Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10139 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/04/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 28/04/2010), n.10139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11641-2007 proposto da:

P.M., in proprio e in qualità di legale rappresentante

della Società MIRA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DEL

VIGNOLA 73, presso lo studio dell’avvocato BATTISTELLI MASSIMILIANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BONIELLO DOMENICO, giusta delega

a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 33/2006 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 02/03/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il resistente l’Avvocato dello Stato GUIDA, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2/3/2006 la Commissione Tributaria Regionale della Campania respingeva il gravame interposto dal sig. P.M., in proprio e quale legale rappresentante della società Mira di Paone Michele & C. s.n.c., nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli di sostanziale rigetto dell’opposizione proposta dai suindicati contribuenti in relazione ad avviso di accertamento emesso ai fini I.R.P.E.F. per l’anno d’imposta 1996.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello il P., in proprio e nella qualità, propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che il giudice del gravame di merito non abbia pronunziato in ordine alle doglianze riproposte con l’atto d’appello avverso la sentenza del giudice di prime cure in ordine a) all’essere stata dall’A.F, posta a base della pretesa tributaria le “risultanze di altro verbale di constatazione (già precedentemente chiuso senza alcuno dei rilievi posti a base dell’accertamento oggetto del presente giudizio)”, e b) all’illegittimità dell’accertamento conseguente all’utilizzazione di documentazione illegittimamente acquisita dalla G. di F. in locale estraneo all’attività d’impresa senza l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Con il 3^ motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamentano che pur avendo ritenuto “arbitrario” l’accesso nel caso operato da parte della G.d.F., nel locale ove è stata rinvenuta la documentazione poi posta a base dell’impugnato accertamento, il giudice dell’appello ha contraddittoriamente ritenuto l’utilizzabilità della medesima e la legittimità del conseguentemente operato accertamento induttivo del reddito.

Si dolgono che la G. di F. abbia nel caso “illegittimamente acquisito i presunti elementi probatori (ritenuti immotivatamente riconducibili alla società ricorrente) posti a base dell’accertamento impugnato, in quanto ha proceduto ad accedere in un locale assolutamente estraneo all’attività imprenditoriale e senza alcuna autorizzazione da parte del Procuratore della Repubblica che, d’altra parte, non poteva essere concessa mancando i gravi indizi richiesti dalla legge”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati nei termini di seguito indicati.

Premesso che risponde a principio affermato in giurisprudenza di legittimità sia che il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza, in locali diversi da quelli societari, di una “contabilità parallela” a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale legittima, di per se, e a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, commi 2 e 3 (v. Cass., 18/12/2006, n. 27061; Cass., 20/12/2003, n. 19598; e già Cass., 7/7/1999, n. 7045); sia che ai sensi della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 35 la Guardia di finanza, in quanto polizia tributaria, può sempre accedere negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria, non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta, richiesta per il diverso caso di accesso effettuato dai dipendenti civili dell’Amministrazione finanziaria (v. Cass., 8/7/2009, n. 16017; Cass., 31/8/2007, n. 18337; Cass., 3/4/2007, n. 9565; Cass., 26/10/2005, n. 20824; Cass., 12/10/2005, n. 19837; Cass., 29/11/2001, n. 15209; Cass., 2/2/1998, n. 1036. V. anche, da ultimo, Cass., 7/8/2009, n. 18155), va osservato che dalla motivazione dell’impugnata sentenza emerge come, a fronte dell’indicazione che nell’atto d’appello gli odierni ricorrenti ed allora appellanti avevano eccepito (tra l’altro) “difetto di motivazione” della sentenza di prime cure, nonchè “violazione D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 per non aver richiesto autorizzazione alla procura prima di accedere in locale estraneo all’attività imprenditoriale dove sono stati rinvenuti documenti (utilizzati dalla GdF), violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39”, le siffatte questioni non risultano in alcun modo trattate, nulla risultando al riguardo affermato dal giudice dell’appello al riguardo.

Dell’impugnata sentenza, assorbiti i restanti motivi con i quali i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, L. n. 212 del 2000, art. 12 nonchè “dei principi in materia di verifica fiscale”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″ (2^ motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (4^ motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (5^ motivo), s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, per nuovo esame.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il 1^ ed il 3^ motivo di ricorso, assorbiti i restanti. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

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