Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10156 del 09/05/2011

Cassazione civile sez. II, 09/05/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 09/05/2011), n.10156

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SAN PIETRO s.r.l. (OMISSIS), in persona dell’amministratore unico

pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale per

atto notaio Lucio Paolini di Milano del 28.6.2005 rep. 122.504,

dall’Avv.to Cappello Armando ed elettivamente domiciliata presso il

suo studio in Roma, piazza Barberini, n. 47;

– ricorrente –

contro

Comune di Ischia (OMISSIS) in persona del sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avv.to Pettorino Mario in virtù di

procura speciale a margine del controricorso, ed elettivamente

domiciliato presso il suo studio in Roma, via Sebastiano Veniero, n.

78;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1061/05

depositata il 12 aprile 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 1

marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Vittorio Eduardo, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 23 ottobre 1989 la San Pietro s.r.l.

evocava in giudizio, dinanzi al Pretore di Ischia, il Comune di Ischia esponendo di essere proprietaria dei terreni siti in (OMISSIS) località (OMISSIS) per acquisto fattone dalla Aenaria di Scaglia Adriana s.n.c, fondi che erano stati occupati senza titolo ed abusivamente dal Comune di Ischia, che vi aveva eseguito costruzioni e sbancamenti di notevole dimensione, interventi che non risultavano suffragati da legittimi atti amministrativi; aggiungeva che il Comune aveva occupato anche la strada di accesso alla collina, nonchè – nei giorni antecedenti alla proposizione del ricorso – un’ampia area adiacente le costruzioni già realizzate. Tanto premesso, chiedeva di essere reintegrata nel possesso dei predetti immobili.

Instauratosi il contraddittorio, il convenuto, nei costituirsi, eccepiva l’inammissibilità dell’azione possessoria, precisando che l’occupazione de fondo era avvenuta sulla base di atti amministrativi risalenti all’anno 1974, il Tribunale adito (già Pretore), dichiarava il difetto di giurisdizione dell’A.G.O..

In virtù di rituale appello interposto dalla San Pietro s.r.l., con il quale lamentava che il giudice di prime cure avesse denegata extra legem la giurisdizione del g.o., la Corte di appello di Napoli, nella resistenza del Comune, dichiarava inammissibile il gravame. A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale evidenziava che l’atto di appello, posto in correlazione con le conclusioni rassegnate nell’impugnazione, conteneva censure all’attività del primo giudice, senza contestuale gravame contro l’ingiustizia sostanziale della sentenza di primo grado.

Aggiungeva che la tutela possessoria era inammissibile nei confronti di azione amministrativa assistita da presunzione di legittimità, che nella specie risultava essere corrispondente al provvedimento dell’11.1.1990, con cui il Sindaco aveva autorizzato l’occupazione provvisoria degli immobili interessati dai lavori, emesso in seguito alla Delib. di G.M. 27 aprile 1989, n. 678, esecutiva in data 26.5.1989, adottata con i poteri delegati dal Consiglio Comunale con atto n. 319 del 31.7.1988, dunque in epoca antecedente alla proposizione del ricorso possessorio.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione la San Pietro s.r.l., che risulta articolato su un unico motivo, sebbene sviluppato sotto profili diversi, al quale ha replicato con controricorso il Comune intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 353, 354, 112 e 132 c.p.c. e art. 111 Cost.

in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 3 e 5, contestando la pronuncia di inammissibilità del giudice di secondo grado per avere adeguatamente censurato nell’atto di appello i vizi logici – giuridici della sentenza gravata dall’impugnazione. In particolare, con l’impugnazione era stato denunciato un vizio logico-giuridico sotto una triplice angolazione: l’avere senza neanche l’ausilio di c.t.u. ritenuto sulla base della documentazione prodotta dal Comune che i provvedimenti amministrativi riguardassero la zona de qua e non quella diversa, destinata al depuratore; che detto orientamento aveva determinato un capovolgimento dei canoni di cui all’art. 2697 c.c.;

infine, l’omessa utilizzazione al fine del decidere della prova costituita dal verbale di ispezione preventiva disposta dal Pretore di Ischia il 12.4.1989. Aggiungeva che nel caso in esame il provvedimento ablatorio era intervenuto nel 1974, senza però avere seguito, per cui era divenuto inefficace nel 1977. Del resto i documenti versati in atti dalla controparte sarebbero violativi dei vincoli di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47 e alla L. 8 agosto 1985, n. 431, nonchè del vincolo paesaggistico che grava su Ischia, di cui al D.M. 9 settembre 1952, in relazione alla L. 29 giugno 1939, n. 1497, artt. 7 e 15 e a corte avrebbe affermato la efficacia legittimante della documentazione prodotta senza disamina alcuna di detta disciplina. Di converso, occorreva affermare che l’arbitraria appropriazione dell’amministrazione integrasse unicamente un fatto materiale e perciò restasse soggetto alla giurisdizione del g.o..

La ricorrente lamenta, inoltre, che il giudice di prime cure non si sia fermato alla declaratoria di difetto di giurisdizione del g.o., ma si sia anche pronunciato nel merito, affermando la tardività dell’azione possessoria esperita, con la conseguenza che anche sul punto la motivazione della decisione della corte di merito è da ritenere erronea per essere stati rispettati i canoni necessari per una valida impugnativa. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

Secondo l’assunto di parte ricorrente la Corte distrettuale avrebbe dichiarato inammissibile l’appello della San Pietro sul rilievo che la prospettazione di parte ricorrente traeva origine dall’erroneo presupposto di fatto che la decisione del giudice di prime cure, che aveva declinato la propria giurisdizione, fosse fondata sulla sola documentazione prodotta dal Comune, senza alcun accertamento volto alla verifica della corrispondenza dei provvedimenti amministrativi all’occupazione dei terreni di proprietà della medesima società ricorrente. In altri termini, avrebbe confidato nella correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, senza ammettere la consulenza tecnica richiesta a tale scopo.

Occorre premettere che con la declaratoria di inammissibilità (della domanda o del gravame) il giudice definisce e chiude il giudizio. Con la conseguenza che le considerazioni di merito, che comunque egli abbia poi a svolgere, restano irrimediabilmente fuori dalla decisione, non tanto perchè esse non trovano sbocco nei dispositivo e non solo perchè formulate in via ipotetica, quanto soprattutto per l’assorbente ed insuperabile ragione che dette valutazioni provengono da un giudice che, con la pregiudiziale declaratoria di inammissibilità, si è già spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della fattispecie controversa. Per cui quelle ultronee considerazioni relative al merito della domanda (o del gravame) non sono riconducibili alla decisione (di inammissibilità) che al riguardo egli ha adottato, ma a quella, semmai, che egli avrebbe adottato ove appunto il correlativo esame non ne fosse risultato precluso. Si muovono, pertanto, su un piano esclusivamente virtuale e non entrano nel circuito delle statuizioni propriamente giurisdizionali. Dal che la riaffermazione del principio per cui, relativamente alle argomentazioni sul merito, ipotetiche e virtuali, che il giudice impropriamente abbia inserito in sentenza, subordinatamente ad una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di sua giurisdizione o competenza), la parte soccombente non ha alcun onere, nè ovviamente interesse, ad impugnarle. Con l’ulteriore duplice e speculare corollario che è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile (per difetto appunto di interesse) l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito svolta, per quanto detto, ad abundantiam nella sentenza gravata (v. Cass. SU. 20 febbraio 2007 n. 3840).

Ciò precisato, per avere il giudice del gravame nella specie, oltre a confermare la declaratoria di difetto di giurisdizione, motivato la decisione con l’infondatezza nel merito dell’impugnazione, occorre rilevare che dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza impugnata emerge chiaramente che la dichiarazione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario è stata pronunciata in quanto gli atti amministrativi nella loro sequenza temporale, con riferimento ai beni di cui al procedimento, erano assistiti da presunzione di legittimità e, di conseguenza, senza che vi fosse necessità di ulteriori accertamenti. Dette affermazioni della Corte territoriale non sono state adeguatamente censurate nel ricorso per cassazione.

Per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo la Corte abilitata all’esame diretto degli atti delle cause di merito, la ricorrente avrebbe dovuto trascrivere in ricorso (in modo completo o quantomeno nelle parti salienti) l’atto di appello e dimostrare che nel suddetto atto di impugnazione non erano affatto ravvisabili gli errori e la mancata attinenza dei motivi di appello con la argomentazioni del giudice di primo grado riscontrati dal giudice del gravame (v. Cass. 20 settembre 2006 n. 20405; Cass. 13 dicembre 2006 n. 26693; Cass. 19 gennaio 2007 n. 1199).

La ricorrente nel motivo di ricorso ha completamente omesso la trascrizione, anche solo parziale, dell’atto di appello, limitandosi a richiamare le pagine dell’impugnazione in cui i problemi erano stati trattati, nonchè ad invocare la giurisprudenza di legittimità sulla specificità dei motivi di appello, mentre con i successivi profili di censura ha riproposto le questioni di merito, non esaminate dal giudice di appello, se non nei termini di cui sopra si è detto. Di conseguenza questa Corte non è stata messa in grado di valutare la fondatezza e la decisività delle censure alla pronuncia di inammissibilità dell’atto di appello, perciò non si ravvisano validi motivi per cassare la sentenza impugnata.

Solo per ragioni di completezza motivazionale, si osserva, altresì, in ordine alla mancata ammissione della consulenza tecnica di ufficio, che si tratta di mezzo istruttorie (e non già di una prova vera e propria), sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario, per cui la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettata dal suddetto giudice (v. Cass. 2 marzo 2006 n. 4660; Cass. 5 luglio 2007 n. 15219).

In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese de giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2011

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