Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10125 del 18/05/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 10125 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 16607-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, in persona del Consiglio di
Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CLAUDIO MONTEVERDI 16, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE CONSOLO, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
CONTI DAVIDE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO
21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo
rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– contron -corrente –

Data pubblicazione: 18/05/2016

avverso la sentenza n. 1907/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 20/02/2013, depositata il 04/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
19/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERN.ANDES.

FATTO E DIRITTO

aprile 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“La Corte di appello di Roma, con sentenza del 4 settembre 2013, in
riforma della decisione del Tribunale in sede, dichiarava la nullità del
termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra Poste Italiane e
Conti Davide per il periodo dal 2 ottobre 2000 al 31 gennaio 2001 e
dichiarava il diritto del lavoratore alla riammissione in servizio con
condanna della società, in applicazione dello ins superveniens costituito
dall’art. 32, co.5°, legge n. 183 del 2010, al pagamento in favore del
Conti di tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre
interessi e rivalutazione monetaria dalla data di cessazione del
rapporto.
Il termine al contratto era stato apposto “per esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle
risorse umane”.
La Corte territoriale — esclusa la ricorrenza di una ipotesi di
scioglimento del rapporto per mutuo consenso – rilevava che il
contratto era stato stipulato dopo lo spirare del termine massimo di
vigenza della contrattazione che autorizzava le ipotesi “ulteriori” di
legittima apposizione del termine ai contratti di lavoro con la società
Ric. 2014 n. 16607 sez. ML

ud. 19-04-2016

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 19

Poste Italiane (e cioè dopo il 30/4/1998). Applicava, quindi, lo ius
superveniens determinando l’indennità di cui all’art. 32, co.5 ° , della L. n.
183/2010 nei termini sopra indicati.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso Poste Italiane
s.p.a. affidato a tre motivi.

Col primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa
applicazione di norme dell’art. 1372 c.c. avendo il giudice del gravame
rigettato l’eccezione di definitivo scioglimento del rapporto per tacito
mutuo consenso dei contraenti senza tener conto che il
comportamento inerte delle parti evidenziava il disinteresse al suo
ripristino.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai
fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro
a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché post3a
configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è
necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso
dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del
comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime
di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v, Cass. 1011-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n.
23554, nonché più di recente, Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-32011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore
dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sè
insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per
mutuo consenso” (v. Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n.
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Il Conti resiste con controricorso.

5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale
risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi
la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine
ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre,
Cass. 1- 2-2010 n. 2279).

1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi
l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla
necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto,
idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di
volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo
sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera
mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.
Orbene nella fattispecie la Corte d’Appello ha rilevato che non erano
emersi altri elementi significativi rispetto al mero decorso del tempo
richiamato dalla società e che i lavori svolti medio tempore

dal Conti

erano stati saltuari e dettati dalla necessità di far fronte alle esigenze del
vivere quotidiano.
Tale accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito, risulta
aderente al principio sopra richiamato e resiste alle censure di Poste
Italiane che, in sostanza, si incentrano genericamente sulla
proposizione di una diversa lettura della inerzia, pur prolungata, del
lavoratore.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art. 8 CCNL del 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo
del 25.9.1997 in relazione al verbale del 18.1.2001 ( ex art. 360, n. 3 ,
c.p.c.).

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Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e

Si assume che, alla luce del dettato dell’art. 8 CCNL 1994, e degli
accordi collettivi menzionati doveva concludersi che non vi era stata la
fissazione di alcun limite temporale alla stipula dei contratti a termine.
Il motivo è infondato.
Ed infatti la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che la L.

collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie
tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonché dal
D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n.
79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto
di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei
sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di
figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per
legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato,
quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo
integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza considera corretta
l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi
attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con
tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza
dapprima fino al 31198 e poi (in base al secondo accordo) fino al
30.4.98 della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali
menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte a tali esigenze
l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di personale con
contratto tempo determinato solo fino al 30.4.98, di modo che
debbono ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine
stipulati successivamente. Le parti collettive, dunque, avevano
raggiunto un’intesa senza limite temporale ed avevano poi stipulato
accordi attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo prima al
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ud. 19-04-2016

28 febbraio 87, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione

31.1.98 e dopo al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel
contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo se il contratto
fosse scaduto dopo il 30.4.98 (v., exp/unMis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto irrilevante l’accordo 18.01.01
perché stipulato dopo oltre due anni dall’ultima proroga, e cioè quando

con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente
gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a
termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.09.97 (ormai
scaduto), comunque sarebbe stato violato il principio
dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le
parti stipulanti potessero, con detto strumento, autorizzare ex post
contratti a termine non più legittimi perché adottati in violazione della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.03.04 n. 5141).
L’esistenza delle esigente eccezionali è dunque negozialnriente
riconosciuta fino al 30.04.98, di modo che la legittimità dei contratti a
termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto
derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione
dell’art. 23. Essendo stato il contratto del Conti stipulato per un
periodo successivo al 30.4.1998 il motivo è infondato.
Col terzo motivo, viene denunciata violazione e falsa applicazione
dell’art. 32 commi 5 0 , 60 e 7°, della L. n. 183/2010 in quanto gli
accessori non erano dovuti atteso il carattere onnicomprensivo di detta
indennità.
Il motivo è fondato.
Va osservato che l’indennità in esame deve essere annoverata fra i
crediti di lavoro ex art. 429, comrna 3, cod. proc. civ. giacché, come
più volte affermato da questa Corte, tale ampia accezione si riferisce a
tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli
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si era già perfezionato il diritto all’accertamento della nullità. Anche se

aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti
liquidati ex art. 18 legge n. 300 del 1970, Cass. 23 gennaio 2003 n.
1000; Cass. 6 settembre 2006 n. 19159; per l’indennità ex art. 8 della
legge n. 604 del 1966, Cass. 21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme
liquidate a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 cod. civ., Cass.

comunque il ristoro (sia pure forfetizzato e onnicomprensivo) dei
danni conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di
lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla
data della sentenza di conversione del rapporto. Va peraltro precisato
che dalla natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del
danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex art. 429,
terzo comma, cod. proc. civ. sono dovuti soltanto a decorrere dalla
data della sentenza che, appunto, delimita temporalmente la
liquidazione stessa. Orbene, l’impugnata decisione, avendo condannato
Poste Italiane s.p.a. al pagamento di una indennità onnicomprensiva,
determinata nella misura di tre mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla scadenza
del rapporto non ha correttamente applicato il suddetto principio (
Cass. n. 7555 del 1° aprile 2014; Cass. n. 7458 del 31 marzo 2014;
Cass. n. 5287 del 6 marzo 2014).
Alla luce di quanto esposto si propone raccoglimento del terzo
motivo di ricorso, con ordinanza ex art. 375 n. 5 c.p.c., rigettati gli altri,
la conseguente cassazione della impugnata sentenza in relazione al
motivo accolto con decisione nel merito – non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384, co. 2 0 , cod. proc.
civ.- determinando la decorrenza degli interessi e della rivalutazione
monetaria sull’indennità in questione dalla data della sentenza che ha
convertito il rapporto.”.
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8 aprile 2002 n. 5024). D’altra parte l’indennità in esame rappresenta

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.
Il Collegio condivide pienamente il contenuto della riportata
relazione e, pertanto, accoglie il terzo motivo del ricorso, rigettati gli

nel merito — ex art. 384, co.2, c.p.c. non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto — determinando la decorrenza della rivalutazione
monetaria e degli interessi legali sull’indennità ex art. 32, co.5°, della
legge n. 183 del 2010 come stabilita dalla Corte di appello di Roma
dalla data della sentenza che ha convertito il rapporto.
Le spese del presente giudizio, stante il limitato accoglimento del
ricorso, vanno compensate nella misura di 1/5 tra le parti mentre i
restanti 4/5, per il principio della soccombenza, sono posti a carico
della ricorrente e vengono liquidati come da dispositivo con
attribuzione all’avv. Roberto Rizzo per dichiarato anticipo fattone.
Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di
stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti
iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame,
avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è
perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario
(Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il
presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
nel testo introdotto dall’art.1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n.
Ric. 2014 n. 16607 sez. ML ud. 19-04-2016
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altri, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e decide

228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del
rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante,
del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

P.Q.M.
La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa

merito, determina la decorrenza degli accessori sull’indennità ex art. 32,
co.5°, L. n. 183/2010 dalla data della sentenza che ha convertito il
rapporto; compensa tra le parti le spese del presente giudizio per 1/5 e
condanna la ricorrente al pagamento dei restanti 4/5 delle spese
liquidate per l’intero in curo 100,00 per esborsi, euro 4.000,00 per
compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del
15% con attribuzione all’avv. Roberto Rizzo.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, il 19 aprile 2016.

l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel

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