Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10139 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 28/05/2020), n.10139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21680/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

– ricorrente –

contro

A.U. S.r.l., rappresentato e difeso dall’avv. Ernesto

Procaccini del Foro di Napoli ed elettivamente domiciliata in Roma,

Via Atanasio Kircher n. 7, presso lo studio dell’avv. Stefania

lasonna Francesco Napoli Corso Vittorio Emanuele n. 670

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso

la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n.

202/45/12 pronunciata il 19.4.2012 e depositata il 28.6.2012

Udita la relazione svolta in Camera di Consiglio del 17 dicembre 2019

dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società A.U. s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate di Napoli, che per l’anno di imposta 2003 aveva accertato maggiori ricavi per Euro 102.165,00 e recuperato a tassazione Euro 34.736,00 per IRPEG, Euro 4.661,00 per IRAP ed Euro 20.433,00 per IVA, oltre sanzioni ed interessi.

2. La Commissione tributaria provinciale di Napoli accoglieva il ricorso della contribuente.

3. Con sentenza n. 202/45/12, pronunciata il 19.4.2012 e depositata il 28.6.2012, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava poi l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nella considerazione che il maggior reddito accertato a carico della contribuente trovava fondamento solo sulla ricostruzione “indiretta” della percentuale di ricarico; ricostruzione giustificata dalla postulata inattendibilità ed incongruità dei dati contabili dichiarati dall’appellata, prescindendo dalle risultanze dell’esame di tutta la documentazione che senza alcuna dimostrazione era stata ritenuta inattendibile.

4. Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo, chiedendone l’annullamento.

5. La società contribuente resiste con controricorso e proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato all’accoglimento del ricorso principale, affidato a un unico motivo.

5. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 17 dicembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis-1 c.p.c.

6. Con memoria depositata in data 5 dicembre 2019 la società contribuente ha insistito nella richiesta di declaratoria di inammissibilità o comunque di rigetto del ricorso dell’Agenzia delle Entrate e in via subordinata nella richiesta di accoglimento del ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, e art. 39 comma 1, lett. d, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, lamentando che, la Commissione Tributaria Regionale non aveva tenuto conto del fatto che la società non aveva mai esibito, nè in sede amministrativa, nè in sede contenziosa, il dettaglio delle rimanenze iniziali

e finali, nonostante l’impegno assunto in sede di redazione del processo verbale di accesso e richiesta documenti; inoltre che non aveva considerato le irregolarità contabili commesse dalla società contribuente e l’irragionevolezza nella gestione aziendale evidenziato da un asserito ricarico del 23% (a fronte di quello compreso tra il 36% ed il 113% previsto dagli studi di settore); elementi idonei a supportare le risultanze dello studio di settore e, quindi, a consentire la ripresa a tassazione di maggiori ricavi.

2. Il ricorso è fondato.

3. Invero la C.T.R. non ha fatto buongoverno delle norme tributarie evocate dalla ricorrente e del principio dell’onere della prova, non considerando che l’omessa esibizione, sia in sede amministrativa, sia in sede contenziosa, del “dettaglio delle rimanenze iniziali e finali” da parte della società contribuente costituiva un elemento idoneo e sufficiente, unitamente con il notevole divario della “percentuale di ricarico” dalle statistiche degli studi di settore, a giustificare l’accertamento “induttivo” cui ha correttamente proceduto l’Agenzia delle Entrate. Sussiste infatti una presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti che non si trovino nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, a fronte della quale egli è gravato della prova contraria.

3.1. Questa Corte ha costantemente affermato il principio secondo cui, in tema di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d), o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate, costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo;

presunzione che è relativa e superabile non con qualunque mezzo di prova, ma solamente con le prove tassativamente indicate dal D.P.R. n. 441 del 1997 cit., artt. 1 e 2 (cfr. Cass. n. 31273 del 4/12/2018; Cass. n. 19957 del 10/08/2017; Cass. n. 13120 del 25/07/2012). Invero la presunzione di avvenuta cessione dei beni può fondarsi anche sulla sola verifica di natura contabile, purchè fatta sulla base di documenti dell’impresa previsti dalla legge (Cass. n. 12245 del 18.5.2018; Cass. n. 9628 del 13.6.2012).

3.2. Nel caso di specie il contribuente si è sottratto all’onere della prova dell’impiego dei beni per la produzione o della consegna a terzi per superare la presunzione di cessione, inoltre non ha in alcun modo giustificato il notevole divario tra la percentuale di ricarico dichiarata e quella riscontrata nel settore di appartenenza che evidenziava l’assoluta irragionevolezza del dato dichiarato e una palese antieconomicità dell’attività gestionale.

3.3. Non appare pertanto censurabile l’operato dell’amministrazione finanziaria la quale nella motivazione del provvedimento impositivo, aveva proceduto alla rettifica anche in considerazione dell’antieconomicità della gestione, stante l’assoluta modestia della percentuale di ricarico praticata (23%) inidonea, in difetto di valide giustificazioni, mai fornite dalla contribuente, a motivare lo svolgimento dell’attività d’impresa; elementi questi da cui era agevole desumere l’irragionevolezza dei risultati reddituali dichiarati dalla società rispetto al costo del venduto.

3.4. Nella specie il giudice di appello con il proprio giudizio di merito ha disatteso completamente i principi di diritto evocati dalla ricorrente, con specifico riguardo agli oneri probatori rispettivamente gravanti sulle parti, talchè il ricorso dell’Agenzia risulta meritevole di accoglimento.

4. Tale conclusione impone l’esame del ricorso incidentale condizionato con cui la controricorrente deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, degli artt. 24 e 97 Cost. Italiana e dell’art. 111 Cost., comma 6, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; in relazione all’art. 360, c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, lamentando che la Commissione Tributaria Regionale, riformando la sentenza di primo grado, aveva escluso che la violazione del termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, avesse determinato l’illegittimità dello “avviso di accertamento”.

5. Tale censura è fondata.

5.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 18184 del 2013, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio”.

5.2. Nel caso di specie è pacifico tra le parti che l’emanazione anticipata dell’atto impugnato non è stata sorretta da validi motivi di urgenza, mai addotti dall’Ufficio, talchè in applicazione dell’anzidetto principio, il ricorso incidentale della società contribuente deve essere accolto.

6. All’accoglimento del ricorso incidentale della società contribuente consegue la cassazione della sentenza impugnata e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e decidendo la causa nel merito accoglie il ricorso introduttivo della società contribuente e condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso delle spese di giudizio sostenute dalla controricorrente che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese generali nella misura del 15%, Euro 200 per esborsi e accessori di legge.

Cosi deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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