Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10141 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10141 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

Data pubblicazione: 18/05/2015

SENTENZA

sul ricorso 21385-2011 Proposto da:
BARBAGALLO ORAZIO BRBRZ050B25A028R, domiciliato ex
lege in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
ANTONINO ORAZIO CAVALLARO giusta procura speciale a
margine del ricorso;
I
– ricorrente –

2015
515

contro

PENNISI MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
PIAZZA VESCOVI° 21, presso lo studio dell’avvocato
TOMMASO MANFEROCE, che la rappresenta e difende

1

/4′

giusta procura speciale del Dott. Notaio CLAUDIO
GUIDOBONO CAVALCHINI in BOLLATE il 10/10/2011, rep.
n. 68078;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 700/2011 della CORTE D’APPELLO

1598/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto;

di CATANIA, depositata il 20/05/2011, R.G.N.

Ric.n. 21385/11 rg.- Ud. del 25 febbraio 2015

Svolgimento del giudizio.
Nel febbraio 2004 Maria Pennisi intimava sfratto per morosità
nei confronti di Orazio Barbagallo per il mancato pagamento di
canoni relativi ad un immobile – composto da piano terra e primo
piano – da lei concessogli in locazione nell’agosto 2003 per uso

Il Barbagallo si costituiva in giudizio eccependo di aver
legittimamente proceduto all’autoriduzione del canone locativo, ex
articolo 1460 cod.civ., non avendo potuto usufruire dei locali
posti al primo piano dell’immobile, in quanto risultati sublocati
a tal Fabio’ Licciardello dal precedente conduttore Giovanni
Aragona. Proponeva anche domanda riconvenzionale di nullità delle
clausole contrattuali che prevedevano aumenti

con tra legem

del

canone locativo.
In esito a mutamento del rito ed a chiamata in giudizio del
Licc,iardello e dell’Aragona, veniva emessa sentenza del 10 giugno
2009 con la quale l’adito tribunale di Catania, sezione distaccata
di Acireale, dichiarava risolto per inadempimento del Barbagallo
il contratto di locazione in oggetto; con sua condanna al rilascio
ed al pagamento delle spese di lite.
Proposto gravame dal Barbagallo, veniva emessa la sentenza n.
700/11 con la quale la corte di appello di Catania confermava la
prima decisione, condannando l’appellante al pagamento delle spese
del grado a favore della Pennisi.
Avverso questa sentenza viene dal Barbagallo proposto ricorso
per – cassazione sulla base di tre motivi, ai quali resiste con
f

3

commerciale.

Ric.n. 21385/11 rg. Ud. del 25 febbraio 2015

controricorso la Pennisi. Entrambe le parti hanno depositato
memoria ex art.378 cod.proc.civ..
Motivi della decisione.
1.1 Con il primo motivo di ricorso il Barbagallo deduce – ex

art.360, l” co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. violazione degli

contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per
il giudizio; ciò, per avere la corte di appello erroneamente
ritenuto che esso appellante non avesse impugnato, quale autonoma
ratio decidendi,

l’affermazione del tribunale secondo cui

l’autoriduzione del canone era nella specie resa illegittima dalla
previsione in contratto

della risoluzione di diritto in caso di

mancato pagamento anche di un solo canone. Contrariamente a quanto
così sostenuto dalla corte territoriale, il tribunale aveva
richiamato la clausola risolutiva espressa in maniera
“assolutamente incidentale ed avulsa rispetto al resto della
motivazione”,

sicché a tale richiamo non poteva attribuirsi

valenza di vera e propria

ratio decidendi

necessitante di

specifico gravame.
Con il secondo motivo di ricorso Barbagallo lamenta violazione
degli articoli 113 segg. cpc; 1175, 1375, 1453 segg. cc ; 36 1.
392/78; nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un fatto controverso e decisivo per il giudizio; per avere la
corte di appello aderito ad una versione dei fatti distorta e non
rispondente alle prove conseguite, segnatamente in ordine

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articoli 112-342 cpc e 1456 cc, nonché omessa, insufficiente e

Ric.n. 21385/11 rg. – Ud. del 25 febbraio 2015

all’asserita sua pregressa conoscenza del fatto che una porzione
dell’immobile fosse occupata dal Licciardello.
1.2

Ragioni logiche e di opportunità espositiva inducono ad

esaminare dapprima il secondo motivo di ricorso; la cui
inaccoglibilità (per le ragioni che ora si diranno) esplica

Con

la

seconda

doglianza

l’autoriduzione del canone,

il

Barbagallo

assume

che

da lui operata ex articolo 1460

cod.civ., sia stata ritenuta illegittima dalla corte d’appello in
violazione delle norme sull’adempimento e sulla buona fede
contrattuale; ed anche sulla base di una incongrua motivazione.
Diversamente da quanto così sostenuto, non sussiste alcuno dei
vizi denunciati.
Per quanto concerne l’asserita violazione di legge, va qui
premesso il principio per cui l’autoriduzione del canone di
locazione costituisce una forma di autotutela riconosciuta
dall’ordinamento al conduttore (sempre nei limiti della
ragionevolezza, congruità e non temerarietà) unicamente
nell’ambito del giudizio di determinazione dell’equo canone ex
articolo 45 u.c. 1.392/78; mentre, al di fuori di questa ipotesi,
essa costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore
che, provocando il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del
contratto, deve essere valutato dal giudice nella sua gravità
risolutoria del rapporto (Cass. n. 9548 del 22/04/2010; Cass. n.
7269 del 01/06/2000). Tale principio vale anche in tutte quelle
ipotesi, alle quali va assimilata la presente, in cui
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effetto assorbente del primo motivo.

Ric.n. 21385/11 rg. – Ud. del 25 febbraio 2015

l’autoriduzione del canone venga giustificata dal conduttore, ex
art. 1578 cc, per l’affermata presenza nella cosa locata di vizi
tali da diminuirne apprezzabilmente l’idoneità all’uso pattuito;
posto che anche in tale situazione il conduttore non ha facoltà di
procedere alla unilaterale riduzione del canone, ma soltanto di

esito alla valutazione di importanza dello squilibrio tra le
prestazioni dei contraenti, la risoluzione del contratto (Cass. n.

10639 del 26/06/2012; Cass. n. 10271 del 16/07/2002).

la

condotta

del

conduttore

poteva

qui

trovare

giustificazione, ex art.1460 cc, sotto il profilo della eccezione
di inadempimento, ovvero di non esatto adempimento; posto che tale
eccezione può avere ingresso soltanto in presenza di accertato
inadempimento (totale o parziale) dell’altra parte, nonché di
obiettiva proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti.
Presupposti nella specie esclusi dal giudice di merito il quale
ha, da un lato, negato l’inadempimento della locatrice Pennisi e,
dall’altro, evidenziato nel conduttore Barbagallo una situazione
soggettiva (risalente conoscenza dell’occupazione di una porzione
dell’immobile da parte del Licciardello) ed una finalità
inespressa (prosecuzione o rinnovazione della sublocazione su
quest’ultimo) nella specie escludenti la sua buona fede,
integrante il presupposto indefettibile della norma invocata.
Venendo, con ciò, al dedotto vizio motivazionale, la corte di
appello ha argomentatamente confermato la valutazione già resa dal
tribunale, secondo cui (v.sent.10 segg.): . – la locazione in
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domandare al giudice la riduzione del corrispettivo ovvero, in

Ric.n. 21385/11 rg. Ud. del 25 febbraio 2015

oggetto era stata stipulata in occasione della cessione
dell’azienda al Barbagallo da parte del precedente conduttore
Aragona (come da lettera 29 luglio 2003 a firma congiunta dei
due); – dalle modalità di materiale redazione del contratto, dalle
clausole aggiunte in esso contenute e dalla corrispondenza

doveva escludersi che il Barbagallo non fosse, al momento della
stiptila, a conoscenza della presenza, al primo piano di locali da
lui visti e dichiarati idonei all’uso stabilito, del Licciardello
in qualità di subconduttore dell’Aragona; il Barbagallo
(sent.pag.11), senz’altro

“consapevole del rapporto di

sublocazione in essere tra Aragona e Licciardello, destinato a

venir meno con il cessare della locazione Pennisi-Aragona, ed

interessato a sua volta a lucrare un corrispettivo da

un

instaurando rapporto di sublocazione avente ad oggetto la porzione
di immobile superflua all’esercizio dell’attività

commerciale in

cui era subentrato”, si era risolto “a denunciare l’occupazione ‘a
, sua insaputa’ del primo piano, nel momento in cui non era riuscito
ad accordarsi con il Licciardello”.
Ora, la censura ad altro non mira che ad inammissibilmente
contrapporre a questa ricostruzione della vicenda una versione dei
fatti alternativa, secondo cui: – non vi sarebbe stata prova di
cessione aziendale, in una con la stipula della locazione,
dall’Aragona al ricorrente Barbagallo; – non vi sarebbe stata
prova della conoscenza da parte di quest’ultimo dell’occupazione
dei locali al primo piano da parte del Licciardello; – vi sarebbe
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intercorsa tra le parti (segnatamente la lettera 9 settembre 2003)

Ric.n. 21385/11 rg. – Ud. del 25 febbraio 2015

stata invece prova dell’inadempimento della Pennisi, la quale
aveva concesso in locazione l’intero immobile pur sapendo che una
parte di esso non sarebbe stata disponibile al nuovo conduttore.
Il ‘vizio’ nel quale sarebbe incorsa la sentenza impugnata viene
dal ricorrente individuato nella distorsione con la quale la corte

e prove non concludenti – ad una versione dei fatti diversa da
quella così da lui offerta.
Senonchè, è principio consolidato che la deduzione di un vizio
di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione
conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare
il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo
controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo
della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le
argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in
via esclusiva il

compito di individuare le fonti del proprio

convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive
risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova
acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne
consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo
della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima,
può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di

merito,

sia rinvenibile traccia evidente del mancato
8

(o

di appello avrebbe aderito – sulla base di congetture, presunzioni

Ric.n. 21385/11 rg. – Ud. del 25 febbraio 2015

insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia,
prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando
esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente
adottate, tale da non consentire l’identificazione del
procedimento logico-giuridico posto a base della decisione

Cass. n. 8718 del 27/04/2005). Si è inoltre stabilito

(Sez. U., n. 24148 del 25/10/2013; Cass. n.12799 del 6/6/2014)
che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto
qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante
dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di
elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero
quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della
medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto,
sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento; non già
quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni
della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo
attribuiti agli elementi delibati; risolvendosi, altrimenti, il
motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e del convincimento di quest’ultimo, tesa
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente
estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Nel ragionamento logico-giuridico seguito dalla corte di
appello, come su ricostruito, non sono individuabili i vizi qui ,
rilevanti; trattandosi di ragionamento coerente e sufficientemente
chiaro nel ricostruire la fattispecie concreta e nel ricondurla ad
una determinata disciplina normativa.
9

multis,

(ex

Ric.n. 21385/11 rg. Ud. del 25 febbraio 2015

Come si è anticipato, la qui ritenuta correttezza logicogiuridica della

ratio

così posta dalla corte di appello a

fondamento autonomo e bastante della propria decisione
(illegittimità dell’autoriduzione del canone ed insussistenza di
inadempimento da parte della locatrice) rende ininfluente,

ricorso) sulla concorrente

ratio decidendi

individuabile nel

ragionamento del primo giudice (ed asseritamente non contestata in
appello dal Barbagallo) sulla base di una clausola risolutiva
espressa che avrebbe di per sé comportato la risoluzione del
rapporto di locazione per il solo fatto del mancato pagamento di
un canone.
§ 2,.

Con il

terzo motivo

di ricorso il Barbagallo deduce

violazione dell’articolo 91 cod.proc.civ., stante la sua condanna
alla rifusione delle spese del grado a favore della Pennisi quale
esito dell’erroneo rigetto del gravame da parte della corte di
appello.
Si tratta di censura inaccoglibile poiché appunto presupponente
l’erroneità decisoria della sentenza appellata.

assorbendola, ogni altra questione (posta dalla prima censura di

Una volta esclusa – per le indicate ragioni – tale erroneità,
non può che qui rilevarsi come corretta, in quanto applicativa
della regola generale di soccombenza ex art.91 cit., anche la
consequenziale statuizione del giudice di appello di condanna del
Barbagallo alla rifusione a favore della Pennisi delle spese del
grado.

10

4

Ric.n. 21385/11 rg. – Ud. del 25 febbraio 2015
i

Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte
ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di
cassazione che si liquidano, come in dispositivo, ai sensi del DM
10 marzo 2014 n.55.
pqm

rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione che liquida in euro 8.200,00, di cui euro
200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre
rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione civile
in data 25 febbra

2015.

La Corte

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