Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10149 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/04/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 28/04/2010), n.10149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – rel. Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

INTERMETAL FIRENZE S.R.L. in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE VAN GOGH 27

presso lo studio dell’Avvocato LAMANTEA GIUSEPPINA MANUELA,

rappresentata e difesa dall’Avvocato MALFATTO BARTOLOMEO giusta

delega agli atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 155/2002 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di FIRENZE, depositata il 18/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/02/2010 dal Presidente e Relatore Dott. ANTONIO MERONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

La Intermetal Firenze S.R.L. ha impugnato due avvisi di rettifica delle dichiarazioni iva relative agli anni 1995 e 1996, con i quali veniva recuperata l’imposta detratta in relazione alla fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti e veniva contestata la omessa effettuazione degli adempimenti di cui al D.L. n. 331 del 1993, artt. 46 e 47, nei confronti degli effettivi venditori.

Secondo la tesi sostenuta dall’ufficio, sulla base degli esiti di indagini penali basate anche su intercettazioni telefoniche, fa società si sarebbe avvalsa di intermediari fittizi (cc.dd.

cartiere), che risultavano venditori, cartolarmente, in luogo degli effettivi operatori.

La commissione tributaria provinciale ha accolto in parte il ricorso della società, sul rilievo della inutilizzabilità, in sede tributaria, delle intercettazioni telefoniche. La commissione tributaria regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul rilievo, tra l’altro, della assoluta separazione dei giudizi (penale e tributario), in forza del quale gli esiti delle investigazioni penali “non avrebbero di per sè, nessuna dignità di prova nel processo tributario” e della irrilevanza degli indizi acquisiti, a fronte della regolare tenuta della contabilità.

Per la cassazione della sentenza di appello, meglio indicata in epigrafe, ricorre l’amministrazione finanziaria, sulla base di tre motivi. La società resiste con controricorso.

Diritto

Il ricorso appare fondato e merita accoglimento.

Con i tre motivi di ricorso vengono denunciate, fondatamente, violazioni delle regole relative alla valutazione delle prove e alla distribuzione del relativo onere, anche sotto il profilo del vizio di motivazione.

Infatti, con il primo motivo, viene denunciata la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, e art. 654 c.p.p., in forza dei quali, contrariamente a quanto afferma la CTR, non è affatto vero che gli elementi probatori acquisiti in sede penale non possano essere valutati ai fini dell’accertamento e del contenzioso tributario. La censura è fondala. Del tutto errata è l’affermazione di principio, formulata dai giudici di appello, secondo la quale le prove penali non sarebbero utilizzabili nelle procedure di accertamento amministrativo e contenzioso, in forza di un inesistente principio di separazione dei giudizi. Come rileva la patte ricorrente, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, prevede espressamente che gli elementi acquisiti dalla guardia di finanza nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria possano essere utilizzati dagli uffici finanziari, con i quali la stessa guardia di finanza collabora istituzionalmente. Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di chiarire che “Nel processo tributario il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale ed anche nel caso in cui questo sia stato definito con una pronuncia non avente efficacia di “giudicato opponibile” in sede giurisdizionale diversa da quella penale, purchè proceda ad una propria ed autonoma valutazione, secondo la regole proprie della distribuzione dell’onere della prova nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale, i quali possono, quantomeno, costituire fonte legittima di prova presuntiva” (Cass. 17037/2002; conf. 4054/2007).

Quindi, già la premessa sulla quale è basato l’esame del materiale probatorio acquisito è errata, e basterebbe questo rilievo per travolgere l’intera architettura della decisione impugnata, ma la sentenza impugnata non è condivisibile anche per altri profili puntualmente denunciati dalla parte ricorrente.

Con il secondo ed il terzo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 54 e art. 2697 c.c., viene censurato il ragionamento della CTR che valorizza la regolare tenuta della contabilità, da parte della società, come un baluardo che preclude l’accertamento, per poi svalutare gli elementi probatori acquisiti ed escludere che la società stessa fosse gravata dell’onere di provare la regolarità delle fatture contestate.

Le censure appaiono fondate, infatti, contrariamente a quanto sembrano opinare i giudici di appello nella sentenza impugnata, la regolare tenuta delle scritture contabili non è di per sè ostativa dell’accertamento (Cass. 5977/2007). Inoltre, “In tema di accertamento dell’IVA, qualora, l’Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, tenendo presente, tuttavia, che l’Amministrazione non può limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziaria sui quali si fonda la contestazione ed il giudice di merito deve prendere in considerazione tali elementi, senza limitarsi a dichiarare che essi esistono e sono tali da dimostrare la falsità delle fatture” (Cass. 21953/2007).

Conseguentemente, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Toscana per la rinnovazione del giudizio di merito e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

 

 

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