Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10141 del 09/05/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10141 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

ORDINANZA
sul ricorso 19226-2012 proposto da:
FERROVIE DEL SUD EST E SERVIZI AUTOMOBILISTICI SRL
05541630728, in persona dell’Amministratore unico e legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL
BABUINO 107, presso lo studio dell’avvocato SCHIANO ANGELO,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANCORA
LUCIANO, RICCARDI LUCIO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente contro
CARTENI’ LUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
GIUSEPPE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato MAGI
PIERPAOLO, rappresentato e difeso dall’avvocato PETRACHI
LILIA LUCIA giusta procura in calce al controricorso;

– contron.corrente –

Data pubblicazione: 09/05/2014

avverso la sentenza n. 1354/2012 della CORTE D’APPELLO di
LECCE del 17/04/2012, depositata il 22/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
25/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA
PAGETTA;

riportano agli scritti;
uditi gli Avvocati Marchio (delega Petrachi) difensore del ricorrente
che si riporta agli scritti.
Fatto e diritto
Il Consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 cod. proc. civ.
ha depositato la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc.
civ. e 375 cod. proc. civ. : “Luigi Cartenì , dipendente delle Ferrovie
del Sud est e Servizi Automobilistici s.r.l. , premesso di avere
osservato sin dalla sua assunzione un orario di lavoro articolato su 36
ore settimanali in deroga alle pattuizioni collettive che si erano
succedute nel tempo prevedenti un orario di lavoro più lungo, che con
Foglio Disposizioni n. 199 del 1994 il Commissario Governativo aveva
comunicato che il nuovo orario di lavoro sarebbe stato di 39 ore
settimanali a parità di retribuzione, ha adito il giudice del lavoro
chiedendo accertarsi il proprio diritto ad un orario settimanale di 36
ore e la condanna della convenuta al pagamento del compenso per
lavoro straordinario in relazione alle ore lavorate eccedenti le 36.
Il Tribunale respingeva la domanda. La decisione era riformata dalla
Corte di appello di Lecce che pronunziando sull’appello del lavoratore
accertava che il lavoro prestato in eccedenza alle 36 ore settimanali era
da ritenersi lavoro straordinario e condannava la appellata al
pagamento delle relative differenze retributive (anche a titolo di 13^ e
14^ mensilità) oltre accessori.
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uditi gli Avvocati Schiano e Riccardi difensori della ricorrente che si

La Corte ricostruiva la vicenda aziendale del datore di lavoro, rilevando
che esso aveva assunto nel tempo differente natura giuridica,
esercitando l’attività di trasporto pubblico in regime dapprima di
concessione governativa, successivamente di azienda pubblica a
seguito del commissariamento del servizio e infine, dall’1.1.01, di

l’esistenza di un uso aziendale a contenuto negoziale diretto ad
organizzare la prestazione degli impiegati nell’arco di un orario di
lavoro di 36 ore settimanali e rilevava che tale uso, essendo stato
perpetuato dalla Gestione commissariale – pur nella vigenza del ccnl
25.7.85 che prevedeva un orario di 39 ore – fino al 31.12.00, era da
ritenere perdurante anche per l’attuale datore di lavoro, avente causa
della Gestione. In base a tale rilievo riteneva illegittima la condotta
della parte datrice che a partire dall’anno 1994 aveva, a parità di
retribuzione, stabilito un orario pari a 39 ore settimanali, rilevando che
essendosi gli effetti di tale illecito comportamento protratti nel tempo,
gli stessi erano apprezzabili dall’A.G.O. a decorrere dal 1.7.1998 . Il
lavoro prestato oltre le 36 ore settimanali andava pertanto
remunerato come lavoro straordinario con diritto del lavoratore alle
relativa differenze a decorrere dal 19.5.2005 e cioè nei limiti della
prescrizione quinquennale..
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la Ferrovie Sud
Est e Servizi Automobilistici s.r.l. sulla base di tre motivi (
erroneamente indicati come due , essendo il primo identificato con il
numero “0” ).
Con il primo motivo ha dedotto l’ “errore in procedendo ed in
giudicando” della sentenza impugnata per non avere la stessa
considerato che “la questione” andava ricostruita in termini di illecito
istantaneo, consumatosi con l’emissione del provvedimento del 1994,
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società di diritto privato a partecipazione pubblica. Riscontrava altresì

con conseguente prescrizione di qualunque diritto relativo ad un uso
cessato nel 1994 e cioè ben oltre dieci anni prima dell’ultimo atto
interruttivo. Sotto altro profilo ha censurato la decisione per avere
riconosciuto validità interruttiva, ai fini della prescrizione, al ricorso
gerarchico presentato in data 19.1.2010, atto che, per la sua genericità

della società datrice.
Con il secondo motivo ha dedotto la violazione delle norme dei
contratti collettivi e carenza di motivazione, rilevando che il rapporto
di lavoro, fino al 31.12.00 (data di cessazione della Gestione
commissariale), rientrava nel pubblico impiego ed era, quindi,
indifferente all’eventuale uso aziendale, atteso che il D.Lgs. n. 80 del
1998, art. 2 aveva previsto la esclusiva regolamentazione contrattuale
del rapporto in questione. Conseguentemente, nessun obbligo poteva
ritenersi sorto a carico dell’avente causa società Ferrovie del Sud Est.
Con il terzo motivo ha dedotto la violazione degli artt. 1362 e segg.,
1322, 1326, 1339 e 1419 c.c., nonché difetto di motivazione,
ritenendosi incompatibili sia l’uso aziendale con un rapporto di lavoro
regolato del R.D. 8 gennaio 1931, n. 146 e, in ogni caso, la semplice
prassi aziendale era incompatibile con il principio di generalità ed
uniformità del rapporto di lavoro pubblico.
La seconda parte del primo motivo nella quale viene censurata la
decisione per avere riconosciuta valenza di atto di messa in mora al
ricorso gerarchico presentato dal lavoratore è inammissibile. Del
documento sul quale la censura si fonda, infatti, parte ricorrente non
indica, in violazione del disposto dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., la
sede in cui lo stesso risulta prodotto, né ne riproduce il contenuto. .
Questa Corte ha chiarito che il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 6, per
essere assolto, postula che sia specificato in quale sede processuale il
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ed indeterminatezza, non poteva valere quale costituzione in mora

documento, pur indicato nel ricorso, risulta prodotto, poiche’ indicare
un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli
elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo e’
rintracciabile. La causa di inammissibilita’ prevista dal nuovo art. 366
c.p.c., n. 6, e’ direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come

stesso (si veda, in termini, Cass. sez. un. n. 28547 del 2008; ord. sez.
un. n.7161 del 2010; ord. n. 17602 del 2011).
Le ulteriori censure alla decisione impugnata, formulate nel primo
motivo nonché quelle di cui al secondo e terzo motivo di ricorso
possono essere trattate congiuntamente stante la evidente connessione.
Esse sono infondate.
Si premette che la stessa Corte di Lecce (sentenza n. 1821 del 2005)
aveva riconosciuto ai dipendenti della ex Gestione commissariale
governativa per le Ferrovie del Sud Est il compenso per lavoro
straordinario eccedente le 36 ore lavorative. La sentenza, al pari di
quella ora impugnata, aveva accertato che l’orario normale di lavoro
era stato così fissato in forza di prassi aziendale risalente al 1945
(quando il rapporto di lavoro era di natura privatistica) e poi recepita
dal D.M. Trasporti 20 settembre 1985, n. 976, il quale, riscattando la
concessione ferroviaria e disponendo la gestione commissariale
governativa dell’azienda, faceva assumere natura pubblica al rapporto
lavorativo medesimo, assicurando al personale dipendente la
conservazione di tutti i diritti maturati in epoca anteriore, così da
mantenere invariato l’orario lavorativo sino a diversa regolamentazione
proveniente dalla contrattazione collettiva. La Corte di cassazione, a
Sezioni unite (sentenza n. 26107 del 2007), pronunziando su ricorso
della s.r.l. Ferrovie del Sud Est, ha confermato questa sentenza,
affermando che la reiterazione costante e generalizzata di un
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requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica dello

comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei
propri dipendenti integra, di per sè, gli estremi dell’uso aziendale, il
quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cd. fonti sociali
– tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il
regolamento d’azienda e che sono definite tali perché, pur non

interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un’uniforme
disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei
lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti
individuali alla stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto
collettivo aziendale. In particolare, circa la compatibilità di detto
istituto con il rapporto di lavoro pubblico privatizzato, le Sezioni unite
hanno affermato che: “nella specie poi non occorre neanche evocare la
categoria della prassi aziendale e porsi il problema della sua
compatibilità con la trasformazione del rapporto di lavoro da privato a
pubblico a seguito del “riscatto” della concessione perché in realtà … la
risalente prassi aziendale (fin dal 1945) di un orario settimanale di 36
ore, formatasi nel regime privatistico del rapporto, era stata recepita
nel cit. D.M. 20 settembre 1985, n. 976, che, tra l’altro, assicurò al
personale dipendente la conservazione di tutti i diritti maturati in
epoca anteriore al riscatto della concessione. Ciò, beninteso, non
significava certo un diritto quesito ad un più favorevole orario di
lavoro rispetto a tutti gli altri lavoratori del settore del trasporto
ferroviario. Ma significava solo che l’orario di lavoro dopo il riscatto
della concessione era rimasto invariato e tale avrebbe continuato ad
essere fino ad una diversa regolamentazione di pari livello alla fonte
originaria, ossia ad una contrattazione collettiva aziendale, atteso che come già rilevato – nel lavoro pubblico prima (in ragione della cit. legge
quadro sul pubblico impiego) e, successivamente, anche nel lavoro
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costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri

pubblico privatizzato (in ragione della normativa cit. sul lavoro
pubblico privatizzato) l’orario di lavoro costituisce materia demandata
alla contrattazione collettiva”. A questa pronuncia hanno fatto seguito
altre conformi ( Cass . ord. n. 722 del 2012 ; S.0 n. 16166 del 2011)
Essendosi il giudice di merito uniformato a tali principi, il Collegio, in

infondato.” . Parte ricorrente ha depositato memoria, ai sensi dell’art.
380 bis cod. proc. civ..
Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono
del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata
giurisprudenza in materia e che la memoria di parte ricorrente non
offre elementi idonei ad una rimeditazione delle stesse.
Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, comma 1°, n. 5
cod. proc. civ. , per la definizione camerale..Conseguentemente il
ricorso va respinto.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione
delle spese che liquida in € 3000,00 per compensi professionali e in €
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Roma, 25 marzo 2014

Il Funzionario Giudiziario
PaoiQJ,4tJ4JcQ

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

le- 9 HA6. 291!

camera di consiglio, valuterà se il ricorso sia manifestamente

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