Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10135 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 10135 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DE RENZIS ALESSANDRO

ha pronunciato la seguente

iholb/AZ ■ °N’e.

SENTENZA

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3e/11f:si-tritala

sul ricorso proposto
DA
pro
POSTE ITALIANE S.p.A., in persona del legale rappresentante
2
ZlA
-e-on
tempore, elettivamente domiciliata in Roma~tevere i
presso lo studio Trifirò & Partners, rappresentata e difesa dall’Avv.
Salvatore Trifilrò per procura a margine del ricorso
Ricorrente
CONTRO
MANDIELLO GIAMPIERO

Intimato

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Milano n. 918/07
del 19.09.2007/15.10.2007 nella causa iscritta al n. 164 R.G. dell’anno
2006.

5/

Data pubblicazione: 09/05/2014

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20.03.2014
dal Consigliere Dott. ALESSANDRO DE RENZIS;
udito l’Avv. GIVA i04 6-r(-1-t9 , per delega dell’Avv. SALVATORE TRIFIRO’,
per per le Poste Italiane,

CARMELO CELENTANO, che ha concluso per l’inammissibilità e, in
subordine, per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con ricorso, ritualmente depositato, GIAMPIERO MANDIELLO agiva in
giudizio nei confronti della S.p.A. POSTE ITALIANE chiedendo
l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto a tempo
stipulato con decorrenza dal 22.11.2000 al 31.01.2001 in relazione ad
“esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti
occupazionali in corso ed in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul
territorio delle risorse umane”.
Con sentenza n. 150 del 2004 il Tribunale di Lecco

accoglieva la domanda

del Mandiello.
Tale decisione, appellata dalle Poste Italiane, è stata confermata dalla

Corte di Appello di Milano con sentenza n. 918 del 2007, che ha ribadito la
nullità del contratto stipulato dal Mandiello, con la conseguente condanna
della società ~tale alla immediata riammissione dell’appellath, nel
posto di lavoro e al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni globali
di fatto maturate con decorrenza dalla comunicazione di convocazione
presso l’Ufficio del Lavoro per il tentativo obbligatorio di conciliazione, oltre

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

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accessori di legge.
La Corte territoriale, disattesa l’eccezione di risoluzione del contratto per
mutuo consenso, ha osservato che la società avrebbe potuto concludere
validamente i contratti a temine fino al 30 aprile 1998, essendo autorizzata

nella stipulazione del contratto comportava la nullità della clausola relativa
alla fissata scadenza.
La Corte ha inoltre rilevato che il pagamento delle retribuzioni spettava con
decorrenza dalla data di convocazione per il TOC, ravvisata in essa la
messa in mora.
La Corte ha infine affermato che l’appellante società aveva diritto di detrarre
l’aliunde perceptum, ma era a carico di essa la relativa prova.

La S.p.A. Poste Italiane ricorre per cassazione con nove motivi.
Il Mandiello non si è costituito.
Il Collegio ha autorizzato motivazione semplificata.
3. Con il primo motivo del ricorso le Poste Italiane lamentano violazione e
falsa applicazione degli artt. 1372, 1° e 2°comma, Cod. Civ, rilevando che
l’impugnata sentenza erroneamente ha respinto l’eccezione di
inammissibilità dell’avversa domanda stante

l’intervenuta risoluzione

czarerascncre per mutuo consenso tacito, e ciò nonostante la prolungata

inerzia del lavoratore, il quale dopo alcuni anni dalla cessazione di
rapporto aveva contestato la legittimità del termine apposto al contratto con
la proposizione del ricorso ex art. 414 CPC, dimostrando con ciò
disinteresse alla attuazione dello stesso rapporto.
Il motivo è infondato.

in tale senso dalle parti collettive, sicché il superamento di tale termine

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La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr ex plurimis Cass. n. 1223
del 2013; Cass. n. 16932 del 2011; Cass. n. 23319 del 2010; Cass. n. 23554
del 2004) ritiene che nel giudizio instaurato per il riconoscimento di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto

configurabile la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, qualora sia
accertata- per il tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto,
nonché, per le modalità di tale conclusione, per il comportamento tenuto
dalle parti e per altre eventuali circostanze significative- una chiara e certa
comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo; la
valutazione del significato e della portata di tali elementi spetta al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici e/o errori di diritto.
Nel caso di specie il giudice di merito si è attenuto al richiamato principio
osservando che dal semplice decorso del tempo e dall’inerzia
dell’interessata non si poteva dedurre la rinuncia all’esercizio del diritto,
non essendo emersi altri elementi di fatto dai quali trarre il convincimento
che l’attesa prima dell’inizio dell’azione giudiziaria avesse altri e più
complessi significati.
Tale valutazione, sorretta da adeguata e logica motivazione, si sottrae
quindi alle doglianze della ricorrente.

dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto, è

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_ 4. Con il secondo, terzo, quarto e quinto motivo del ricorso le Poste Italiane
lamentano violazione e falsa applicazione di norme di diritto e accordi

decisivo per il giudizio. Al riguard&rsostiene che l’impugnata sentenza, pur
riconoscendo che l’art. 8 del CCNL del 26.11.1994 -con i relativi accordi
integrativi ( del 25.09.1997, del 16.01198, del 27.04.1998, del 2.07.1998,
del 24.05.1999, del 18.01.2011)- costituisce applicazione della delega di cui
all’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e consente il ricorso a contratti a
tempo determinato, ha erroneamente affermato che il potere ivi riconosciuto
ai contraenti collettivi di introdurre nuove ipotesi di assunzione a temine, in
aggiunta a quelle previste dalla legge sarebbe soggetto a pretesi limiti
temporali per I periodo successivo al 30 aprile 1998.
Le esposte censure sono infondate.
In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte
(cori riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001)
sulla scia di Cass. S.U. n. 4588 del 2 marzo 2006, è stato precisato che
“l’attribuzione alla contrattazione collettiva ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a
quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle
necessità del mercato del lavoro per i lavoratori ed efficace salvaguardia
per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale
dei lavoratori da assumere rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato)

collettivi di lavoro, nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e

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e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di
collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro

agosto 2008, Cass. n. 9245 del 20 aprile 2006). “Ne risulta, quindi, una
sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che
ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di
ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo
operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato” (cfr tra le altre, Cass. n. 21062
del 4 agosto 2008, Cass. n. 18378 del 23 agosto 2008).
In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti
collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di
apposizione del termine ( cfr fra le altre, Cass. n. 18383 del 23 agosto 2008,
Cass. n. 7745 del 14 aprile 2005, Cass. n. 2866 del 14 febbraio 2004).
In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte precisato, “in materia
di assunzione a temine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, attuativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, le parti
hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla
conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
intervenute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo

di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr Cass. n. 21063 del 4

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derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile
1962 n. 230 (cfr fra le altre, Cass. n. 20608 del 1° ottobre 2007, Cass. n.
7979 del 27 marzo 2008; Cass. n. 18378/2006 cit.).

scadenza degli accordi collettivi e ha correttamente applicato i principi di
diritto affermati dalla giurisprudenza sul punto ritenendo illegittimo il termine
apposto ai contratti in questione stipulati dopo il 30 aprile 1998.
5. Con il sesto e settimo motivo del ricorso le Poste Italiane contestano
l’impugnata sentenza con riferimento alla messa in mora , sostenendo che
erroneamente il giudice di appello la ha ravvisata nel TOC, laddove per il
principio di corrispettività della prestazione il ricorrente avrebbe avuto
diritto alle retribuzioni soltanto dal momento dell’eventuale effettiva ripresa
del servizio.
Gli esposti motivi sono privi di pregio e vanno disattesi.
I giudici di merito, con valutazione in fatto, hanno i individuato – ai fini del
risarcimento del danno- la decorrenza dalla messa in mora, riscontrata,
come già detto, nell’invio della richiesta di convocazione dinanzi alla
Commissione di Conciliazione. D’altro canto il ricorso non riporta né
trascrive l’atto di messa in mora, violando in tal modo il principio di
autosufficienza e così impedendo in questa sede di legittimità di verificare
la decisività del rilievo.
6. Con l’ottavo e nono motivo del ricorso Le Poste Italiane lamentano
rispettivamente vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione di
norme di diritto

(artt. 1218, 1219, 1223, 1227, 2099, 2697 Cod. Civ.),

La sentenza impugnata ha fornito adeguata e coerente motivazione circa la

rilevando che il giudice di appello non ha tenuto conto delle prestazioni
rese dalla lavoratrice interessata a favore di terzi (c.d. etto/ perceptum) e in
tal modo ha erroneamente determinato le retribuzioni perdute in
conseguenza del rifiuto della controprestazione.
genericità sia nella sua formulazione

con il ricorso per cassazione sia nel motivo sia nel relativo quesito di diritto.
7. Né può trovare applicazione al caso di specie lo ius superveniens,
costituito dall’art. 32-5° comma- della legge n. 183 del 2010, secondo la
quale l’indennità risarcitoria deve essere determinata nella misura minima,
pari a 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto.
invero tale applicazione, riferendosi al profilo delle conseguenze di
carattere patrimoniale, derivanti dall’accertamento della nullità del contratto
in questione, è preclusa dalla riconosciuta inammissibilità del ricorso per
cassazione con riferimento al mancato rispetto dei principi della

mora

credendi e dell’aliunde perceptum.
8. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Nessuna pronuncia va emessa per le spese del presente giudizio, non
avendo l’intimato svolto alcuna attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma addì 20 marzo 2014
li Consigliere re!. est.

Il motivo è inammissibile, stante la

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