Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10151 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. II, 16/04/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 16/04/2021), n.10151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21996-2019 proposto da:

D.O., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANTONELLA

MACALUSO, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la SENTENZA n. 37/2019 della CORTE D’APPELLO DI

CALTANISSETTA, depositata il 22/1/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/1/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che D.O., nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), aveva proposto nei confronti dell’ordinanza con la quale il tribunale aveva rigettato la domanda di protezione internazionale che lo stesso aveva presentato.

D.O., con ricorso notificato il 4/7/2019, ha chiesto la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata. Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1 della convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e artt. 5, 7 e 8 anche alla luce del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, condividendo la valutazione della commissione territoriale, ha ritenuto che le dichiarazioni rese dal dichiarante fossero vaghe e imprecise.

1.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte, senza colmare le lacune rinvenute nelle affermazioni del richiedente attraverso l’esercizio degli ampi poteri istruttori che la legge riserva al giudice ai sensi del D.Lgs. n. 25 cit., art. 8, comma 3, ha omesso di riconoscere la sussistenza di una persecuzione ai danni del richiedente dovuta a motivi politici ed il suo conseguente timore, ove fosse rimpatriato, di essere sottoposto a torture o violenza.

1.3. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria.

1.4. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte, senza adempiere ai suoi dovere di cooperazione istruttoria, ha omesso di valutare tanto il fatto che il richiedente, ove tornasse in (OMISSIS), potrebbe subire trattamenti inumani e degradanti, quanto il fatto che, come emerge dal rapporto di Amnesty International 2017-2018, il (OMISSIS), specie per la presenza della criminalità di matrice terroristica, è caratterizzato da una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, che mette a repentaglio la vita o l’incolumità personale dei cittadini.

2.1. Il primo motivo è infondato.

2.2. In effetti, ai fini della protezione internazionale, l’accertamento del giudice del merito deve avere, anzitutto, ad oggetto, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, l’attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente circa la sua personale esposizione a rischio grave per la vita o la persona, essendo solo in tal caso possibile considerare “veritieri”, se pur sforniti di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), i fatti che lo stesso ha narrato (cfr. Cass. n. 16925 del 2018). La valutazione d’inattendibilità del richiedente costituisce, peraltro, un apprezzamento di fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 33858 del 2019).

Nel caso di specie, la corte d’appello, avendo riguardo ai fatti che il richiedente aveva narrato, così come incontestatamente esposti nella sentenza impugnata, ha ritenuto che il racconto svolto dallo stesso in ordine alle ragioni che lo avevano indotto a lasciare il suo Paese era vago, lacunoso e impreciso ed ha, pertanto, correttamente escluso, in conformità ai predetti indicatori normativi (tra cui quello, previsto dalla lett. c), secondo il quale i fatti narrati dal richiedente sono considerati “veritieri” solo se le dichiarazioni dello stesso siano ritenute, appunto, “coerenti e plausibili”), che lo stesso fosse soggettivamente credibile.

Si tratta, per il resto, di un apprezzamento in fatto (del quale la corte – corretto o meno che fosse – ha esposto le ragioni in modo nient’affatto apparente o contraddittorio) che il ricorrente non ha specificamente censurato con la precisa indicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dei fatti, principali o secondari, che il giudice di merito, nell’accertamento svolto circa l’intrinseca attendibilità della sua narrazione, avrebbe del tutto omesso di esaminare, ancorchè dedotti nel corso del giudizio di merito e decisivi nel senso che la loro valutazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto diversa rispetto a quella affermata dalla decisione impugnata.

Ed è noto che l’inattendibilità del racconto del richiedente, così come (oramai incontestabilmente) accertata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente per negare tanto la domanda di ricuocimento dello status di rifugiato, quanto la domanda di concessione della protezione sussidiaria dallo stesso invocata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) senza che sia a tal fine necessario procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità (nella specie neppure specificamente invocata nè comunque accertata nel giudizio di merito) di fornire riscontri probatori (Cass. n. 16925 del 2018; Cass. n. 33858 del 2019; Cass. n. 8367 del 2020; Cass. n. 11924 del 2020).

2.3. Il secondo motivo è, invece, fondato, nei limiti che seguono.

Intanto, per ciò che riguarda la protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) va ribadito il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui l D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c) cit., poichè, in quest’ultimo caso, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente (Cass. n. 10286 del 2020).

Il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. c) cit. richiede la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, che va accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019).

La sussistenza di tale presupposto dev’essere accertata dal giudice di merito mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020).

Il giudice, peraltro, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

2.4. Nel caso di specie, la decisione impugnata, pur indicando le fonti in concreto utilizzate (e cioè, precisamente, senza che tale indicazione sia stata censurata, i più “recenti report delle COI EASO”) ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti, si è limitata ad affermare, per un verso, che, in ragione della scarsa verosimiglianza delle dichiarazioni rese dal richiedente, poteva fortemente dubitarsi della sua provenienza dal (OMISSIS) settentrionale, e, per altro verso, che tale Paese è caratterizzato da conflitti armati, di natura etnica e religiosa, localizzati soprattutto nelle sue regioni settentrionali: senza, tuttavia, procedere ad alcun tipo di accertamento circa la sussistenza o meno di analoga situazione in altre zone del Paese dalle quali, evidentemente, il richiedente (non essendo in dubbio che sia cittadino del (OMISSIS)) proviene.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 6 e art. 19 ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte ha rigettato la domanda di protezione umanitaria.

4. Il motivo è assorbito.

5. Il ricorso dev’essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Caltanissetta, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbito il terzo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Caltanissetta, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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