Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10138 del 28/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/04/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 28/04/2010), n.10138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2050-2007 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

MIRA DI PAONE MICHELE & C. SNC, P.M., PA.MA., in

proprio e nella qualità di legale rappresentante della Società

MIRA, elettivamente domiciliati in ROMA V.LE DEL VIGNOLA 73, presso

lo studio dell’avvocato BATTI STELLI MASSIMILIANO, rappresentati e

difesi, dall’avvocato BONIELLO DOMENICO, giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 209/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 15/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato GUIDA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15/11/2005 la Commissione Tributaria Regionale della Campania respingeva i riuniti gravami interposti dall’Agenzia delle entrate Castellammare di Stabia (OMISSIS) nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli di accoglimento delle opposizioni spiegate dalla società Mira di Paone Michele & C. s.n.c. e dai relativi soci sigg.ri P.M. e Ma. in relazione ad avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia II.DD. di Castellammare di Stabia ai fini I.R.P.E.F. ed ILOR per gli anni d’imposta 1994 e 1995.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello l’Agenzia delle entrate propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

Resistono con controricorso la società Mira di Paone Michele & C. s.n.c. ed il sig. P.M., che hanno presentano anche memoria.

L’intimato sig. Pa.Ma. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Lamenta che erroneamente il giudice dell’appello ha ritenuto nel caso necessaria l’autorizzazione della Procuratore della Repubblica D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 52 laddove nella specie “il locale dove ha avuto luogo l’ispezione non costituiva la sede della abitazione del contribuente”, ed “era riferibile alla società”.

Si duole non essersi dal giudice dell’appello considerato che “Nel verbale d’accertamento (2^ foglio notizie generali) si legge … che:

Inoltre la società si serve di un piccolo deposito ubicato in (OMISSIS) di proprietà dell’amministratore P.M.. Tale deposito risulta essere stato ceduto in comodato alla società in discorso, giusta contratto redatto in data 20.1.1996”. E che risulta pertanto “per tabulas (evidenziato anche nelle controdeduzioni in primo grado), che il luogo dove verme svolta l’indagine era da considerarsi inerente all’esercizio dell’impresa, in virtù del contratto sopra indicato”.

Il motivo è infondato.

Premesso che risponde a principio affermato in giurisprudenza di legittimità sia che il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza, in locali diversi da quelli societari, di una “contabilità parallela” a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale legittima, di per sè, e a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, commi 2 e 3 (v. Cass., 18/12/2006, n. 27061; Cass., 20/12/2003, n. 19598; e già Cass., 7/7/1999, n. 7045 ); sia che ai sensi della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 35 la Guardia di finanza, in quanto polizia tributaria, può sempre accedere negli esercizi pubblici e in ogni locale adibito ad azienda industriale o commerciale ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria, non necessitando, a tal fine, di autorizzazione scritta, richiesta per il diverso caso di accesso effettuato dai dipendenti civili dell’Amministrazione finanziaria (v. Cass., 8/7/2009, n. 16017; Cass., 31/8/2007, n. 18337; Cass., 3/4/2007, n. 9565; Cass., 26/10/2005, n. 20824; Cass., 12/10/2005, n. 19837; Cass., 29/11/2001, n. 15209; Cass., 2/2/1998, n. 1036. V. anche, da ultimo, Cass., 7/8/2009, n. 18155), va osservato che, diversamente da quanto dai ricorrenti dedotto e più sopra riportato, emerge dall’impugnata sentenza come il giudice dell’appello abbia nel caso espressamente sottolineato non essere stata dall’A.F. “invero documentata e nemmeno affermata la ricorrenza della seconda ipotesi, consistente nell’eventuale destinazione od utilizzo” del locale de qua.

Orbene, siffatta affermazione non risulta dall’odierna ricorrente invero censurata ex artt. 115 e 116 c.p.c. in relaz. all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (cfr. Cass., 12/3/2008, n. 6620; Cass., 20/6/2006, n. 14267; Cass., 12/2/2004, n. 2707), essendosi la medesima limitata a formulare una censura di violazione di legge e ad adombrare un error in procedendo.

Va per altro verso sottolineato che la circostanza secondo cui il locale in questione sarebbe un “deposito” dalla società ricorrente goduto in virtù di contratto di comodato in data (OMISSIS) risulta oggetto di deduzione della odierna ricorrente connotata da profili di novità, oltre che formulata – così come l’intero motivo – in violazione del principio di autosufficienza, laddove viene fatto rinvio ad atti e documenti del giudizio di merito (es., “contratto”, “verbale di accertamento”, “controdeduzioni in primo grado”) senza invero debitamente riportarli nel ricorso.

All’infondatezza del motivo consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2010

 

 

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