Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10134 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 10134 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: DE RENZIS ALESSANDRO

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SENTENZA
sul ricorso proposto
DA
POSTE ITALIANE S.p.A., in persona del legale rappresentante

pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale G. Mazzini n. 134, presso

lo studio deli’Avv. LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende per
procura a margine del ricorso
Ricorrente
CONTRO
CANU AGNESE
Intimata
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Cagliari- Sezione
distaccata di Sassari n. 603,07 del 10.10.2007/17.10.2007 nella causa

Data pubblicazione: 09/05/2014

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iscritta al n. 138 R.G. dell’anno 2007.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20.03.2014
dal Consigliere Dott. ALESSANDRO DE RENZIS;
,
udito l’Avv. ANNA BUTTAFOCO, per delega dell’Avv. LUIGI FIORILLO, per

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CARMELO CELENTANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con ricorso, ritualmente depositato, AGNESE CANU agiva in giudizio nei
confronti della S.p.A. POSTE ITALIANE chiedendo l’accertamento della
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1.•

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nullità del termine apposta ai. contratta a tempo stipulati con decorrenza dal
9.01.1999 al 31.01.1999 e dal 13.11.1999 al 29.92.2000 ai sensi dell’art. 8
del CCNL del 26.11.1994, così come integrato dall’accordo del 25.09.1997,
in relazione ad

“esigenze eccezionali conseguenti alla fase di

ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso ed in
ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di
sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo
equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Con sentenza n. 1003 del 2006 il Tribunale di Sassari

accoglieva la

domanda condannando la società a riammettere in servizio la ricorrente.
Tale decisione, appellata dalle Poste Italiane, è stata confermata dalla
Corte dì Appello di Cagliari- Sez. Distaccata di Sassari- con sentenza n.
603 del 2007, che, disatteso il motivo di gravame relativo alla risoluzione
del rapporto per mutuo consenso, ha ribadito che la società avrebbe potuto
concludere validamente i contratti a temine fino al 30 aprile 1998, essendo

le Poste Italiane,

autorizzata in tale senso dalle parti collettive, sicché il superamento di tale
termine nella stipulazione del contratto comportava la nullità della clausola
relativa al termine e dell’intero contratto..
La stessa Corte ha inoltre rilevato che il pagamento delle retribuzioni

convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione.
La S.p.A. Poste Italiane ricorre per cassazione con quattro motivi.
L’intimata Canu non si è costituita.
Il Collegio ha autorizzato motivazione in forma semplificata.

spettava con decorrenza dalla messa in mora, ravvisata nella richiesta di

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3. Con il primo motivo del ricorso le Poste Italiane deducono violazione e
falsa applicazione dell’at. 1372, 1° e 2°comma, Cod. Civ ed dell’art. 100
CPC„ nonché vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo,
rilevando che l’impugnata sentenza erroneamente ha respinto l’eccezione di
inammissibilità dell’avversa domanda stante

l’intervenuta risoluzione

ectr~tuktp per mutuo consenso tacito, e ciò nonostante la prolungata
inerzia della lavoratrice, la quale dopo alcuni anni dalla cessazione di
rapporto aveva contestato la legittimità del termine apposto al contratto con
la proposizione del ricorso ex art. 414 CPC, dimostrando con ciò
disinteresse alla attuazione dello stesso rapporto e non presentandosi a
riprendere servizio, una volta riammessa.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr ex plurimis Cass. n. 1223
del 2013; Cass. n. 16932 del 2011; Cass. n. 23319 del 2010; Cass. n. 23554
del 2004) ritiene che nel giudizio instaurato per il riconoscimento di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto

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dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto, è
configurabile la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, qualora sia
accertata- per il tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto,
nonché, per le modalità di tale conclusione, per il comportamento tenuto

comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo; la
valutazione del significato e della portata di tali elementi spetta al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici e/o errori di diritto.
Nel caso di specie il giudice di merito si è attenuto al richiamato principio
osservando che dal semplice decorso del tempo e dall’inerzia
dell’interessata non si poteva dedurre la rinuncia all’esercizio del diritto,
non essendo emersi altri elementi di fatto dai quali trarre il convincimento
che l’attesa prima dell’inizio dell’azione giudiziaria avesse altri e più
complessi significati.
Tale valutazione, sorretta da adeguata e logica motivazione, si sottrae
quindi alle doglianze della ricorrente
4. Con il secondo e terzo motivo del ricorso le Poste Italiane lamentano

violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362, 1363 e ss Cod.
Civ.), nonché vizio di motivazione, sostenendo che l’impugnata sentenza,
pur riconoscendo che l’art. 8 del CCNL con i relativi accordi integrativi ( del
25.09.1997, del 16.01.198, del 27.04.1998, del 2.07.1998, del 24.05.1999,
del 18.01.2011) in connessione con gli artt. 1362 e seguenti Cod. C«.
costituisce applicazione della delega di cui al richiamato art. 23 e consente
il ricorso a contratti a tempo determinato, ha erroneamente affermato che il

dalle parti e per altre eventuali circostanze significative- una chiara e certa

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potere ivi riconosciuto ai contraenti collettivi di introdurre nuove ipotesi di
assunzione a temine, in aggiunta a quelle previste dalla legge sarebbe
soggetto a pretesi limiti temporali per il periodo successivo al 30 aprile
1998.

infondati.
In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte
(con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001)
sulla scia di Cass. S.U. n. 4588 del 2 marzo 2006, è stato precisato che
“l’attribuzione alla contrattazione collettiva ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a
quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle
necessità del mercato del lavoro per i lavoratori ed efficace salvaguardia
per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale
dei lavoratori da assumere rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato)
e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di
collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro
di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr Cass. n. 21063 del 4
agosto 2008, Cass. n. 9245 del 20 aprile 2006). “Ne risulta, quindi, una
sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che
ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di
ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo

Gli esposti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono

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operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato” (cfr tra le altre, Cass. n. 21062
del 4 agosto 2008, Cass. n. 18378 del 23 agosto 2008).
In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti

apposizione del termine ( cfr fra le altre, Cass. n. 18383 del 23 agosto 2008,
Cass. n. 7745 del 14 aprile 2005, Cass. n. 2866 del 14 febbraio 2004).
In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte precisato, “in materia
di assunzione a temine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, attuativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, le parti
hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria,

relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla

conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
intervenute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile
1962 n. 230 (cfr fra le altre, Cass. n. 20608 del 1° ottobre 2007, Cass. n.
7979 del 27 marzo 2008; Cass. n. 18378/2006 cit.).
La sentenza impugnata ha fornito adeguata e coerente motivazione circa la
scadenza degli accordi collettivi e ha correttamente applicato i principi di
diritto affermati dalla giurisprudenza sul punto ritenendo illegittimo il termine
apposto ai contratti in questione stipulati dopo il 30 aprile 1998.
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione

collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di

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di norme di diritto (artt.1217 e 1223 Cod. Civ.), nonché vizio di motivazione,
per avere il giudice di appello collegato alla messa in mora l’inizio della
pretesa risarcitoria, non potendo valere al riguardo la richiesta del tentativo
obbligatorio di conciliazione o la notifica del ricorso.

tenuto conto delle prestazioni rese dalla lavoratrice interessata a favore di
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terzi (c.d.

perceptum) e in tal modo ha erroneamente determinato le

retribuzioni perdute in conseguenza del rifiuto della controprestazione.

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Il motivo è privo di pregio e va disatteso sotto entrambi i profili.
Quanto

all’ offerta delle prestazioni lavorative i giudici di

valutazione in fatto, ne hanno ò individuato

merito, con

ai fini del risarcimento del

danno- la decorrenza dalla messa in mora, riscontrata, come già detto, nella
richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, emergendo in maniera
chiara dalla denuncia della controversia la volontà della lavoratrice di
riprendere il servizio (cfr penultima ed ultima pagina della sentenza
impugnata). D’altro canto il ricorso non riporta né trascrive tale richiesta,
violando in tal modo il principio di autosufficienza e così impedendo in
questa sede di legittimità di verificare la decisività del rilievo.
Con riguardo all’aliunde perceptum va osservato che la censura, oltre che
generica, è in contrasto con quanto più volte ritenuto da questa Corte di
legittimità circa il carattere esplorativo e dunque inammissibile dell’istanza
di esibizione ex art. 210 CPC formulata dalla società datrice di lavoro.
• 6. Né può trovare applicazione al caso di specie lo

La stessa ricorrente contesta la sentenza impugnata, rilevando che non ha

ius superveniens,

costituito dall’art. 32-5° comma- della legge n. 183 del 2010, secondo la
quale l’indennità risarcitoria deve essere determinata nella misura minima,

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pari a 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto.
Invero tale applicazione, riferendosi al profilo delle conseguenze di
carattere patrimoniale, derivanti dall’accertamento della nullità del contratto
in questione, è preclusa dalla riconosciuta inammissibilità del ricorso per

mora

credendi e dell’aliunde perceptum.
7. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Nessuna pronuncia per le spese del presente giudizio di cassazione va
emessa nei confronti dell’intimata non costituitasi

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La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma addì 20 marzo 2014
Il Consigliere re!. est.

cassazione con riferimento al mancato rispetto dei principi della

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