Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10154 del 21/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/04/2017, (ud. 21/12/2016, dep.21/04/2017),  n. 10154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19097-2015 proposto da:

M.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEL TEMPIO N. 1, presso lo studio dell’avvocato ANTONIANO DI

CREDICO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO CACCAVELLA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SOGET S.P.A. – Società di Gestione Entrate e Tributi S.o.a., C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VALERIO SPEZIALE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 731/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/06/2015 R.G.N. 289/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato FRANCESCO CACCAVELLA;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’ per delega verbale Avvocato VALERIO

SPEZIALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 19 giugno 2015, la Corte d’appello di L’Aquila rigettava il reclamo proposto da M.G. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’opposizione all’ordinanza emessa dallo stesso Tribunale, di rigetto delle sue domande di nullità o annullamento del licenziamento intimatogli dalla datrice Soget s.p.a. il 4 luglio 2014 per insussistenza del fatto contestato e di conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria.

Preliminarmente chiarita la giustificazione della mancata assoluzione dell’obbligo di prestazione lavorativa per uno stato di malattia consistente in una alterazione della condizione di salute, non già per una mera varietà di agenti patogeni, se non di entità tale da determinare un’incapacità lavorativa assoluta, la Corte territoriale escludeva alcuna modificazione della contestazione disciplinare nè dalla datrice con il licenziamento intimato, nè tanto meno dal Tribunale; e così pure l’integrazione di uno stato di malattia rilevante ai fini in esame, per le risultanze della esperita C.t.u. psichiatrica, esente dai plurimi vizi denunciati dal lavoratore reclamante, disattesi con argomentazioni diffuse. Con atto notificato il 25 luglio 2015, M.G. ricorre per cassazione con tre motivi, cui resiste Soget s.p.a. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 7 e 18, artt. 2104, 2105 e 2106 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per difetto di una specifica contestazione datoriale fondante il licenziamento disciplinare intimato, ridondante nella lesione del proprio diritto di difesa, in assenza di precisazione dei comportamenti disciplinarmente rilevanti, a fronte della giustificazione delle assenze lavorative per condizione di malattia certificata.

Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per erronea assunzione della propria scorrettezza e malafede nella protratta assenza dal lavoro dietro prescrizione medica.

Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza, a causa di evidente contrasto tra affermazioni inconciliabili, quali l’esclusione di una contestazione datoriale di simulazione di malattia del lavoratore e le validate risultanze della C.t.u. medico-legale, di esplicita induzione del medico curante in errore dal medesimo lavoratore, condizionato dalla rappresentazione di uno stato di salute inveritiero per interesse personale.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 7 e 18, artt. 2104, 2105 e 2106 c.c., per difetto di specifica contestazione datoriale a base del licenziamento disciplinare intimato, è infondato.

Ed infatti, deve essere esclusa la violazione del principio di genericità della contestazione dell’addebito, necessaria in funzione di tutte le sanzioni disciplinari, allo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa, sicchè essa deve essere dotata del carattere della specificità. E questo è integrato quando siano fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c. (Cass. 30 marzo 2006, n. 7546; Cass. 15 maggio 2014, n. 10662).

Il relativo accertamento è oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito (Cass. 30 marzo 2006, n. 7546; Cass. 23 marzo 2002, n. 4187).

Nel caso di specie, il principio scrutinato è stato rispettato per la più che sufficiente specificità della lettera di contestazione 20 giugno 2014 (trascritta a pg. 1 del ricorso), come correttamente ritenuto, con argomentazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici, in esatta applicazione del suenunciato principio di diritto, dalla Corte territoriale, che ha chiaramente illustrato (per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 6 al quinto alinea di pg. 7 della sentenza) come il licenziamento sia stato intimato al lavoratore per la sua protratta assenza dal lavoro, non giustificata da uno stato di malattia non incompatibile con la possibilità della sua prestazione.

Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., per erronea assunzione della scorrettezza e malafede del lavoratore nella protratta assenza dal lavoro dietro prescrizione medica, è inammissibile.

Esso è generico.

Il motivo confuta, infatti, solo parzialmente e pertanto in modo inadeguato (in violazione della prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige l’illustrazione del motivo con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza: Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202) l’ampia ed esauriente esclusione della giustificazione della protratta assenza dal lavoro per malattia, sulla base dell’inidonea certificazione medica (per le ragioni esposte da pg. 6 a pg. 10 della sentenza).

Ad essa si è aggiunto un comportamento del lavoratore non integrante un impegno di leale cooperazione (Cass. 3 maggio 2011, n. 9714), cui il lavoratore è tenuto in qualità di debitore della prestazione lavorativa, non giustificabile con rappresentazioni soggettive a spiegazione della propria condotta (Cass. 14 agosto 2008, n. 21680).

Nè un tale comportamento di allontanamento del lavoratore dalla propria abitazione con ripresa delle attività della vita privata è stato determinato dall’ottemperanza a prescrizioni del medico curante (Cass. 21 marzo 2011, n. 6375).

In ogni caso, l’accertamento in fatto del giudice di merito, in quanto nel caso di specie congruamente motivato per le ragioni suindicate, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498).

Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per nullità della sentenza, a causa di evidente contrasto tra affermazioni inconciliabili, è pure inammissibile.

Non sussiste la nullità della sentenza denunciata, posto che non ricorre la totale omissione, per materiale mancanza, della parte della motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione (Cass. 22 giugno 2015, n. 12864). E neppure è impossibile l’individuazione degli elementi di fatto considerati e presupposti della decisione, avendo anzi l’atto raggiunto il suo scopo (Cass. 10 novembre 2010, n. 22845).

Sicchè, in realtà si tratta della deduzione di un vizio di motivazione contraddittoria, inammissibile alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).

Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna M.G. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2017

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