di apertura ( riapertura) della porta e della finestra: quanto alla prima
affermano le parti ricorrenti l’erroneità logica di collegare il diritto a
riaprire la porta all’esercizio di passaggio , attraverso la stessa

e

percorrendo la scala esterna, così che, esclusa l’esistenza della ridetta
servitù ne sarebbe, per ciò solo, derivata la illegittimità della porta;
quanto alla seconda viene dedotta l’inconferenza della motivazione
adottata dalla Corte territoriale, che aveva ritenuto erroneo il motivo di
appello con il quale si era rimarcato che la riapertura della finestra era
finalizzata a por rimedio ad una condotta in violazione dello strumento
urbanistico locale che vietava la modifica delle facciate dei fabbricati,
statuendosi che essi esponenti non avrebbero maturato il possesso
utile ad usucapire il diritto di mantenere la finestra.

III.a — Entrambi i motivi sono inammissibili alla luce della nuova
formulazione dell’art 360, I comma n.5 cpc, applicabile

ratione ternporis,

essendo stata pubblicata , la sentenza di appello, in data successiva
all’i 1 settembre 2012 : sul punto ritiene il relatore che debba darsi
continuità alla recente sentenza delle Sezioni Unite ( Cass. S.U. n.
8053/2014) secondo la quale “La riformulazione dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno
2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere
interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle
preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di
legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione
solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
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I
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Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel
“contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della

Unite hanno altresì sottolineato come “L’omesso esame di elementi
istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto
decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto
di tutte le risultanze istruttorie”.

IILb – — Orbene le censure sopra riportate non si attagliano allo
schema impugnatorio sopra descritto in quanto si limitano a sostenere
la non condivisibilità dell’interpretazione della Corte del merito; in ogni
caso i mezzi sarebbero stati infondati perché la

res dubia era la

sussistenza del diritto di modificare lo stato di fatto che presentava la
facciata del fabbricato acquistato dalla Savoia: l’accertamento
dell’inesistenza di un precedente diritto a mantenere le suddette
aperture, contro la volontà della venditrice -che, chiudendole,
all’evidenza aveva chiaramente espresso l’intento a che esse non
fossero più utilizzate- e l’assenza di qualunque accenno ad esse nel
titolo di acquisto, rendevano conseguente la conclusione alla quale è
pervenuta la Corte veneziana; per la finestra in particolare deve
sottolinearsi Che le nonne urbanistiche — del cui contenuto le parti
ricorrenti non fanno alcuna allegazione specifica, rendendo dunque
impossibile alla Corte di verificarne il contenuto precettivo, ex actis od
acquisendo di ufficio lo “strumento urbanistico” di generico
riferimento- ed i diritti dominicali agiscono su piani diversi così che il

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motivazione; con coeva pronunzia ( n. 8054/2014) le stesse Sezioni

rispetto delle prime non si traduce sempre e comunque nella
compressione dell’esplicazione dei secondi.
IV – Si formula pertanto la proposta di definire il ricorso in camera di
consiglio
P.Q.M.

n.5 cpc , per esser colà dichiarato manifestamente infondato .”

Il Collegio concorda con le conclusioni sopra riportate, contro le
quali le parti ricorrenti non hanno svolto argomentazioni critiche
idonee a confutarne la tenuta logica, limitandosi, nella memoria
depositata a’ sensi dell’art. 380 bis

,

comma, cpc ed in sede di

discussione camerale, a ribadire l’ultrapetizione in cui sarebbe incorsa
la Corte di appello, sulla quale la relazione stessa ha compiutamente
dedotto ( vedi § La )
Il ricorso va dunque rigettato; consegue la condanna dei soccombenti
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità secondo la
quantificazione indicata in dispositivo; sussistono altresì i presupposti
per il versamento, da parte degli stessi, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso stesso, a
norma del comma 1 “‘dell’art. 13, d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle
spese che liquida in complessivi curo 2.300,00 di cui euro 200,00 per
esborsi, nonché spese generali ed accessori dovuti per legge, in favore
della controricorrente; a’ sensi dell’art. 13, comma I , del d.P.R. n.
115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte dei medesimi, dell’ulteriore importo a titolo di contributo

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Il ricorso può esser definito in camera di consiglio, ex artt. 380 bis; 375

unificato, pari a quello dovuto per il ricorso stesso, a norma del
comma I’dello stesso art. 13.
Così deciso il 5 marzo 2015 in Roma, nella camera di consiglio della

sez VI-2 della Suprema Corte di Cassazione

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