Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10128 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. I, 16/04/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 16/04/2021), n.10128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9809/2015 proposto da:

K.I.M., elettivamente domiciliata in Roma, Largo

Trionfale n. 7, presso lo studio dell’avvocato Mannucci Luigi, che

la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.p.a., P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 39/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 20/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che:

1. – K.I.M. ricorre per cinque mezzi, nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.p.A., contro la sentenza del 20 febbraio 2014 con cui la Corte d’appello di Campobasso ha respinto il suo appello avverso sentenza del Tribunale di Isernia di condanna, pronunciata nei suoi confronti, in solido con P.A., al risarcimento, in favore del fallimento, della complessiva somma di Euro 1.120.000,00, oltre accessori, per responsabilità nella causazione del dissesto economico-finanziario della società poi fallita, società nella quale essa K. rivestiva la carica di amministratrice unica.

2. – Il Fallimento non svolge difese.

considerato che:

3. – Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 2 e dell’art. 164 c.p.c., in relazione all’art. 163 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver disatteso l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado perchè mancante dell’indicazione del termine per la notifica della comparsa di costituzione al Fallimento attore nonchè dell’invito al convenuto a costituirsi secondo quanto previsto dell’art. 163 citato, n. 7.

Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2392 c.c. e dell’art. 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere la Corte d’appello confermato la sentenza di primo grado pur in mancanza della prova della responsabilità di essa K. in ordine al dissesto dalla società, della quale era solo formalmente amministratrice unica, giacchè amministrata di fatto dal P.A., tanto più che il giudice di merito aveva errato nell’addebitarle una condotta consistente nella cessione di un credito in favore di una società terza, dal momento che detta cessione aveva avuto luogo al di fuori dell’arco temporale in cui aveva svolto, per di più solo formalmente, le funzioni di amministratrice unica.

Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1260 c.c., dell’art. 1406c.c. e dell’art. 2247 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto che la menzionata cessione del credito fosse tale, quando si trattava di “un mero affidamento in gestione del credito finalizzato a far recuperare alla Coscino & Co. S.p.A. quanto dalla stessa corrisposto per garantire l’iscrizione della squadra (OMISSIS) al Campionato”.

Il quarto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost., censurando l’omessa pronuncia del giudice di merito in ordine alla specifica richiesta istruttoria di acquisizione del fascicolo relativo al procedimento ex art. 2409 c.c., svoltosi dinanzi al Tribunale di Isernia, nonchè la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio per non aver consentito l’esame degli atti di tale procedimento.

Il quinto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 32 c.p.c., dell’art. 106c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver confermato il rigetto della domanda di garanzia proposta nei confronti del P., nonostante questi avesse aderito alla domanda, ammettendo di aver gestito concretamente in via esclusiva alla società.

ritenuto che:

4. – Il ricorso va respinto.

4.1. – Il primo mezzo è infondato.

E’ svolto contro l’evidenza l’assunto secondo cui l’originario atto di citazione per il giudizio di primo grado sarebbe stato nullo perchè mancante dell’indicazione del termine per la notifica della comparsa di risposta.

Il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 2, comma 1, lett. c), stabiliva che la citazione dovesse tra l’altro contenere “la fissazione di termine al convenuto, non inferiore a sessanta giorni dalla notificazione della citazione, per la notifica al difensore dell’attore della comparsa di risposta. In difetto di fissazione da parte dell’attore, o in caso di insufficienza, il termine è di sessanta giorni”: non solo, dunque, la norma non contemplava affatto la sanzione di nullità invocata, in violazione del principio di tassatività delle nullità stabilito in via generale dall’art. 156 c.p.c., comma 1, dalla ricorrente, ma essa norma prevedeva espressamente che l’omessa indicazione del termine dovesse essere automaticamente supplita dal precetto legale.

Di guisa che, in definitiva, la disposizione attribuiva all’attore la semplice facoltà di assegnare al convenuto un termine superiore a quello di 60 giorni, operando in difetto quest’ultimo termine normativamente previsto.

Non meno infondato è poi l’assunto secondo cui l’originario atto di citazione avrebbe dovuto conformarsi alla previsione del numero 7 dell’art. 163 c.p.c..

Il contenuto dell’atto di citazione contemplato dall’abrogato rito societario era previsto dal D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 2, il quale richiamava solo in parte il dettato dell’art. 163 c.p.c., per l’atto introduttivo del processo ordinario di cognizione, date le peculiarità proprie del processo societario. Erano infatti oggetto di richiamo i soli elementi necessari dell’atto introduttivo del giudizio indicati all’art. 163 c.p.c., nn. 1-6, e, dunque, non anche la previsione di cui al numero 7 dell’art. 163 c.p.c., relativa all’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione, all’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166, ovvero di dieci giorni prima, in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, all’udienza indicata, dinanzi al giudice designato: ed è ovvio che il richiamo al numero 7 non vi fosse, visto che non si trattava di una citazione a comparire a udienza fissa, essendo prevista solo in una fase successiva, ai sensi dell’art. 8, la notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza.

Neppure era richiesto l’avvertimento che la costituzione, oltre i suddetti termini, implicava le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c.: ed infatti non erano quelle le decadenze previste, considerato che la mancata costituzione in giudizio comportava la dichiarazione di contumacia del D.Lgs. n. 5 del 2003, ex art. 13, sanzionata con il ben più grave effetto che “i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa”.

4.2. – Il secondo mezzo è inammissibile.

Esso è estraneo all’ambito di applicazione della denuncia di violazione di legge previsto dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge descrivono e rispecchiano i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, ossia: a) il momento concernente la ricerca e l’interpretazione della norma regolatrice del caso concreto; b) il momento concernente l’applicazione della norma stessa al caso concreto, una volta correttamente individuata ed interpretata.

In relazione al primo momento, il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella erronea negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non ha riguardo alla fattispecie in essa delineata.

Con riferimento al secondo momento, il vizio di falsa applicazione di legge consiste, alternativamente, nell’incasellare la fattispecie concreta entro una norma non pertinente, perchè, pur rettamente individuata ed interpretata, si riferisce ad altro, ovvero nel trarre dalla norma in relazione alla fattispecie concreta conseguenze giuridiche che contraddicano la sua pur corretta interpretazione (Cass., n. 18782/2005; la massima ribadita tra le molte di recente da Cass., n. 2306/2017; Cass. n. 25169/2016; Cass. n. 18715/2016; Cass., n. 15453/2016; da ult., tra le massimate, Cass. 14 gennaio 2019, n. 640).

Dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. S.U., n. 10313/2006; Cass., n. 7394/2010; Cass., n. 16698/2010; Cass., n. 8315/2013; Cass., n. 26110/2015; Cass., n. 195/2016).

Ora, nel caso di specie la censura è diretta a rimettere in discussione l’accertamento di fatto operato dal giudice di merito, il quale ha ritenuto che l’odierna ricorrente “quanto meno… non è intervenuta ad impedire la cessione, o comunque il dissolvimento di una cospicua posta attiva dell’impresa da lei rappresentata”.

Non pertinente è poi il richiamo all’art. 2697 c.c., giacchè, come è noto, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una asseritamente incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949): ed in questo caso la censura è svolta in violazione del ricordato precetto, giacchè diretta a lamentare che il giudice di merito avrebbe male amministrato del materiale istruttorio, disconoscendo il ruolo di essa K. quale amministratrice in via meramente formale.

4.3. – E’ parimenti inammissibile il terzo mezzo.

Valgono in diritto i principi richiamati nell’esame del precedente motivo: la censura è volta a rimettere in discussione l’accertamento di fatto in ordine alla responsabilità della K. nella cessione di credito di cui si è detto.

4.4. – E’ inammissibile il quarto mezzo.

Esso non richiama a proposito l’art. 112 c.p.c.. Il vizio di omessa pronuncia non è difatti prospettabile in relazione a domande diverse da quelle di merito. Il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dare luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito e non può assurgere a causa autonoma di nullità della sentenza (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21424). Nel caso in esame, come si è visto, la censura ha ad oggetto la mancata acquisizione degli atti di un diverso procedimento civile.

La censura è inammissibile anche con riguardo alla violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio: è la stessa ricorrente a rammentare che l’acquisizione era stata denegata perchè non necessaria, ed è cosa nota che, in tema di poteri istruttori d’ufficio del giudice l’emanazione di ordine di esibizione è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza di ordine di esibizione non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (Cass. 1 aprile 2019, n. 9020; Cass. 21 febbraio 2017, n. 4504; Cass. 25 ottobre 2013, n. 24188; Cass. 7 luglio 2011, n. 14968; Cass. 16 novembre 2010, n. 23120; Cass. 29 ottobre 2010, n. 22196).

4.5. – E’ inammissibile il quinto mezzo.

Esso difatti non coglie la ratio decidendi. La Corte d’appello ha affermato che l’allora appellante aveva “genericamente impugnato la decisione, sostenendo solo che essa è illegittima e inspiegabile, senza motivare l’appello che è pertanto sul punto è inammissibile”: detta ratio decidendi non è colta e non è censurata. E cioè il motivo di ricorso per cassazione non spiega per quale ragione la Corte d’appello avrebbe errato nel giudicare inammissibile la censura ivi esaminata.

E’ in proposito agevole osservare che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 25 febbraio 2004, n. 3741; Cass. 23 marzo 2005, n. 6219; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421). In particolare è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass. 10 agosto 2017, n. 19989).

6. – Nulla per le spese non avendo l’intimato svolto difese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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