Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10152 del 21/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/04/2017, (ud. 07/12/2016, dep.21/04/2017),  n. 10152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18887-2011 proposto da:

A.R., C.F. (OMISSIS), (+ Altri omessi), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo studio

dell’avvocato LUCIO VALERIO MOSCARINI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANO LAVAZZA SERANTO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ALESSANDRO RICCIO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 247/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 20/01/2011 R.G.N. 844/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito l’Avvocato MOSCARINI GIOVANNI per delega Avvocato MOSCARINI

LUCIO VALERIO;

udito l’Avvocato PATTERI ANTONELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza n. 247/2010, la Corte d’Appello di Venezia respingeva l’appello di A.R., (+ Altri omessi) avverso la sentenza del Tribunale di Venezia che, sulla scorta di ctu, aveva rigettato tutte le loro domande svolte in primo grado – dirette a conseguire dall’INPS i benefici contributivi connessi alla esposizione ad amianto, come previsti dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 – ad eccezione di quella presentata da C.E. nei cui confronti il giudice di prime cure accertava l’esistenza di una esposizione rilevante riferita però al solo periodo dal 20.2.1975 al 21.2.1986.

La Corte d’Appello a fondamento della decisione sosteneva che il giudice di primo grado e prima ancora il ctu avesse fatto buon governo delle risultanze testimoniali, perchè la valutazione sottesa all’accertamento del livello di esposizione è essenzialmente tecnica e non può essere rimessa esclusivamente ad una dichiarazione testimoniale. Non era invece rilevante la mancata sperimentazione in loco perchè il ctu aveva correttamente osservato che a distanza di 20 anni dai fatti essa non avrebbe sortito alcun effetto e/o validità. Secondo la Corte infine non risultava in causa che situazioni identiche fossero state valutate diversamente.

Avverso detta pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione una parte degli appellanti del giudizio di secondo grado ovvero A.R., (+ Altri omessi), affidandosi a tre motivi di censura illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. L’INPS resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio: omessa considerazione del teste Bo., art. 360 c.p.c., n. 5.

1.1. Il motivo è inammissibile ed infondato. Va infatti considerato che la Corte veneziana, da una parte, ha affermato che il giudice di primo grado, e prima ancora il ctu ai fini del giudizio tecnico demandatogli, avessero fatto buon governo di tutte le prove testimoniali raccolte nel giudizio. E dall’altra parte, ha affermato che la sola considerazione della testimonianza dell’ing. Bo. non sarebbe stata idonea a mutare l’esito di un accertamento che è eminentemente tecnico e che si fonda su una serie di elementi e non può essere fondato su un unica testimonianza.

1.2. Ciò significa che la Corte ha esercitato il proprio potere discrezionale di valutare tutte le risultanze probatorie e di selezionare quelle ritenute più rilevanti ai fini della decisione; perchè, come affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

1.3 Quello che in realtà i ricorrenti richiedono inammissibilmente in questa sede non è perciò un giudizio su un vizio della motivazione della sentenza, denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma una nuova valutazione di merito sui fatti di causa rispetto a quella non condivisa e per ciò solo censurata, al fine di ottenerne la sostituzione con altra più consona alla propria convinzione di parte. Una pretesa che viene pure sollevata senza nemmeno riportare in ricorso l’intero compendio probatorio e gli stessi accertamenti tecnici operati dal ctu che i giudici di merito hanno posto a base della decisione, sostenendo fossero stati correttamente valutati.

1.4 Com’è noto il vizio di motivazione in oggetto non consente di denunciare una mera illogicità o una qualsivoglia aporia logica della motivazione, ma solo quella motivazione che risulti omessa, insufficiente o contraddittoria rispetto ad un fatto decisivo per il giudizio ossia di tale portata che dalla sua considerazione derivi un diverso esito del giudizio. Esso sottende una valutazione che, in mancanza della trascrizione delle prove valutate dai giudici di merito e della stessa ctu, la censura sollevata (relativa alla omessa valutazione della testimonianza dell’ing. Bo.) non consente a questa Corte di Cassazione neppure di effettuare al fine di verificarne la sussunzione all’interno del vizio di motivazione in oggetto.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio: rinnovo consulenza tecnica, art. 360 c.p.c., n. 5, nella parte in cui la Corte aveva affermato l’inutilità delle sperimentazione in loco, per come riferito dal ctu.

Il motivo è infondato. Anche questa censura impinge nel merito; mentre la sentenza impugnata risulta ancora una volta immune da vizi sul piano logico-giuridico, offrendo motivata ed esauriente spiegazione del proprio convincimento circa l’inutilità della pretesa sperimentazione in loco (atteso il mutamento dello stato dei luoghi). Del resto – riguardando, per lo più, una valutazione retrospettiva di una situazione lavorativa che necessariamente più non esiste (a seguito della cessazione dell’utilizzo dell’amianto disposta con la L. n. 257 del 1992) – di regola l’accertamento richiesto dalla legge ai fini dell’attribuzione del diritto in questione non richiede alcun esperimento tecnico, ma implica soltanto il riferimento a dati di esperienza e scientifici (come le banche dati in possesso dell’INAIL o di altri istituti internazionali).

3. Con il terzo motivo il ricorso lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio: situazioni identiche valutate differentemente (art. 360 c.p.c., n. 5) E ciò per il fatto che il C. prestò la propria attività lavorativa come altro lavoratore ( Fa.) al quale il beneficio sarebbe stato riconosciuto. Si sostiene inoltre che il C. avesse diritto all’estensione del periodo di esposizione riconosciutogli dal giudice in primo grado.

3.1 Il motivo è inammissibile e comunque infondato. Anzitutto perchè le due diverse censure sollevate, con riferimento ad entrambi i lavoratori, mirano ad un riesame critico della relazione peritale ed ad una nuova complessiva disamina delle risultanze processuali, in dissenso dalla valutazione del ctu che i ricorrenti neppure trascrivono nel ricorso, insieme alle altre risultanze processuali.

Un giudizio che solo il giudice di merito è abilitato a fare valutando gli elementi probatori in suo possesso, con apprezzamento di situazioni di fatto non suscettibile di riesame in sede di legittimità se congruamente motivato, come risulta dalla giurisprudenza di questa Corte sul tema della valutazione dell’esposizione necessaria ai fini del riconoscimento dei benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’ amianto (Sez. L, Sentenza n. 3095 del 13/02/2007).

3.2 Inoltre, il motivo non è autosufficiente in quanto non riporta testualmente le circostanze di fatto da cui si desume la pretesa violazione del principio di parità, che il ricorso si limita ad affermare ma non a giustificare in modo documentato.

3.3 Si tratta inoltre di un motivo infondato in quanto, come ben spiegato nella sentenza impugnata, la critica al ctu è del tutto ingiustificata non risultando nella causa quali fossero le effettive mansioni del lavoratore oggetto di comparazione (tale Fa.) ma estraneo al giudizio. Ed ancor di più non essendo provato, prima ancora, che si trattasse di situazioni sovrapponibili ovvero di pronunce rese sui medesimi fatti (periodi, mansioni, ambienti e lavorazioni).

3.4 Inoltre, l’asserito contrasto delle conclusioni di eventuali ctu espletate in cause diverse non induce, di per sè, errore alcuno, in quanto andrebbe comprovato che si tratti pure di cause fondate, oltre che sugli stessi fatti, anche su medesime allegazioni e deduzioni e sulle medesime premesse probatorie, dal punto di vista dello sviluppo processuale.

3.5. Infine, la mera omessa motivazione da parte del giudice sul contrasto delle perizie rese in cause diverse non sarebbe poi vizio che rivesta i caratteri della decisività ai fini della decisione. In quanto se da una parte occorrerebbe comprovare che si tratti di vicende sovrapponibili sul piano dei fatti e dello sviluppo processuale; dall’altra (ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5) andrebbe pure allegato la decisività del vizio; laddove la divergenza degli accertamenti non è di per sè sola considerata sintomatica della fallacità dell’accertamento svolto in una o nell’altra causa. In quanto andrebbe pure spiegato per quali ragioni avrebbe errato il perito nominato nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza oggetto di ricorso che si chiede di cassare.

4. In conclusione, le considerazioni sin qui svolte impongono di rigettare il ricorso e di condannare i ricorrenti, rimasti soccombenti, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3200 di cui Euro 3000 per compensi professionali, oltre il 15% di spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2017

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