Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10128 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 10128 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA
sul ricorso 23404-2010 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. P.I. 00488410010, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

ORdomiciliata in ROMA, v L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio degli avvocati MARESCA ARTURO, BOCCIA FRANCO
RAIMONDO, ROMEI ROBERTO, che la rappresentano e
2014

difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –

593
contro

CELESTE ANNARITA C.F. CLSNRT58C57A345K, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso lo

Data pubblicazione: 09/05/2014

studio dell’avvocato BOLOGNESI RICCARDO,

che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

HEWLETT PACKARD CUSTOMER DELIVERY SERVICES S.R.L. (già]
HEWLETT PACKARD DISTRIBUTED COMPUTING SERVICES
S.R.L.);
– intimata –

Nonché da:
HEWLETT PACKARD DISTRIBUTED COMPUTING SERVICES S.R.L.
P.I. 03678670286, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio degli avvocati
MOZZI VINCENZO e DE BERARDINIS PAOLO, che la
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
rente

ricorrente incidentale

nonchè contro

TELECOM

ITALIA S.P.A.

C.F.

00471850016,

CELESTE

ANNARITA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 672/2010 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 28/05/2010 R.G.N. 568/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/02/2014 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
uditi gli Avvocati BOCCIA FRANCO RAIMONDO e ROMEI

ROBERTO;
udito l’Avvocato BOLOGNESI RICCARDO;
udito l’Avvocato DE BERARDINIS PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per

il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello
dell’Aquila, con la sentenza n. 672 del 2010,
pronunciando sull’appello proposto da Hewlett Packard Distributed Computing Service
srl e da Telecom Italia spa nei confronti di Celeste Annarita, avverso la sentenza del
Tribunale di Pescara n. 570 del 2009, rigettava le impugnazioni.
Il Tribunale di Pescara, accogliendo la domanda proposta dalla suddetta
lavoratrice, ritenendo non legittima la cessione di ramo d’azienda (struttura IT User
Support, omologa a Desktop Managment, ex Eis, a H.P.), aveva dichiarato la nullità
della cessazione, avvenuta in data 16 aprile 2003, del contratto di lavoro relativo alla
stessa, e per l’effetto aveva ordinato il ripristino del rispettivo rapporto di lavoro in capo
alla società Telecom Italia spa, con inquadramento nelle medesime pregresse mansioni
o in altre ad esse equivalenti.
Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Telecom Italia
spa, prospettando tre motivi di ricorso.
Hewlett Packard Distributed Computing Service srl ha proposto ricorso
incidentale per adesione ai motivi di impugnazione proposti da Telecom Italia spa.
Resiste con controricorso Celeste Annarita, che ha depositato memoria in
prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare occorre rilevare, quanto alla controricorrente, che con
memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, rivolta anche a HP CDS srl,
già HP DCS srl, la stessa ha manifestato in modo chiaro di resistere anche al ricorso di
quest’ultima.
2. Tanto premesso, e prima di passare all’esame di emotivi di ricorso, occorre
ricordare che nella specie trattasi di asserita cessione di ramo d’azienda, avvenuta
pacificamente in data 16 aprile 2003.
Onde verificare la reale ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 2112 cod. civ.,
la Corte d’appello ha correttamente esaminato le vicende che avevano preceduto la
cessione. Essa ha quindi preso in considerazione un contratto con cui la società
Telecom aveva ceduto alla società Netsiel con decorrenza dal 10 gennaio 2001, il
settore informatico nella sua globalità ed in tutte le sue pregresse diversificate
articolazioni, con il trasferimento dei lavoratori (in numero di 1600 unità) alle varie
competenze del medesimo settore adibiti.
La Corte rileva, tuttavia, che nel successivo contesto temporale, avente ad
oggetto il periodo di gestione del polo informatico ad opera della spa Netsiel, si erano
inseriti una serie di atti ed accadimenti sintomatici di una strategia aziendale,
consapevolmente preordinata ad una sostanziale modificazione dell’identità e
dell’autonomia funzionale del suddetto ramo d’azienda, costituendo circostanze
particolarmente significative: a) l’intervenuta confluenza di circa 300 dipendenti della
società Eis, proveniente da esperienza lavorative diverse ed estranee a quelle di
pertinenza del settore esercizio dei sistemi informatici ex Telecom, previa collocazione
dei medesimi nel settore Desktop Managment e destinazione di essi all’attività di
assistenza tecnica delle postazioni di lavoro; b) l’avvenuto conferimento delle
prestazioni lavorative, ad opera di taluni appartenenti al Gips, nell’esclusivo interesse
di Telecom, previa utilizzazione degli strumenti operativi già appartenenti a
quest’ultima azienda; c) il mantenimento di un immutato assetto organizzativo,
funzionale al soddisfacimento del cliente Telecom, salvo sottrarre, a fine anno 2002, la
gestione reti Lan al Gisp per attribuirla alla funzione Rete di Telecom; d) la fusione di
spa Netsiel, unitamente ad altre società del gruppo (Sodalia, Telesoft, Saritel) in spa IT
Telecom, costituita nell’agosto 2002.
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Lo snaturamento del polo informatico originario era proseguito durante la
brevissima fase di IT Telecom, assumendo connotazioni fattuali significative, quali la
realizzazione della struttura IT User Support, omologa al Desktop Managment, che era
stata ceduta ad H.P. al corrispettivo simbolico di euro 10.000,00, con contestuale
stipulazione di un contratto di prestazione dei servizi, ad essa struttura risalenti, ad
opera della cessionaria in favore della cedente.
Affermava la Corte d’Appello, quindi, che la strategia aziendale elusiva dell’art.
2112 cod. civ. — nel senso di supportare il convincimento in ordine alla mancanza dei
presupposti di operatività della fattispecie ivi delineata — era confermata alla luce delle
seguenti indicative condotte: a) l’intervenuta istituzione ad opera di Telecom di un
corso di formazione per addetti all’assistenza di sistemi informativi, a riprova della non
integrale cessione delle funzioni di pertinenza della lavoratrice appellata al settore IT
User Support; b) l’avviamento di tale struttura ad attività non sovrapponibili a quelle
risalenti all’originario settore informativo; c) la destinazione dei lavoratori a compiti
operativi diversi da quelli di rispettiva pregressa titolarità.
La Corte ritenne, quindi, che, come statuito dal giudice di primo grado,
sussisteva il carattere fittizio, ex art. 2112 cod. civ., della cessione del ramo d’azienda
concordata tra spa IT Telecom e H.P., nel senso che l’operazione messa in essere,
lungi dal configurare il trasferimento di una struttura aziendale dotata di preesistente
autonomia organizzativa, funzionale ed economica, era stata, in realtà, concepita da
entrambe le società, in funzione di esternalizzazione, e si era materializzata
esclusivamente in via strumentale all’estromissione di personale dipendente già
appartenente alla Telecom, ma, come tale, da assoggettarsi, ai sensi dell’art. 1460 cod.
civ., all’onere del preventivo consenso dei lavoratori ceduti, nella specie pacificamente
non adempiuto.
3. Con il primo motivo del ricorso principale è dedotta violazione e falsa
applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ, e degli artt. 1406, 2094 e 2112 cod. civ., in
relazione all’art. 360, n. 3, cpc.
Espone la ricorrente che mancherebbe in capo alla lavoratrice l’interesse ad agire
che si specifica nel rapporto di utilità intercorrente tra la lesione di un diritto ed il
provvedimento di tutela giurisdizionale che viene richiesto, atteso che non è stata
dedotta, nella specie, la lesione di alcun diritto e di alcuna conseguenza negativa
derivante dal trasferimento del rapporto di lavoro nell’ambito del trasferimento del ramo
d’azienda di cui facevano parte la lavoratrice. In proposito, espone la ricorrente che è
insufficiente la motivazione della Corte d’Appello che si è limitata ad affermare che
l’interesse a far accertare l’ illegittimità di un trasferimento del ramo d’azienda e il
conseguente mutamento del datore di lavoro comporta di per se stesso l’interesse ad
agire.
3.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.
Nel rapporto obbligatorio il debitore è, di regola, indifferente al mutamento
della persona del creditore, mentre il mutamento della persona del debitore può ledere
l’interesse del creditore. In base a questo principio — espresso negli artt. 2740, 1268,
primo comma, 1273, primo comma, e 1406 del codice civile — deve considerarsi
inefficace la cessione del contratto di lavoro qualora il lavoratore, titolare di crediti
verso il datore, non abbia prestato il consenso di cui all’art. 1406 cit. L’art. 2112 cod.
civ., che permette all’imprenditore il trasferimento dell’azienda, con successione del
cessionario negli obblighi del cedente e senza necessità di consenso del lavoratore,
costituisce eccezione al detto principio e non si applica se non sia identificabile, quale
oggetto del trasferimento, un’azienda o un suo ramo, da intendere come entità
economica organizzata in maniera stabile e con idoneità alla produzione e allo scambio
di beni o di servizi.
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Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad accertare in giudizio la non
ravvisabilità di un ramo d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e
perciò l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza di consenso. Né questo
interesse è escluso dalla solidarietà tra cedente e cessionario stabilita dal capoverso
dell’art. 2112, la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore ceduto “esistenti” al
momento del trasferimento e non quelli futuri, onde ben può configurarsi un
pregiudizio a carico del ceduto nel caso di cessione dell’azienda a soggetto meno
solvibile.
4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione
dell’art. 2112 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Ad avviso della ricorrente tra le condizioni previste dal legislatore per operare il
trasferimento di azienda non è compresa la preesistenza del ramo. Né, in proposito si
può richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia, occorrendo, invece, solo che
il soggetto subentrante abbia proseguito la stessa attività utilizzando del tutto tutti o in
parte i mezzi o riassumendo in tutto o in parte il personale del precedente complesso
aziendale.
In ogni caso, il ramo in questione esisteva già da un anno circa prima del suo
trasferimento, ed era esistente con quelle caratteristiche che poi ha mantenuto fino al
suo trasferimento e ciò in virtù di una decisione organizzativa di Telecom che no può
essere sindacata in sé. Né è ravvisabile eterogeneità delle funzioni svolte dal ramo.
5. Con il terzo motivo di ricorso è prospettato il vizio di insufficiente e
contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Ad avviso del
ricorrente, la sentenza impugnata pone delle premesse in diritto che non hanno
riscontro negli elementi di fatto posti a base della decisione, non illustrando quali
circostanze di fatto non consentiscano di ritenere che il ramo trasferito non avesse
mantenuto la propria identità o si caratterizzasse ala stregua di un contenitore di diversi
servizi.
6. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro
connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.
Occorre ricordare come questa Corte ha già affermato (Cass., sentenza 4
dicembre 2012, n. 21711, 6 febbraio 2013 n. 2766), in linea con la prevalente dottrina
formatasi sul punto, che in materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda, tanto
la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23) quanto la legislazione
nazionale (art. 2112 c.c., comma 5) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si
trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di
rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento
sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività
produttiva. La citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d’azienda oggetto
del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come
insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e,
analogamente, l’art. 2112 c.c., comma 5, si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come
articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”. Deve,
quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata
all’esecuzione di una sola opera (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 24 gennaio 2002,
C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei
lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati (Cass. 8 giugno
2009 n. 13171). Ne consegue che, nonostante talune difformi opinioni basate sul dato
letterale dell’assenza, nelle Direttive comunitarie, del concetto di preesistenza (pur
essendo previsto quello della conservazione dell’identità), l’entità economica trasferita
deve in realtà ritenersi preesistente al trasferimento, non potendo conservarsi quel che
non c’è (cfr. sul punto Cass. 13 ottobre 2009 n. 21697). Il concetto di preesistenza deve
5

poi ritenersi necessariamente riferito ad una articolazione funzionalmente autonoma
dell’azienda, posto che qualunque lavorazione aziendale, per poter essere ceduta, non
potrebbe che preesistere al negozio traslativo, essendone il necessario oggetto
contrattuale. Tale conclusione risulta obbligata anche alla luce della legge delega n. 30
del 2003, considerando che essa prevedeva la sussistenza del requisito dell’autonomia
funzionale del ramo d’azienda al momento del suo trasferimento, dovendosi
conseguentemente ritenere non consentito attribuire unicamente alle parti
imprenditoriali di individuare a quali cessioni si applichi la fondamentale garanzia di cui
all’art. 2112 cod. civ., risultando peraltro arduo sostenere che competa unicamente al
datore di lavoro decidere sull’applicabilità di disposizioni inderogabili a garanzia dei
lavoratori.
Ed invero, seppure può oggi ritenersi che l’autonomia funzionale del ramo di
azienda ceduto non coincida con la materialità dello stesso (quanto a strutture, beni
strumentali ed attrezzature, etc.), ma possa consistere anche in un ramo
“smaterializzato” o “leggero”, costituito in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati
in modo idoneo, anche potenzialmente (od al netto dei supporti generali sussistenti
presso l’azienda cedente), allo svolgimento di un’attività economica, ciò non toglie che
tale autonomia dell’entità ceduta debba essere obiettivamente apprezzabile, sia pur con
possibili interventi integrativi imprenditoriali ad opera del cessionario, al fine di
verificarne l’imprescindibile requisito comunitario della sua “conservazione”. Non può
ammettersi invece -alla luce dei principi comunitari, cfr. C.G.E. 24 gennaio 2002, causa
C-51/00- che tale legame funzionale possa derivare (soggettivamente) solo dalla
qualificazione fattane dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento,
consentendo ai soggetti stipulanti il negozio traslativo (peraltro neppure portatori di
superiori interessi pubblici o collettivi), la libera definizione della fattispecie cui la
norma inderogabile si applica, e ciò in contrasto con la disciplina comunitaria in ordine
all’inderogabilità dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda.
D’altro canto è principio consolidato nella giurisprudenza comunitaria (cfr. C.G.E. 14
novembre 1996, C-305/1994) quello per cui la vicenda traslativa si perfeziona ipso iure,
risultando irrilevante la contraria volontà delle parti del negozio traslativo.
Questa Corte ha poi già ritenuto che mentre nell’ipotesi della cessione di ramo di
azienda si realizza la successione legale nel rapporto di lavoro del cessionario senza
bisogno del consenso dei contraenti ceduti, nel caso della mera esternalizzazione di
servizi ricorre la fattispecie della cessione dei contratti di lavoro, che richiede per il suo
perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti (Cass. 16 ottobre 2006 n. 22125;
Cass. 5 marzo 2008 n. 5932).
Deve pertanto ritenersi operante, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., come tale
suscettibile di autonomo trasferimento vi riconducibile alla disciplina dettata per la
cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata la quale, in
occasione del trasferimento, conservi la sua identità – come del resto previsto dalla
prima parte dell’art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003 – pur potendosi individuare, nel
contratto di cessione, una porzione o frazione produttiva che precedentemente era
strettamente legata ai supporti logistici e materiali presenti nell’azienda cedente. Ciò
presuppone comunque una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma
(potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste).
Ne consegue che può applicarsi la disciplina dettata dall’art. 2112 cod. civ.
anche in caso di frazionamento e cessione di parte dello specifico settore aziendale
destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all’attività della società
cessionaria, purché esso presenti, all’interno della più ampia struttura aziendale oggetto
della cessione, la propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di
particolari servizi per il conseguimento di obiettive finalità produttive, sicché i reciproci
6

rapporti vengono trasferiti dal cedente al cessionario, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ.,
senza necessità di un loro consenso (cfr. già Cass. 1° febbraio 2008 n. 2489; Cass. 17
marzo 2009 n. 6452; Cass. 13 ottobre 2009 n. 21697).
Alla luce dei suddetti principi la Corte d’Appello, esattamente e con congrua
motivazione esclude la ravvisabilità di un ramo d’azienda, oggetto di cessione ai sensi
dell’art. 2112 cod. civ., in un servizio consistente nella gestione e manutenzione di
strutture informatiche, privo di struttura aziendale autonoma e preesistente, non
identificabile sulla base di interessi del cessionario successivi alla cessione, ed anzi
esclusa dai criteri di designazione dei lavoratori trasferiti, provvisti di competenze
professionali non omogenee, e comunque ancora interagenti con operatori dell’impresa
cedente.
7. La recente sentenza della Corte di giustizia UE 6 marzo 2014 n. C-458/12
conferma quanto detto. Da essa risulta infatti che: a) non si ha trasferimento di ramo
d’azienda qualora il ramo non preesista alla cessione (dispositivo, n.1; considerato n.
32); b) in tal caso spetta all’ordinamento nazionale di garantire il lavoratore
(dispositivo, n. 1; considerato n. 33).
8. Per le medesime ragioni deve essere rigettato il ricorso incidentale adesivo di
H.P. D.C.S. Service, fondato su motivi di impugnazione analoghi a quelli proposti da
Telecom Italia spa.
9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese di giudizio che liquida in euro cento per esborsi, oltre euro tremila per compensi
professionali, oltre accessori.
Così deciso in Roma il 18 febbraio 2014.

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