Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10126 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. I, 16/04/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 16/04/2021), n.10126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9201/2015 proposto da:

P.M., Pa.La., elettivamente domiciliati in Roma, Viale

di Villa Grazioli n. 20, presso lo studio dell’avvocato De Nigris

Fabrizia, che li rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento della (OMISSIS) S.r.l., con Socio Unico in Liquidazione,

in persona dei curatori Dott. B.L. e avv. p.l.,

domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato De

Gregorio Enrica, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BENEVENTO, del 17/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2021 dal Cons. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:

1. – P.M. e Pa.La. ricorrono per due mezzi, illustrati da memoria, nei confronti del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione, contro il Decreto del 17 marzo 2015 con cui il Tribunale di Benevento ha respinto la loro opposizione allo stato passivo, ove il loro credito per prestazioni professionali connesse alla redazione e successiva proposizione della domanda di concordato preventivo della società poi fallita, insinuato per il complessivo importo di Euro 104.942,75, in prededuzione, al netto degli acconti ricevuti, era stato ammesso per la minor somma di Euro 63.340,07, in privilegio.

2. – Il Fallimento resiste con controricorso, deducendone anzitutto l’inammissibilità per difetto dei requisiti di cui ai nn. 3 e 6 c.p.c..

CONSIDERATO CHE:

3. – Il primo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 111, comma 2, e art. 12 preleggi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostengono i ricorrenti che l’attività da essi svolta nel quadro della domanda, formulata dalla società poi fallita, di accesso al concordato preventivo, in seguito dichiarata inammissibile, doveva reputarsi svolta in occasione o in funzione della procedura concorsuale, con conseguente prededucibilità, ai sensi dell’invocato art. 111, e senza che assumesse rilievo la mancata ammissione della società alla procedura concordataria.

Il secondo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 169 del 2010 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si afferma che il calcolo del compenso sarebbe stato effettuato sulla base del menzionato decreto ministeriale e che “come potrà facilmente evincere la Suprema Corte, i professionisti hanno correttamente applicato la riduzione del 50% degli onorari dovuti come previsto dall’art. 44 del D.M. in commento, nonostante la domanda concordataria dagli stessi presentata sia stata ammessa dal tribunale competente. Circostanza ignorata sorprendentemente dal precedente giudicante nel decreto opposto e, solo per questo, meritevole di riforma. Inoltre corre l’obbligo di precisare che per un mero refuso, nella specifica di compenso depositata nel precedente giudizio, è stata indicata la maggiorazione di cui al D.M. n. 169 del 2010, art. 11, comma 2. Ma, a ben vedere, trattasi di errore di battitura in quanto i professionisti hanno invece applicato correttamente la maggiorazione di cui del D.M. n. 169 del 2010, art. 11, comma 1. In particolare, detta norma prevede che “Quando la pratica è stata svolta da più professionisti, riuniti in collegio non obbligatorio a seguito di espressa richiesta o autorizzazione da parte del cliente, gli onorari globali dovuti al collegio, fermi restando i rimborsi di spese e le indennità spettanti a ciascun membro, sono quelli dovuti ad un professionista con l’aumento del 40% per ciascun membro del collegio…”. Ebbene, dalla mera lettura della specifica di compenso professionale depositata nel precedente grado, il Giudicante di primo grado avrebbe potuto verificare che i Euro 32.788,87 richiesti sotto la voce maggiorazione corrispondono esattamente al 40% degli onorari ivi indicati e pari a Euro 81.972,17, così come previsto del D.M. n. 169 del 2010, art. 11, comma 1″.

RITENUTO CHE:

4. – L’eccezione di inammissibilità spiegata dal Fallimento è motivata dalla circostanza che i ricorrenti abbiano trascritto, nel corpo del ricorso per cassazione, l’intero testo del decreto impugnato, con ciò, secondo il Fallimento, incorrendo in violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, nella lettura datane da questa Corte, che sanzione di inammissibilità quei ricorsi che siano costruiti attraverso la giustapposizione degli atti di causa.

Tale eccezione è però infondata.

Non c’è dubbio che debba essere in generale evitata la riproduzione dell’intero contenuto letterale degli atti processuali del ricorso per cassazione: essa è superflua ed anzi controproducente, finendo per affidare alla Corte la scelta di quanto effettivamente rileva, in quanto si può in tutto equiparare al mero rinvio agli atti stessi, onde rende il ricorso inammissibile (Cass. n. 26277/2013; Cass. n. 22792/2013; Cass. n. 21137/2013; Cass. n. 17002/2013; Cass. n. 19357/2012; Cass. S.U., n. 5698/2012; Cass. n. 1905/2012).

Un tale modo di procedere, tuttavia, non determina l’inammissibilità per il fatto in sè considerato che uno o più atti, o parti di essi, siano inseriti nel contesto del ricorso per cassazione, quanto perchè viene in tal modo violata la previsione dettata dell’art. 366 c.p.c., n. 3 (mentre il numero 6 della stessa disposizione non è stato richiamato a proposito, giacchè riguarda altro), secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere a pena di inammissibilità l’esposizione “sommaria” dei fatti di causa: non, cioè, la narrazione indiscriminata di tutto ciò che nel corso del giudizio ha avuto luogo, bensì di quanto, riassuntivamente, occorre (il che spetta al ricorrente individuare) a rendere comprensibili le censure alle quali si riferisce il successivo dell’art. 366 c.p.c.. n. 4.

Sicchè non può escludersi, secondo un automatismo che non ammetta eccezioni, che la trascrizione della decisione impugnata possa nondimeno soddisfare, unitamente, se del caso, alla narrazione delle altre vicende processuali eventualmente rilevanti, il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa: e, difatti, non è raro che il ricorrente per cassazione si avvalga della trascrizione della decisione impugnata in caso di provvedimenti particolarmente sintetici e stringati (un esempio consueto è proprio quello dei decreti pronunciati in sede di opposizione allo stato passivo), che non avrebbe senso ulteriormente riassumere.

Il che è quanto in effetti accaduto nel caso di specie, dal momento che il decreto impugnato si risolve per l’appunto nell’esposizione delle due rationes decidendi, l’una concernente la prededuzione, l’altra il quantum, poi censurate nei due motivi spiegati.

5. – Il ricorso è però inammissibile per altre ragioni.

5.1. – Il primo mezzo è inammissibile.

Ha affermato il Tribunale, premesse considerazioni di ordine generale sulla nozione di prededuzione, che, “nel caso concreto, alla luce delle evidenziate argomentazioni, non può riconoscersi alcun vincolo genetico e funzionale tra la procedura oggetto della prestazione professionale svolta dai ricorrenti e l’attuale procedura fallimentare: la prestazione professionale è stata svolta in funzione di una procedura concordataria inizialmente integrata, poi radicalmente mutata e successivamente dichiarata inammissibile. Ed il successivo fallimento è stato dichiarato ad istanza di creditori diversi da quelli originari… e solo dopo la presentazione di una ulteriore domanda di concordato (in bianco) anch’essa dichiarata inammissibile”.

Questa essendo la motivazione addotta dal giudice di merito, non vale contrapporvi il costante insegnamento di questa Corte secondo cui, in sede fallimentare, i crediti vantati dal professionista incaricato dal debitore di predisporre gli atti necessari ai fini della presentazione della domanda di concordato preventivo, rientrano tra quelli sorti “in funzione” della procedura e, come tali, devono essere soddisfatti in prededuzione ai sensi della L. Fall., art. 111, comma 2, senza che debba essere accertato, con valutazione ex post, se la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti, neppure potendo la funzionalità ex ante delle prestazioni rese dal professionista al debitore che presenti una domanda di concordato preventivo restare inficiata da successivi inadempimenti del debitore (Cass. 2 luglio 2020, n. 13596; Cass. 16 maggio 2018, n. 12017; Cass. 4 novembre 2015, n. 22450).

Ed invero, resta fermo che, ai fini della prededucibilità in sede fallimentare del credito del professionista che abbia prestato la propria opera per i fini di una procedura concordataria, è pur sempre indispensabile, evidentemente, che vi sia consecuzione fra quest’ultima procedura ed il successivo fallimento, consecuzione che, alla luce della motivazione poc’anzi trascritta, il Tribunale ha senz’altro inteso escludere, reputando (“ad istanza di creditori diversi da quelli originari”) che il fallimento non fosse scaturito dal medesimo stato di crisi che aveva condotto alla prima procedura concordataria alla quale gli odierni ricorrenti avevano contribuito.

Sicchè la censura in tal senso formulata dai ricorrenti non coglie la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata: ed è agevole osservare che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 25 febbraio 2004, n. 3741; Cass. 23 marzo 2005, n. 6219; Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421). In particolare è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass. 10 agosto 2017, n. 19989).

5.2. – Il secondo mezzo è inammissibile.

Il numero 6 dell’art. 366 c.p.c., cui poc’anzi si accennava, esige la specifica indicazione degli atti e dei documenti, oltre che dei contratti e accordi collettivi, sui quali il ricorso si fonda: ed in tal modo sancisce il c.d. principio di autosufficienza da decenni radicato nella giurisprudenza di questa Corte.

A tal riguardo è stato in più occasioni chiarito che detta disposizione, oltre a richiedere l’indicazione degli atti e dei documenti, nonchè dei contratti o accordi collettivi, posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale tali atti o documenti risultino prodotti, prescrizione, questa, che va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475). Per il che occorre in pratica porre in essere un duplice adempimento, consistente, per un verso, nel riassumere o trascrivere, a seconda di quanto necessario, il contenuto dell’atto o del documento invocato, e, per altro verso, nel “localizzare” l’atto o il documento, evidenziando come e quando esso abbia fatto ingresso del processo e dove sia rinvenibile (in quale fascicolo ed a quale numero di affoliazione) nell’incarto processuale.

Nel caso in esame, il motivo si fonda su una “specifica di compenso” che non si sa dove sia, e cioè che non è per nulla “localizzata”: il che basta alla dichiarazione di inammissibilità della censura.

L’inammissibilità discende inoltre dal rilievo che il motivo pone una questione in fatto del tutto nuova, ossia che i due professionisti ricorrenti abbiano operato – circostanza che non risulta dal decreto impugnato e della quale nulla si sa – “riuniti in collegio non obbligatorio a seguito di espressa richiesta o autorizzazione da parte del cliente”: è difatti cosa nota che nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di fatto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, finanche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 6 giugno 2018, n. 14477; Cass. 17 gennaio 2018, n. 907).

6. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del Fallimento controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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