Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10132 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10132 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: D’AMICO PAOLO

SENTENZA
sul ricorso 23607-2011 proposto da:
MAGGIAN GIUSEPPE MGGGPP55C11B493J,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio
dell’avvocato MARIO MASSANO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ENRICO CORNELIO
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –

2015
contro

451
BOATO

GIANCARLO

BTOGCR49L21L736Y,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI l,
presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TROIANI, che

1

Data pubblicazione: 18/05/2015

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MARCO NOTO giusta procura a margine del
controricorso;
– con troricorrente nonché contro

BEATRICE, LOREZON ANTONIO, AZIN GIANCARLO, BENEVENTO
MARIA, TONINI MAURIZIO, TONINI RICCARDO, FALLIMENTO
SOCIETAT ANTICA ADELAIDE , CONSAP SPA , GALANTE
ELENA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1348/2010 della CORTE
D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/06/2010 R.G.N.
2429/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/02/2015 dal Consigliere Dott. PAOLO
D’AMICO;
udito l’Avvocato ANTONIO TROIANI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per il
rigetto del ricorso..—-

ANSELMI MARIA BICE, ZERBINATO MARTINA, ZERBINATO

Svolgimento del processo

Elena Galante, proprietaria di un immobile sito in
Venezia, convenne in giudizio Maria Bice Anselmi, vedova
Zerbinato, esponendo che nel novembre 1993, nell’immobile
sovrastante al suo, erano iniziati lavori di rifacimento

erano verificati danni nel suo appartamento.
L’attrice chiese la condanna al risarcimento dei danni
subiti sia dall’immobile, sia dai quadri del pittore Eulisse.
Alla prima udienza l’attrice chiese di essere autorizzata
a rinnovare la notificazione e ad integrare il contraddittorio
nei confronti dei coeredi, essendo deceduto il comproprietario
dell’immobile.
Il G.I. autorizzò quanto richiesto.
La convenuta Maria Bice Anselmi si costituì eccependo
preliminarmente l’estinzione del processo per non avere
l’attrice provveduto al rinnovo dell’originario atto di
citazione, mentre l’atto notificato conteneva domande diverse
quali la condanna solidale delle controparti aventi causa dal
defunto Mario Zerbinato. Chiese comunque di estendere il
contraddittorio nei confronti del progettista e direttore dei
lavori Antonio Lorenzon e dell’impresa esecutrice dei lavori,
con domanda subordinata di manleva.

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affidati all’Impresa Maggian e che a seguito di tali lavori si

All’udienza del 13 novembre 1998 l’attrice chiese ed
ottenne di essere autorizzata a rinnovare la notificazione nei
confronti di Beatrice e Martina Zerbinato.
Queste ultime, aventi causa dal defunto Mario Zerbinato,
si costituirono altresì aderendo alle eccezioni preliminari;

eseguiti e danni; affermarono che i lavori avevano interessato
anche l’immobile dell’attrice con interventi di statica del
solaio in quanto compromessa e che i lamentati danni ai quadri
erano riferibili ad altre cause.
Si costituì ancora Antonio Lorenzon facendo proprie le
eccezioni preliminari sopra riportate; nel merito contestò il
nesso di causalità tra i lavori effettuati e i danni, dovuti
semmai alle condizioni di conservazione della proprietà
attorea e al degrado del coperto imputabile a tutti i
condomini; negò comunque ogni errore di progettazione.
L’impresa edile Maggian si costituì eccependo di aver
lavorato sotto le direttive del Lorenzon, negando che
l’intervento effettuato avesse causato le lamentate
infiltrazioni e contestando alla Zerbinato l’aggravamento del
danno; chiese comunque di chiamare in causa i condomini nonché
la propria compagnia assicuratrice; in seguito rinunciò alla
domanda nei confronti di quest’ultima per intervenuto
fallimento della stessa.

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ItY-

nel merito negarono l’esistenza di un nesso causale tra lavori

Si costituirono Giancarlo Azin, Santina Fonini Azin e
Maria Benevento i quali negavano che la tracimazione della
terrazza potesse ricollegarsi allo stato del tetto e
sostenevano che la responsabilità andava individuata nei
committenti e negli esecutori dei lavori.

pretesa e allegando il danno a sua volta sofferto.
Gli ulteriori chiamati non si costituirono e furono
dichiarati contumaci.
Assunte le prove orali ed espletata consulenza tecnica,
il Tribunale di Venezia , con sentenza n. 1258, depositata il
28 giugno 2004, condannò le convenute al pagamento di

e

16.000,00 in favore dell’attrice; condannò Antonio Lorenzon e
l’impresa Maggian a tenere indenni le convenute rigettando
ogni altra domanda.
L’Impresa Maggian propose appello avverso detta sentenza
articolando quattro motivi d’impugnazione; le appellate Maria
Bice Anselmi, Beatrice Zerbinato e Martina Zerbinato si
costituirono resistendo all’appello e proponendo a loro volta
appello incidentale sulla base di quattro motivi.
Si costituì inoltre Giancarlo Boato chiedendo la conferma
della sentenza impugnata.
Si costituirono pure Giancarlo Azin, Maria Benevento e
Santina Azin Tonini chiedendo il rigetto dell’appello.

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Si costituì infine Giancarlo Boato negando ogni altrui

Si costituì infine Antonio Lorenzon proponendo anch’egli
appello incidentale sulla base di tre motivi.
La Corte d’appello, in parziale riforma dell’impugnata
sentenza, ha condannato Maria Bice Anselmi, Beatrice Zerbinato
e Martina Zerbinato, in via solidale, a corrispondere a Elena

Giuseppe Maggian e Angelo Lorenzon, in via tra loro solidale,
a tenere indenni Maria Bice Anselmi, Beatrice Zerbinato e
Martina Zerbinato di quanto le stesse dovranno corrispondere a
Elena Galante in forza della relativa sentenza.
Propone ricorso per cassazione Giuseppe Maggian.
Resiste con controricorso Giancarlo Boato.
Gli altri intimati non svolgono attività difensiva.
Motivi della decisione

Con

il

primo motivo parte

ricorrente

denuncia

«insufficiente motivazione della sentenza e falsa applicazione
dell’art. 191 c.p.c. per l’attribuzione di valore probatorio
ad attività deducenti del c.t.u..»
Si assume che la sentenza non precisa se Maggian risponde
dei danni provocati dai lavori da lui eseguiti a titolo
contrattuale nei confronti dei suoi committenti, o puramente a
titolo extracontrattuale per lesione del diritto di proprietà.
Tale mancato chiarimento si somma al mancato chiarimento
della motivazione di fatto, cioè come i lavori del Maggian
possano essere stati concausa del danno.

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Galante la somma di e 7.800,00, oltre accessori; ha condannato

La sentenza sostanzialmente si basa sulla c.t.u. che è
puramente deducente, formulando una semplice ipotesi circa un
nesso tra lavori e danni.
Il motivo è inammissibile per la sua genericità.
Il giudizio di cassazione è infatti un giudizio a critica

assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro
formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative
formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del
ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della
tassatività e della specificità ed esige una precisa
enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle
categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è
inammissibile la critica generica della sentenza impugnata,
formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di
profili tra loro confusi e inestrieabilmente combinati, non
collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal
codice di rito (Cass., 22 settembre 2014, n. 19959).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «vizio
logico di motivazione – violazione degli artt. 2729 c.c. e 115
e 116 c.p.c. nel recepimento acritico delle valutazioni
presuntive del c.t.u. circa il nesso causale. Inaccettabile è
la condivisione data dal Giudice all’affermazione puramente
enunciativa (e comunque deducente) del c.t.u. circa la
probabilità di concorso del ricorrente nella causazione del

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vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che

danno, pur essendo certo che esso è stato causato dagli altri
convenuti condannati.»
Con il terzo motivo si denuncia «violazione degli artt.
2697 c.c. e 1223 e 2043 c.c. per inversione del riparto
dell’onere della prova circa il nesso causale tra i lavori

I due motivi, per la loro stretta connessione, devono
essere congiuntamente esaminati.
Gli stessi sono infondati.
Preliminarmente, si rileva che la consulenza tecnica
d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, poiché
ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di
elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che
necessitino di specifiche conoscenze, per cui non è
qualificabile come una prova vera e propria e, come tale, è
sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al
prudente apprezzamento del giudice del merito che, nel caso in
esame, ha ritenuto opportuno ammetterla (Cass., 22 febbraio
2006, n. 3881). Più specificamente: l) quanto alla addotta
violazione dell’art. 2697 c.c. si deve osservare che tale
violazione non sussiste in quanto il giudice può affidare al
consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o
dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di
accertare i fatti stessi (consulente percipiente), e in tal
caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte

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eseguiti dal Maggian e il danno lamentato.»

oggettiva di prova, è necessario e sufficiente che la parte
deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il
giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche
cognizioni tecniche (Cass., 23 febbraio 2006, n. 3990).
Nel caso in esame, correttamente, la sentenza impugnata,

lamentati e riscontrati principalmente nella carenza
manutentiva in cui era stato lasciato l’immobile della Galante
nel suo complesso, precisando che l’intervento eseguito
nell’appartamento sovrastante (delle convenute Anselmi e
Zerbinato) ha sì probabilmente arrecato danni all’appartamento
dell’attrice a causa degli scuotimenti e delle vibrazioni
indotte dai lavori e dalla modifica dei carichi, ma
verosimilmente tali fenomeni risultano aggravati dalla
deficitaria situazione strutturale e manutentiva dell’intero
complesso.
Richiamato il c.t.u. a chiarimenti, quest’ultimo ha
precisato che la mancanza di documentazione dei calcoli
strutturali e di verifiche dell’intervento eseguito, impediva
di valutarne sicurezza e conformità.
In conclusione, alla luce delle ragioni che precedono, il
ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente
alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in
dispositivo.

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aderendo alla c.t.u., ha individuato la causa dei danni

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle
spese del giudizio di cassazione che liquida in E 5.200,00 di
cui C 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di
legge.

Roma, 18 febbraio 2015

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