Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10156 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 16/04/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 16/04/2021), n.10156

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6526-2017 proposto da:

H.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO

26, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA MANCINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO COSTA;

– ricorrente –

contro

V. SOCIETA’ COOPERATIVA A R.L. IN LIQUIDAZIONE COATTA

AMMINISTRATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIO FANI 106, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMILIANO ROSSI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati STEFANO GHIBELLINI, ALESSANDRO

GHIBELLINI, PAOLO GATTO;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di GENOVA, depositato il 02/02/2017

R.G.N. 16105/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/10/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con decreto 2 febbraio 2017, il Tribunale di Genova rigettava l’opposizione proposta da H.P. avverso lo stato passivo di V. s.c.ar.l. in l.c.a., dal quale era stato escluso il credito, insinuato in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751bis c.c., n. 1, di Euro 296.516,24 a titolo di lavoratore subordinato con qualifica dirigenziale per il periodo dal 1 luglio 1996 al 30 settembre 2012 o, in subordine, di socio lavoratore;

2. in esito alle scrutinate risultanze istruttorie, esso escludeva la prova di un rapporto di subordinazione del ricorrente nei confronti della società, per esserne stato (anche dopo la cessazione dalla carica di Presidente e Amministratore delegato, dalla data di assunzione nel 1996 fino all’ottobre 2007) l’amministrazione unico di fatto;

3. con atto notificato il 3 marzo 2017, il creditore ricorreva per cassazione con quattro motivi, cui la società in l.c.a. resisteva con controricorso;

4. entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 132 c.p.c., violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 98, 99, artt. 112,115,116 c.p.c., artt. 2722,2729,2967 c.c., per l’erronea assunzione della qualità del ricorrente di amministratore unico di fatto, anzichè di socio lavoratore con qualifica dirigenziale della società in l.c.a., sulla base di alcune soltanto delle testimonianze, senza valutarne l’inattendibilità e prescindendo da altre contrarie e da numerosi documenti versati in atti, senza adeguata giustificazione (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 132 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2967,2727,2729,1414,2388 c.c., per erronea assunzione di difetto di prova degli indici di subordinazione, con inversione dell’onere avendo il ricorrente offerto prova documentale del proprio rapporto di lavoro subordinato soggetto alla sorveglianza del Consiglio di amministrazione della società e pertanto compatibile con la sua qualità (fino al 2007) di Presidente e amministratore delegato, dovendo invece la società dimostrarne la simulazione, in mancanza pure da parte del Tribunale di considerazione della documentazione e delle diverse dichiarazioni testimoniali in atti, oltre che di adeguata motivazione della decisione (secondo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 132 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2094,1411,2388 c.c., per erronea individuazione dell’autonomia come indice della qualità di amministratore unico di fatto anzichè della funzione dirigenziale del ricorrente, caratterizzata dalla subordinazione attenuata, nell’ignoranza dei documentati elementi di inserimento nell’organizzazione della società alla stregua di lavoratore subordinato (terzo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per la mancata indicazione delle fonti di convincimento del Tribunale della qualità di amministratore di fatto del ricorrente e di formale gestione della società da parte di B.P., amministratrice di diritto, senza considerazione della sua precedente qualità di consulente della società (quarto motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3. innanzi tutto, deve essere rilevata l’articolazione promiscua di ogni singolo motivo, in forma contraddittoria (vizio di omessa pronuncia e di omesso esame di un fatto, che presuppone, al contrario, che una pronuncia, ancorchè lacunosa, sia stata resa), posto che con ciascuno sono formulati più profili di doglianza (alla stregua di errores in procedendo, in iudicando e di motivazione apparente): con la conseguenza di una sostanziale impossibilità di ricondurli a specifici motivi di impugnazione, atteso che le doglianze, anche se cumulate, non sono formulate, come invece dovrebbero, in modo tale da consentire un loro ordinato esame separato quali motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. 17 marzo 2017, n. 7009; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790);

3.1. non si configurano poi le violazioni di legge denunciate, che, alla stregua di errores in iudicando, dovrebbero essere integrate dalla deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicante un problema interpretativo; non invece, come appunto nel caso di specie, dall’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), ovviamente nei limiti del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: qui non ricorrente, per le argomentate ragioni (esposte in particolare dall’ultimo capoverso di pg. 8 al penultimo di pg. 10 del decreto) in esito a puntuale e coerente scrutinio delle risultanze istruttorie (dal primo capoverso di pg. 4 al penultimo di pg. 8 del decreto) e motivata valutazione di attendibilità dei testi assunti (al penultimo capoverso di pg. 10 del decreto), di competenza esclusiva del giudice di merito e per tale ragione incensurabile in sede di legittimità (Cass. 3 luglio 2014, n. 15205; Cass. 8 ottobre 2019, n. 25166);

3.2. in ogni caso, il Tribunale ha esattamente applicato i criteri generali ed astratti di individuazione e determinazione del carattere della subordinazione (sia pure attenuata come quella del dirigente: Cass. 13 febbraio 2020, n. 3640), da applicare al caso concreto, soli sindacabili in sede di legittimità, invece costituendo accertamento di fatto, incensurabile in tale sede ove congruamente motivata, la relativa valutazione (Cass. 14 maggio 2011, n. 9808, con affermazione del principio ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., comma 1; Cass. 7 ottobre 2013, n. 22785);

3.3. lo stesso giudice ha poi correttamente richiamato il principio di compatibilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, ovvero dell’amministratore delegato e la società stessa, purchè sia data prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e pertanto della soggezione, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso (Cass. 6 novembre 2013, n. 24972; Cass. 30 settembre 2016, n. 19596), di cui ha peraltro escluso la dimostrazione (all’ultimo capoverso di pg. 10 del decreto);

3.4. neppure ricorrono i vizi motivi denunciati: sia sotto il profilo di omesso esame, in difetto di individuazione del fatto storico non esaminato, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940); sia sotto quello di mancanza di motivazione, in difetto del requisito di nullità previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per non essere la motivazione del decreto del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (non essendo afflitta da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili nè perplessa, nè obiettivamente incomprensibile), così da comportare una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);

3.5. tanto meno si configura la violazione delle norme denunciate in materia di prova, posto che, in particolare: l’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395); l’art. 115 c.p.c. è invece violato in presenza di un errore di percezione, che cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile 2017, n. 9356); ed è evidente che tali ipotesi non ricorrano nel caso di specie;

3.6. sicchè, le doglianze si risolvono in una contestazione, sulla base di un autonomo percorso argomentativo, della valutazione probatoria del Tribunale e in una diversa ricostruzione del fatto, incensurabili in sede di legittimità, laddove congruamente argomentati (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404): tanto meno alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal cui più rigoroso ambito devolutivo è esclusa la valutazione delle risultanze istruttorie;

4. per le suesposte plurime e concorrenti ragioni, il ricorso deve allora essere dichiarato inammissibile, con la statuizione sulle spese secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 12.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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