Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10147 del 28/04/2010
Cassazione civile sez. trib., 28/04/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 28/04/2010), n.10147
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio – rel. Presidente –
Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –
Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 9745-2005 proposto da:
IL SIGILLO DI ARCHAIN & C. S.N.C. in persona del
legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata
e difesa dall’Avvocato GENTILLI GIORGIO con studio in TORINO, VIA XX
SETTEMBRE 62 (ex art. 135 c.p.c.), giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro
tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope
legis;
– controricorrenti –
e contro
AGENZIA FISCALE DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE DI FIRENZE (OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 152/2002 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di FIRENZE, depositata il 16/02/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/02/2010 dal Presidente e Relatore Dott. ANTONIO MERONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Il Sigillo di Archain & C. snc ha impugnato l’iscrizione a ruoto relativa alle sanzioni irrogate per il ritardato versamento dell’iva dovuta per l’anno 1994. La commissione tributaria provinciale, prima, e la commissione tributaria regionale, poi, hanno respinto le ragioni della società. In particolare, la CTR ha sostanzialmente ritenuto inammissibile l’appello della società stessa, sul rilievo che l’appello presentato dalla parte non inficia minimamente il deliberato dei primi giudici, che hanno ben vagliato e giudicato correttamente la controversia nei vari aspetti”; in definitiva, scrive la CTR, l’appello è basato su “motivi che nulla hanno a che vedere con la materia del contendere”.
La società ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe sulla base di otto motivi. L’amministrazione intimata resiste con controricorso.
Diritto
Il ricorso non può trovare accoglimento.
La ratio decidendi sulla quale si regge la sentenza impugnata è costituita dalla “non inerenza” dei motivi di appello rispetto alle argomentazioni esposte dai giudici di primo grado, ritenute congrue in fatto ed in diritto dalla CTR. Per rimuovere o comunque avviare un discorso sulla legittimità della decisione assunta dai giudici di appello, la parte ricorrente avrebbe dovuto semplicemente dimostrare che, invece, i motivi di appello censuravano specificamente le ragioni in base alle quali si erano pronunciati i giudici tributari provinciali. L’esame dei motivi di ricorso non porta a questa conclusione.
Infatti, con il primo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 33, comma 1, art. 34, comma 1, e art. 59, comma 1, lett. b), unitamente a vizi di motivazione, parte ricorrente assume di aver eccepito la nullità del giudizio di primo grado perchè celebrato in pubblica udienza, invece che in camera di consiglio. La censura è priva di autosufficienza e perciò inammissibile, a parte la considerazione che nel merito è anche infondata, posto che, in linea di principio, l’udienza pubblica è l’espressione massima della garanzia del contraddittorio (v. Cass. 643/2001).
Anche il secondo motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza. Parte ricorrente, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, e vizi di motivazione, assume che dalla lettura dell’appello si evincerebbe che le statuizioni dei giudici di primo grado sarebbero state puntualmente contestate, ma non dice come, nè, tanto meno, riporta le censure che a suo dire smentirebbero le affermazioni della CTR. I motivi terzo e quarto sono inammissibili perchè attengono al merito. Infatti, la parte ricorrente lamenta (sotto il profilo della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1992, art. 27, comma 1, e D.P.R. n. 442 del 1997, art. 1, comma 1, unitamente a vizi di motivazione) che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del fatto che la società aveva scelto l’opzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 27, comma 1, secondo periodo, nel testo vigente ratione temporis. La censura richiede l’esame di atti che è precluso in questa sede.
Lo stesso dicasi per il quinto motivo, con il quale si denuncia la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 5 bis, e art. 2697 c.c., unitamente a vizi di motivazione. La parte ricorrente afferma, in maniera generica e non autosufficiente, di avere eccepito (dove, come e quando?) che l’iscrizione a ruolo non sarebbe stata preceduta dal necessario invito al pagamento.
Analoghe considerazioni valgono;
– per il sesto motivo, con il quale si assume, genericamente e in maniera non autosufficiente di avere eccepito, senza avere ricevuto risposta, il diletto di motivazione del ruolo;
– per i motivi settimo ed ottavo che contestano in maniera del tutto generica la liquidazione delle spese avvenute in primo ed in secondo grado.
Conseguentemente, il ricorso, nel suo complesso, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 600,00 (seicento/00), di cui Euro 400,00 (quattrocento/00), oltre alle spese generali, agli accessori di legge e quelle prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010