Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1013 del 20/01/2014


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Civile Sent. Sez. U Num. 1013 Anno 2014
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: RORDORF RENATO

SENTENZA

sul ricorso 7261-2013 proposto da:
ACEA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro2014

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOLZANO

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32, presso lo studio dell’avvocato PERRETTINI ENZO, che
la rappresenta e difende unitamente agli avvocati TASSAN
MAZZOCCO DANILO, REGGIO D’ACI ANDREA, per delega in
calce al ricorso;

Data pubblicazione: 20/01/2014

- ricorrente contro

AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in
persona del Presidente pro-tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

difende ope legis;
– controrícorrente non chè contro

SUEZ ENVIRONNEMENT S.A., FEDERUTILITY;
– intimati –

sul ricorso 7267-2013 proposto da:
SUEZ ENVIRONNEMENT S.A.S., in persona del legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio
dell’avvocato MANZI LUIGI, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati TASSAN MAZZOCCO DANILO, SCIUME’
ALBERTO, CLARIZIA ANGELO, per delega in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in
persona del Presidente pro-tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

nonchè contro

ACEA S.P.A., FEDERUTILITY;
– intimati

avverso la sentenza n. 5067/2012 del CONSIGLIO DI STATO,
depositata il 24/09/2012;

udienza del 14/01/2014 dal Presidente Dott. RENATO
RORDORF;
uditi gli avvocati Andrea REGGIO D’ACI, Danilo TASSAN
MAZZOCCO, Massimo SANTORO dell’Avvocatura Generale dello
Stato, Luigi MANZI, Alberto SCIUME’, Angelo CLARIZIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI, che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Esposizione del fatto
La società italiana Acea s.p.a. (in prosieguo Acea) e la società francese
Suez Environnement s.a. (n prosieguo Suez) con separati ricorsi
impugnarono dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio un
provvedimento con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato (in prosieguo Autorità Garante), in data 22 novembre 2007,
aveva accertato la stipulazione da parte di dette società di un’intesa

ad eliminare gli effetti di tale intesa, le aveva condannate al pagamento di
una sanzione pecuniaria ammontante, rispettivamente, ad euro
8.300.000,00 ed euro 3.000.000,00. L’intesa così sanzionata aveva preso
corpo, secondo l’Autorità Garante, in occasione della comune
partecipazione di Acea e Suez ad una gara indetta dal Comune di Firenze
per assegnare il 40% delle quote di una società mista pubblico-privata
destinata alla gestione del servizio idrico integrato di un ambito territoriale
della Toscana, ed era stata poi rinforzata con la stipulazione di appositi
patti parasociali.
Il Tribunale amministrativo accolse i ricorsi ed annullò il provvedimento
impugnato.
L’Autorità Garante propose però appello ed il Consiglio di Stato, con
sentenza resa pubblica il 24 settembre 2012, riformò la decisione di primo
grado e respinse le domande di annullamento del summenzionato
provvedimento sanzionatorio, rigettando nel contempo anche un appello
incidentale proposto da Acea.
Il Consiglio di Stato, per quel che in questa sede interessa, ritenne che
fosse corretto l’iter logico attraverso il quale l’Autorità Garante,
nell’adottare il contestato provvedimento, aveva ricostruito gli estremi
merceologici e geografici del mercato rilevante ai fini dell’accertamento
degli effetti anticoncorrenziali dell’intesa; e precisò, a questo proposito,
che il sindacato del giudice amministrativo non si estende al merito (salvo
per quanto attiene al profilo sanzionatorio) ma è limitato alla verifica
dell’assenza, nel provvedimento impugnato, di travisamenti di fatto, di vizi
logici o di errori giuridici. Il medesimo Consiglio di Stato reputò inoltre che,
contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, fossero consistenti
gli effetti prodotti sul mercato dall’intesa anticoncorrenziale di cui si

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restrittiva della concorrenza ed, oltre a prescrivere comportamenti idonei

discute, in quanto: le società tra le quali l’intesa era intercorsa sono tra la
maggiori operanti nel settore; la ripartizione dei mercati o delle clientele
integrano gli estremi dell’intesa vietata anche qualora la quota di mercato
interessata si collochi al di sotto della soglia minima che la Commissione
europea considera altrimenti rilevante; nel caso in esame, la quota di
mercato contendibile da prendere in considerazione per soppesare gli
effetti dell’intesa anticoncorrenziale non era comunque quella formata

situazioni nelle quali l’amministrazione ha optato per l’affidamento esterno
del servizio a società private o a società a partecipazione mista pubblicoprivata.
Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi per cassazione, di
analogo contenuto, Acea e Suez, formulando ciascuna tre motivi di
censura, illustrati poi anche con memorie.
L’Autorità Garante ha resistito con altrettanti controricorsi.

Ragioni della decisione
1. I ricorsi proposti contro la medesima sentenza debbono esser
preliminarmente riuniti, secondo quanto prescrive l’art. 335 c.p.c.
2. Come già accennato, le doglianze espresse nei due ricorsi sono di
analogo contenuto: li si potrà quindi esaminare congiuntamente.
2.1. Il primo motivo di censura fa riferimento all’art. 33, comma 1, della
legge n. 287 del 1990, che, nella versione vigente all’epoca dei fatti di
causa, faceva ricadere nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo i ricorsi avverso i provvedimenti dell’Autorità Garante
(analoga previsione è contenuta ora nell’art. 133, comma 1, lett. I, del
c.p.a.). Secondo le ricorrenti, vuoi per le caratteristiche stesse della
giurisdizione esclusiva, vuoi per il principio costituzionale di effettività della
tutela giurisdizionale, la citata disposizione implica che il sindacato del
giudice amministrativo non debba limitarsi – come erroneamente si legge
nell’impugnata sentenza – ai profili di logicità estrinseca e di correttezza
giuridica della motivazione con cui l’Autorità Garante individua gli estremi
di un mercato rilevante ai fini di accertare e sanzionare intese restrittive
della concorrenza. Quel sindacato, al contrario, deve spingersi alla verifica
dei fatti posti a base del contestato accertamento, come nel caso di specie
era stato richiesto dalle odierne ricorrenti e come il giudice di primo grado

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dall’insieme dei servizi idrici integrati, ma solo quella circoscritta alle poche

non aveva mancato di fare. L’autolimitazione che il Consiglio di Stato ha
imposto alla propria latitudine di giudizio integrerebbe, pertanto, un vero e
proprio diniego di giurisdizione e violerebbe, di conseguenza, i limiti
esterni della giurisdizione assegnata a quel giudice: donde la possibilità di
denunciare tale diniego in cassazione, a norma del primo comma dell’art.
362 c.p.c.
Ove, invece, l’interpretazione che il Consiglio di Stato ha dato alla citata

condivisibile, le ricorrenti chiedono che la legittimità costituzionale di tale
disposizione si sottoposta al vaglio del giudice delle leggi.
2.2. Un ulteriore superamento dei limiti esterni della giurisdizione è
addebitato al Consiglio di Stato nel secondo motivo di ricorso, in cui si
lamenta che detto giudice amministrativo, nell’affermare la consistenza ai
fini concorrenziali dell’intesa intercorsa tra le società interessate alla
gestione del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale di cui si tratta,
abbia svolto apprezzamenti autonomi e diversi da quelli posti a base
dell’impugnato provvedimento sanzionatorio dell’Autorità Garante, così
finendo per invadere il campo riservato all’amministrazione.
2.3. Da ultimo le ricorrenti – sempre sul presupposto che si verta in
un’ipotesi di violazione dei limiti esterni della giurisdizione – si dolgono del
fatto che il Consiglio di Stato abbia completamente omesso di pronunciarsi
sulla loro richiesta di sottoporre alla Corte di Giustizia europea due quesiti
interpretativi, rispettivamente in tema di definizione del mercato rilevante
di carattere nazionale e di utilizzo da parte degli operatori dello strumento
dell’associazione temporanea d’imprese nelle gare comunitarie.
Quesiti che, eventualmente, le medesime ricorrenti chiedono ora anche
a questa corte di sollevare.
3. L’Autorità controricorrente ha eccepito l’inammissibilità di entrambi i
ricorsi nella loro interezza, perché nessuna delle censure in essi espresse
riguarderebbe il superamento dei limiti esterni della giurisdizione spettante
al giudice amministrativo. I ricorsi, quindi, si porrebbero al di fuori
dell’ambito entro il quale è consentito impugnare per cassazione le
sentenze emesse da quel giudice.
Posta in questi termini, l’eccezione d’inammissibilità non coglie però nel
segno, dovendosi escludere, almeno per quel che riguarda il primo motivo

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disposizione dell’art. 33 della legge n. 287 del 1990 fosse reputata

di ricorso, che la doglianza esuli dall’area delle questioni in materia di
giurisdizione sottoponibili all’esame delle sezioni unite di questa corte; le
quali hanno già in più occasioni ribadito che, ai fini dell’individuazione dei
limiti esterni della giurisdizione amministrativa, che segnano il confine
entro il quale è ammesso il ricorso per cassazione avverso le sentenze del
Consiglio di Stato, si deve tenere conto anche del canone dell’effettività
della tutela giurisdizionale: onde rientra nello schema logico del sindacato

nell’interpretare la norma attributiva di tutela per verificare se il giudice
amministrativo, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, la abbia
concretamente erogata e nel vincolarlo ad esercitare la giurisdizione
rispettandone il contenuto essenziale (cfr., tra le altre, Sez. un. n. 19048
del 2010 e n. 30254 del 2008).
Alla stregua di tale principio, dal quale non si ha motivo per discostarsi,
è innegabile che l’assunto delle ricorrenti secondo cui il Consiglio di Stato,
nel caso in esame, avrebbe omesso di esercitare con pienezza il controllo
giurisdizionale che gli compete sugli atti dell’Autorità Garante, limitando
tale controllo ai profili giuridici, formali e motivazionali dell’atto senza
procedere anche alla dovuta verifica della sussistenza dei presupposti di
fatto che ne sono alla base, non si traduce nella denuncia di un mero error
in iudicando o in procedendo nel quale il giudice amministrativo sarebbe
incorso. Quel che viene denunciata è sì un’errata interpretazione di legge
(l’art. 33, comma 1, della citata legge n. 287), ma ciò che le ricorrenti
sostengono è che tale errore ha condotto ad un indebito rifiuto di erogare
la dovuta tutela giurisdizionale: non per un vizio del giudizio concernente il
singolo e specifico caso, ma in via generale, a cagione di una male intesa
autolimitazione dei poteri del giudice in questa materia. Ed è allora chiaro
che – fondata o meno che sia tale doglianza nel merito – essa attiene
proprio alla corretta individuazione dei limiti esterni della giurisdizione,
che, come detto, non sono soltanto quelli che separano i diversi plessi
giurisdizionali ma anche quelli che stabiliscono fin dove ciascun giudice è
tenuto ad esercitare il potere-dovere di ius dicere.
4. Occorre dunque procedere all’esame dei singoli motivi di ricorso,
cominciando ovviamente dal primo, che, come già rilevato, pone la
questione dei limiti entro i quali può e deve esercitarsi il controllo

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per motivi inerenti alla giurisdizione l’operazione che consiste

giurisdizionale sui provvedimenti dell’Autorità Garante, impugnati a norma
del primo comma dell’art. 33 della legge n. 287 del 1990 (ora dell’art.
133, comma 1, lett. I, del c.p.a.).
4.1. La questione non è nuova.
E’ stato già ripetutamente affermato, anche da queste sezioni unite, che
i provvedimenti dell’Autorità Garante sono sindacabili dal giudice
amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, nel senso che non è

“forte” sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe nell’esercizio
da parte del suddetto giudice di un potere sostitutivo spinto fino a
sovrapporre la propria valutazione a quella dell’amministrazione, fermo
però restando che anche sulle valutazioni tecniche è esercitabile in sede
giurisdizionale il controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza (Sez. un n.
8882 del 2005 e n. 7063 del 2008).
A questo insegnamento va data continuità, ma qualche ulteriore
precisazione può essere opportuna, anche in ragione di una certa quale
ambiguità insita nella suaccennata distinzione tra controllo di legittimità
“debole” e “forte”: una distinzione che, in via di principio, si potrebbe
esser tentati di rifiutare ove si abbia a che fare con la tutela di diritto
soggettivi, la quale, alla luce degli artt. 24 e 101 Cost., mal si presta ad
una simile graduazione d’intensità.
Occorre ben chiarire, allora, che la non estensione al merito del
sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità Garante implica, certo, che
il giudice non possa sostituire con un proprio provvedimento quello
adottato da detta Autorità, ma non che il sindacato sia limitato ai profili
giuridico-formali dell’atto amministrativo, restandone esclusa ogni
eventuale verifica dei presupposti di fatto. La pienezza della tutela
giurisdizionale necessariamente comporta che anche le eventuali
contestazioni in punto di fatto debbano esser risolte dal giudice, quando da
tali contestazioni dipenda la legittimità del provvedimento amministrativo
che ha inciso su posizioni di diritto soggettivo.
Né osta a tale conclusione il divieto per il giudice di sindacare l’esercizio
della discrezionalità amministrativa: perché di questa è dato parlare solo
quando si tratta di attività dell’amministrazione che comportino margini di
scelta nell’apprezzamento dell’interesse pubblico, cui quell’attività deve

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consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo c.d. di tipo

tendere, e del modo in cui esso è destinato a contemperarsi con eventuali
interessi contrastanti. In situazioni come quella in esame, viceversa,
all’Autorità Garante è affidato un compito di accertamento e di
applicazione della legge: un compito che ha connotati di neutralità e di
oggettività ed in cui la discrezionalità amministrativa, come sopra intesa,
di regola non gioca alcun ruolo.
Può accadere, invece, che giochi un ruolo importante la c.d.

giacché la legge che l’Autorità Garante è chiamata ad applicare fa talvolta
riferimento a nozioni – quale, ad esempio, quella di mercato rilevante che non trovano nella legge stessa una definizione in tutto e per tutto
puntuale: di modo che la loro individuazione in concreto richiede un tipo di
valutazione di carattere tecnico, che, tanto nei suoi presupposti generali
quanto nella sua specifica applicazione ai singoli casi, può talora
presentare margini di opinabilità.
E’ su questo punto che occorre allora interrogarsi: se le valutazioni
tecniche operate dall’Autorità Garante, al fine di conferire concreto
significato e di dare attuazione al precetto legale, possano e debbano
esser sindacate da parte del giudice amministrativo, in presenza di
un’impugnazione sollevata dalla parte interessata, pur quando presentino
un inevitabile margine di opinabilità.
In via di principio risulta difficile dare a tale domanda una risposta
totalmente negativa. L’esercizio della discrezionalità tecnica, non essendo
espressione di un potere di supremazia della pubblica amministrazione,
non è di per sé solo idoneo a determinare l’affievolimento dei diritti
soggettivi di coloro che dal provvedimento amministrativo siano
eventualmente pregiudicati. Non può perciò sostenersi che chi lamenti la
lesione del proprio diritto, a causa del cattivo esercizio della discrezionalità
tecnica, non possa chiederne l’accertamento al giudice, il quale non potrà
quindi esimersi dal verificare se le regole della buona tecnica sono state o
meno violate dall’amministrazione. Ne fornice evidente conferma il fatto
stesso che il giudice amministrativo disponga oggi di ampi mezzi istruttori,
ivi compreso lo strumento della consulenza tecnica.
Anche in settori diversi da quello che viene ora in esame questa corte,
d’altronde, ha già avuto modo di precisare che le valutazioni tecniche,

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discrezionalità tecnica (da intendersi nei termini che appresso si diranno),

inserite in un procedimento amministrativo complesso e dipendenti dalla
valorizzazione dei criteri predisposti preventivamente, sono assoggettabili
al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, senza che ciò
comporti un’invasione della sfera del merito amministrativo (Sez. un. n.
10065 del 2011 e n. 14893 del 2010).
Ma questo non esaurisce certo il problema. Sarebbe davvero ingenuo
supporre che il ricorso a criteri di valutazione tecnica, in qualsiasi campo,

che sovente esso conduce ad un ventaglio di soluzioni possibili, destinato
inevitabilmente a risolversi in un apprezzamento non privo di un certo
grado di opinabilità. In situazioni di tal fatta il sindacato del giudice,
essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è
destinato ad arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità
dell’apprezzamento operato dall’amministrazione impedisce d’individuare
un parametro giuridico che consenta di definire quell’apprezzamento
illegittimo. Con l’ovvio corollario che compete comunque al giudice di
vagliare la correttezza dei criteri giuridici, la logicità e la coerenza del
ragionamento e l’adeguatezza della motivazione con cui l’amministrazione
ha supportato le proprie valutazioni tecniche, non potendosi altrimenti
neppure compiutamente verificare quali siano in concreto i limiti di
opinabilità dell’apprezzamento da essa compiuto.
Se quanto appena detto è vero, in via generale, ancor più lo è nel caso
particolare del sindacato sui provvedimenti delle cosiddette autorità
amministrative indipendenti, tra le quali va annoverata l’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato, trattandosi di autorità cui proprio in
ragione della loro specifica competenza tecnica, oltre che del carattere

offra sempre risposte univoche. E’ vero invece – e lo si è già accennato –

oggettivo e neutrale delle loro funzioni, sono stati affidati dal legislatore
compiti di vigilanza ed accertamento nei settori di rispettiva competenza
(compiti da esplicare attraverso procedimenti amministrativi connotati da
particolari garanzie per i controinteressati).
E’ fuori discussione che anche gli atti di tali autorità siano soggetti al
sindacato giurisdizionale, ed è agevole comprendere la ragione per la
quale, nel caso degli atti dell’Autorità Garante, il legislatore abbia fatto
ricorso alla giurisdizione esclusiva, così da unificare la tutela dei diritti e
degli interessi legittimi che non sempre sarebbe stato altrimenti agevole

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%

distinguere. Ma ipotizzare che, con riguardo a valutazioni tecniche aventi
un significativo margine di opinabilità – valutazioni proprio per operare le
quali il legislatore ha stimato necessario dar vita ad un organismo al
tempo stesso indipendente e dotato di specifiche competenze professionali
-, il sindacato giurisdizionale possa spingersi sino a preferire una soluzione
diversa da quella plausibilmente prescelta dall’Autorità Garante
significherebbe misconoscere la ragione stessa per la quale questa è stata

Né è senza significato che anche nel corrispondente scenario europeo,
mentre per un verso viene ribadito che compete al Tribunale dell’Unione
europea l’esame delle circostanze fattuali rilevanti (cfr. Corte di giustizia 3
maggio 2012, n.285/11, Legris Industries), per altro verso si afferma che
appartiene alle prerogative della Commissione di svolgere le valutazioni
economiche necessarie per garantire la concorrenza nel mercato interno:
di modo che, in presenza di simili complesse valutazioni, il controllo che i
giudici comunitari esercitano deve limitarsi alla verifica del rispetto delle
regole di procedura e di motivazione, nonché dell’esattezza materiale dei
fatti, dell’insussistenza di errori manifesti di valutazione e di sviamento di
potere, non spettando al tribunale sostituire le proprie valutazioni
economiche a quelle dell’autore della decisione di cui gli venga chiesto di
verificarne la legittimità (cfr. Corte di giustizia 6 ottobre 2009, n. 501,
513, 515, 519/06 P. GlaxoSmithKline). L’ampia corrispondenza tra le
competenze riconosciute all’Autorità Garante in ambito nazionale con
quelle proprie della Commissione in ambito europeo dà ragione
dell’agevole trasposizione di tale principio alla fattispecie ora in esame.
4.2. Tornando, per l’appunto, all’esame della fattispecie in esame nella

istituita.

presente causa, giova ancora aggiungere una breve considerazione sulla
nozione di “mercato rilevante” (nella duplice accezione merceologica e
geografica): elemento centrale ai fini dell’accertamento dell’intesa
anticoncorrenziale, con riferimento al quale le ricorrenti imputano al
Consiglio di Stato di non avere esercitato appieno il proprio compito
giurisdizionale.
Si tratta, indubbiamente, di uno di quei concetti giuridici indeterminati,
che sono enunciati dalla legge in termini generali, ma la cui concreta
specificazione impone di far ricorso a canoni di volta desunti dal

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N\

patrimonio di saperi diversi; in questo caso da quello della scienza
economica, la quale ha infatti da tempo prodotto al riguardo
un’amplissima elaborazione ed una vasta casistica (cui si è ispirata anche
la Comunicazione 9 dicembre 1997 della Commissione europea, in GUCE,
C 372), che confermano, pur all’interno di parametri teorici ben
individuati, l’estrema elasticità del concetto in relazione alle diverse
possibili caratteristiche di mercato dipendenti dalla varietà delle situazioni

Non appare seriamente dubitabile, pertanto, che la determinazione in
concreto del mercato rilevante rientri, in fattispecie come quella in esame,
nell’ambito di quelle valutazioni tecniche non prive di ampi margini
opinabilità cui sopra s’è fatto cenno. Il relativo controllo giurisdizionale
risulta perciò circoscritto entro i limiti dianzi chiariti.
4.3. In base alle considerazioni ora svolte è quindi possibile enunciare il
seguente principio di diritto: “Il sindacato di legittimità del giudice
amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del
provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame
sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento; ma
quando in siffatti profili tecnici siano coinvolti valutazioni ed apprezzamenti
che presentano un oggettivo margine di opinabilità – come nel caso della
definizione di mercato rilevante nell’accertamento di intese restrittive della
concorrenza – detto sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza,
logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è
limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia
esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il
giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità Garante
ove questa si sia mantenuta entro i suddetti margini”.
4.4. L’impugnata sentenza del Consiglio di Stato è conforme al principio
di diritto sopra enunciato.
Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, il Consiglio di Stato
non ha negato il proprio potere di accertamento dei fatti posti a base del
contestato provvedimento dell’Autorità Garante. Per persuadersene è
sufficiente leggere quanto scritto alla pag. 11 della sentenza impugnata,
ove testualmente si afferma che “il giudice amministrativo … deve valutare

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date.

i fatti, onde acclarare se la ricostruzione di essi operata dall’AGCM sia
immune da travisamenti …”. Se e come, in concreto, tale compito sia stato

condotto a termine dal giudice amministrativo nella vertenza di cui trattasi
– e quindi se bene o male abbia fatto il Consiglio di Stato a non dar corso
agli adempimenti istruttori, ed in particolare alla consulenza tecnica,
richiesta delle odierne ricorrenti – esula dal tema del preteso vizio di
giurisdizione; vizio che sussisterebbe solo qualora quel giudice avesse

controllo giurisdizionale demandatogli dalla legge, ma non anche se, per
avventura, egli lo abbia esercitato male incorrendo in eventuali errori in
punto di fatto o di diritto che questa corte non ha titolo per sindacare.
Parimenti condivisibile, alla stregua di quanto sopra detto, è l’ulteriore
affermazione di principio dell’impugnata sentenza, secondo cui il giudice
amministrativo non può sostituirsi all’Autorità Garante nell’esercizio di
valutazioni tecniche opinabili, quale è quella consistente nell’individuazione
del mercato rilevante cui riferire l’intesa anticoncorrenziale. Non senza
peraltro aggiungere che, a tal proposito, il Consiglio di Stato ha dato
ampio conto nell’impugnata sentenza della conformità ai principi generali
della materia dei criteri al riguardo adottati dalla Autorità Garante e della
loro plausibilità con riferimento alle specificità del caso concreto (in
particolare: delle peculiari caratteristiche del mercato della gestione dei
servizi idrici integrati, della correttezza dell’assunto per cui tale mercato
ha un ambito geografico locale sul versante della domanda e nazionale su
quello dell’offerta, e della possibilità d’identificare il mercato rilevante
anche in relazione ad una singola gara bandita dalla pubblica
amministrazione) e, nello stimare tali criteri logici, coerenti e
giuridicamente corretti, li ha evidentemente anche fatti propri.
4.5. Così interpretata, la citata disposizione dell’art. 33 della legge n.
287 del 1990 non appare sospetta d’incostituzionalità, giacché non si
evidenziano profili di ineffettualità della tutela giurisdizionale. Nemmeno
può dirsi, pur con le differenze inerenti al diverso modo di esplicazione
della giurisdizione, che si manifesti una significativa differenza nel livello di
tutela dei diritti soggettivi affidati alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo rispetto a quello altrimenti assicurato dal giudice ordinario,
fatto salvo il diverso regime delle impugnazioni per cassazione, che trova

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negato in via di principio ed in termini generali di poter esercitare il

però diretto fondamento nell’ultimo comma dell’art. 111 Cost. (eccezioni
d’illegittimità costituzionale della medesima disposizione dell’art. 33 sono
già state a suo tempo dichiarate manifestamente infondate, anche sotto
altri profili, da Sez. un. n. 8882/05, cit., cui si fa qui senz’altro rinvio).
5. Se col primo motivo le ricorrenti si erano dolute di un preteso rifiuto
da parte del giudice amministrativo di esercitare appieno il potere
giurisdizionale spettantegli, col secondo motivo esse viceversa lamentano

occupandosi del requisito della consistenza dell’intesa anticoncorrenziale,
avrebbe in più occasioni sostituito la propria valutazione a quella
dell’Autorità Garante.
Nei termini in cui è stato formulato, tale motivo di ricorso appare, però,
inammissibile.
Occorre infatti considerare che, trattando il tema della consistenza
dell’intesa, il Consiglio di Stato ha posto anzitutto l’accento su un dato
emergente dallo stesso provvedimento dell’Autorità Garante, secondo cui i
soggetti coinvolti nell’intesa – Acea e Suez – sono, rispettivamente, uno
tra i principali concorrenti a livello nazionale ed il primo operatore a livello
mondiale nel settore idrico. Donde la conseguenza che detta intesa
configura una forma di

“ripartizione dei mercati e della clientela”

integrante una restrizione grave della concorrenza indipendentemente dal
fatto che essa possa eventualmente collocarsi al di sotto della soglia
dimensionale di rilevanza individuata dalla Commissione europea nella
Comunicazione 2001/C 368/07. Solo quale ulteriore ed autonoma ratio
decidendi (“Inoltre, anche a tralasciare l’argomento della esclusione,
ratione materiae, dell’intesa de qua dal regime dei c.d. accordi de minimis,
… ) il Consiglio di Stato ha poi aggiunto che la quota di mercato
contendibile da prendere in considerazione, per soppesare gli effetti
dell’intesa anticoncorrenziale, non è comunque quella formata dall’insieme
dei servizi idrici integrati esistenti sul territorio nazionale, ma solo quella
circoscritta alle poche situazioni nelle quali le amministrazioni hanno
optato per l’affidamento esterno del servizio a società private o a società a
partecipazione mista pubblico-privata.
E’ unicamente a questa seconda argomentazione che le ricorrenti si
riferiscono, quando lamentano che il giudice amministrativo abbia invaso

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che quel potere sia stato esercitato oltre misura, giacché detto giudice,

la sfera di valutazione riservata all’Autorità Garante, la quale non
avevrebbe posto siffatte considerazioni a base del proprio provvedimento.
Se pure questa doglianza fosse esatta, essa quindi non scalfirebbe l’altra
autonoma ratio decidendi su cui si fonda la sentenza impugnata, e tanto
basta a renderla irrilevante: perciò inammissibile anche sotto il profilo del
preteso eccesso di potere giurisdizionale.
Ugualmente inammissibili, e per il resto infondate, sono le ulteriori

Inammissibili nella parte in cui solo genericamente fanno riferimento ad
altre valutazioni che il Consiglio di Stato avrebbe formulato benché esse
non trovino riscontro nell’impugnato provvedimento dell’Autorità Garante,
senza però evidenziarne né la rilevanza né l’effettivo significato; infondate
nella parte in cui, con appena un minimo grado di maggiore specificità,
alludono alla “valutazione degli elementi indiziari a sostegno della prova
dell’intesa”, giacché l’unico di tali elementi indiziari cui nel ricorso si fa
specificamente riferimento – un intervento di Suez per indurre una propria
controllata a non partecipare alla gara – è invece menzionato alla pag. 23
nella sentenza impugnata tra gli indizi dei quali già l’Autorità Garante, nel
paragrafo 80 del proprio provvedimento, aveva tenuto conto.
6. L’ultimo motivo di ricorso, con cui si lamenta che il Consiglio di Stato
non si sia pronunciato sulla richiesta d’investire la Corte di giustizia
europea con quesiti interpretativi inerenti all’applicazione di disposizioni
del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, che le parti
interessate avevano formulato, esula dall’ambito entro cui è consentito
impugnare per cassazione le decisioni del giudice amministrativo.
E’ quasi superfluo ricordare che eventuali vizi di omessa pronuncia
integrerebbero errores in procedendo, e non certo violazioni di norme in
tema di giurisdizione.
Quanto al resto, non v’è che da richiamare il principio già altre volte
espresso secondo cui, poiché la Corte di giustizia europea, nell’esercizio
del potere d’interpretazione delle norme del Trattato, non opera come
giudice del caso concreto, bensì come interprete di disposizioni ritenute
rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo al quale
permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale, il mancato rinvio
pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato a detta Corte di giustizia non

15

analoghe censure di cui è cenno nel medesimo motivo di ricorso.

configura una questione attinente allo sconfinamento dalla giurisdizione
del giudice amministrativo (cfr., tra le altre, Sez. un. n.16886 del 2013).
Il che rende inammissibile il terzo motivo di ricorso.
7.

E’ poi appena il caso di aggiungere che, proprio in quanto la

cognizione della Corte di cassazione è qui limitata ai motivi attinenti alla
giurisdizione, non sussistono neppure le condizioni perché essa stessa
prospetti alla Corte di giustizia europea quesiti interpretativi che attengono

D’altronde, in nessuno dei motivi di ricorso è prospettata in modo
diretto ed esplicito un’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice
nazionale rispetto al giudice europeo, in relazione al diverso ambito di
competenza attribuito all’uno o all’altro a seconda che l’intesa
anticoncorrenziale si ripercuota sul solo mercato nazionale o abbia un
ambito territoriale più vasto. Né una tale questione di riparto di
giurisdizione internazionale avrebbe potuto esser sollevata in questa sede,
non essendo stata a suo tempo impugnata sotto questo profilo la sentenza
di primo grado ed essendosi quindi ormai formato sul punto un giudicato
interno.
8.

Dal rigetto del ricorso consegue la condanna delle ricorrenti al

pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo,
dovendosi inoltre dare atto, come prescrive l’art. 13, comma 1-quater del
d.p.r. n. 115 del 2002, che sussistono i presupposti per la maggiorazione
del versamento del contributo unificato da parte delle medesime ricorrenti,
a norma dell’art. 1-bis del citato art. 13.

P.Q.M.
La corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e condanna ciascuna delle società
ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
euro 15.000,00, oltre a quelle prenotate a debito, per ognuna di esse,
dando atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte di
ciascuna di dette ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per i ricorsi proposti.
Così deciso, in Roma, il 14 gennaio 2014.

al merito della vertenza e non al tema della giurisdizione.

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