Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10122 del 18/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 10122 Anno 2015
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

SENTENZA

sul ricorso 13420-2011 proposto da:
LOGOS FINANZIARIA SPA 01459720031 in persona del Sig.
BRUNO EUGENIO GALIAN quale consigliere ed
amministratore delegato, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato
FABRIZIO HINNA DANESI, che la rappresenta e difende
giusta procura speciale del Dott. Notaio RENATA
MARIELLA in MILANO il 22/4/2011 rep. n. 27888;
– ricorrente contro

QUADRIFOGLIO SPA in persona del suo amministratore

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Data pubblicazione: 18/05/2015

delegato e legale rappresentante Dr. LIVIO GIANNOTTI,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARSO 23,
presso lo studio degli avvocati ARTURO e SALERNI, che
la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
MARIO SALERNI, CESARE PUCCI giusta procura speciale

– controricorrente nonchè contro

BARGELLINI FRANCESCA, VENUTI STEFANO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 9/2011 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 11/01/2011, R.G.N.
1133/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/01/2015 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l’Avvocato FABRIZIO HINNA DANESI;
udito l’Avvocato CESARE PUCCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso
per il rigetto del ricorso;

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in calce al controricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.

Con la decisione ora impugnata, pubblicata 1’11 gennaio

2011, la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato l’appello
proposto dalla Logos Finanziaria s.p.a. (terzo opponente) contro
Francesca Bargellini (creditrice procedente) e nei confronti di

Quadrifoglio Spa (terzo pignorato), avverso la sentenza del
Tribunale di Firenze del 29 ottobre 2004.
1.1.- Nell’espropriazione presso terzi intrapresa dinanzi al
Tribunale di Firenze da Francesca Bargellini nei confronti del
Venuti col pignoramento, presso la società datrice di lavoro
Quadrifoglio Spa, delle somme da questa dovute al Venuti, la
Logos Finanziaria spa aveva proposto opposizione di terzo.
L’opponente aveva sostenuto di essere titolare del credito
relativo al TFR, spettante al Venuti in dipendenza della
cessazione del rapporto di lavoro, in forza di cessione del
credito effettuata dal Venuti a garanzia di un finanziamento
concessogli dalla Futuro spa, nei cui diritti la Logos
Finanziaria spa era stata surrogata, avendo estinto il debito
del mutuatario; aveva quindi dedotto che, essendo stata la
cessione notificata il 28 marzo 2001, anteriormente al
pignoramento, questo si sarebbe dovuto ritenere inefficace nei
suoi confronti ai sensi dell’art. 2914 n. 4 cod. civ.
Sia il debitore esecutato ed il terzo pignorato, che la
creditrice procedente si erano costituiti ed avevano resistito
all’opposizione.

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Stefano Venuti (debitore esecutato), oltre che della società

Il Tribunale aveva rigettato l’opposizione, richiamando

1.2.-

l’art. l del d.p.r. n. 180 del 1950 nell’interpretazione datane
dalla sentenza n. 1428/99 della Corte di Cassazione, secondo cui
le indennità di fine rapporto non sono cedibili, neppure nei
limiti del quinto, e ritenendo estensibile, in via analogica,

privato.
2.- La Corte d’Appello, pronunciando sul gravame proposto dalla
società originaria opponente di terzo, ha confermato il rigetto
dell’opposizione, ma ha corretto la motivazione della sentenza
di primo grado, ritenendo la cedibilità, in astratto, del
credito per TFR, in forza della sentenza della Corte di
Cassazione n. 4930/03. Ha tuttavia ritenuto che, in concreto,
non sussistesse una cessione del credito per TFR, ma che il
contratto di finanziamento prevedesse esclusivamente un mandato
all’incasso rilasciato dal Venuti in favore della mutuante. In
considerazione dell’inidoneità di questo a produrre un effetto
traslativo, ha reputato che il credito fosse rimasto nella
titolarità del Venuti, in qualità di mandante, e quindi potesse
essere efficacemente pignorato dalla creditrice di quest’ultimo,
Francesca Bargellini. Ha condannato l’appellante al pagamento
delle spese del grado in favore delle appellate costituite
Bargellini e Quadrifoglio S.p.a., essendo rimasto contumace il
Venuti.
3.-

Avverso la sentenza, Logos Finanziaria s.p.a. propone

ricorso affidato a due motivi.

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tale previsione di incedibilità anche al rapporto di lavoro

Quadrifoglio S.p.a. resiste con controricorso.
Non si difendono gli altri intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l.-

Col primo motivo del ricorso si lamenta omessa ed

insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo

cod. proc. civ.
Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello è pervenuta alla
conclusione della sussistenza di un mandato all’incasso
piuttosto che di una cessione di credito sulla base di una
motivazione insufficiente, che richiama soltanto alcune delle
clausole, specificamente gli artt. l, 4 e 6, del contratto di
mutuo del 14 marzo 2001, nel quale la Logos si era surrogata
alla Futuro. L’insufficienza della motivazione sarebbe
conseguenza del mancato esame della clausola di cui all’art. 9
del contratto, che, a detta della ricorrente, avrebbe invece
carattere decisivo.
1.1.- Col secondo motivo del ricorso si denuncia violazione ed
erronea applicazione degli artt. 1362, comma primo, 1363, 1366,
1367 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3
cod. proc. civ., specificamente:
– quanto all’art. 1363

cod. civ.,

perché la Corte d’Appello non

ha tenuto conto della clausola di cui all’art. 9 del contratto,
considerata in sé, ma soprattutto in correlazione con gli artt.
l, 4 e 6; secondo la

ricorrente,

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una motivazione che avesse

per il giudizio in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5

tenuto conto di tutte e quattro le clausole avrebbe evitato alla
Corte d’Appello l’errore di escludere la cessione del credito;
– quanto all’art. 1367 cod. civ., perché, se fosse esatta
l’interpretazione data dalla Corte d’Appello all’art. 6 del
contratto, allora l’art. 9 resterebbe privo di significato e di

– quanto agli artt. 1362 e 1366 cod. civ., perché, dato che la
Futuro aveva inteso regolare fin nei minimi particolari le
disposizioni che assicuravano il rientro del mutuo concesso al
Venuti, si sarebbe dovuto ritenere che, per comune volontà delle
parti, il TFR si era loro rappresentato come la forma di
garanzia migliore e più sicura, in caso di licenziamento del
Venuti.
2.- I motivi non meritano di essere accolti.
In linea preliminare, è necessario ricordare che, secondo un
principio più volte affermato nella giurisprudenza di questa
Corte, l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia
privata è riservata all’apprezzamento del giudice del merito, ed
è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di
ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, qualora sia
riscontrabile una motivazione contraria a logica ed incongrua,
cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico
seguito per giungere alla decisione.
Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data
dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione
possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e

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effetti;

plausibili interpretazioni, non potendo il sindacato di questa
Corte investire il risultato interpretativo in sé, che
appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice
di merito, al quale è esclusivamente riservata l’indagine
ermeneutica (per tutte, Cass. n. 8372/2005; n. 4178/07, n.

2.1.-Nel quadro di detti principi, la deduzione che la sentenza
impugnata avrebbe inesattamente ricostruito il rapporto,
affermando l’esistenza di un mandato irrevocabile all’incasso,
perché non avrebbe considerato la clausola di cui all’art. 9 del
contratto, è palesemente inammissibile.
La Corte d’Appello di Firenze ha interpretato il contratto
seguendo i criteri ermeneutici degli artt. 1362 e seg. e ne ha
fornito adeguata motivazione, poiché ha individuato le clausole
ritenute decisive, contenute negli artt. l, 4 e 6, ed ha
proceduto alla loro interpretazione, sia di ciascuna clausola in
sé considerata (specificamente della clausola dell’art. 4
relativa al TFR) che nei reciproci rapporti. Ha in particolare
sottolineato come nel contratto di finanziamento si parli di
“cessione” per lo stipendio e per la pensione e per ogni altro
tipo di emolumento, mentre nell’art. 4 vi sia il conferimento di
una “delega irrevocabile all’incasso”, sino alla concorrenza del
debito residuo del mutuatario, con una differenza terminologica
e di intenti che manifesta, a parere del giudice di merito, la
chiara volontà delle parti contraenti di distinguere il credito
per TFR dalle altre ragioni di credito oggetto di cessione.

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19044/10 ed altre).

Siffatta conclusione è corroborata dal richiamo -che la Corte
territoriale sottolinea essere fatto nel contratto- delle
disposizioni del D.P.R. n. 180 del 1950 e del D.P.R. n. 895 del
1950, quindi del regime di incedibilità delle indennità di fine
rapporto omogenee al TFR nel settore pubblico; nonché

dal confronto tra la disciplina pattizia del credito per lo
stipendio (per il quale la delega all’incasso è espressamente
prevista come effetto della “cessione suddetta”) e la disciplina
pattizia del credito per TFR, nella quale non vi è alcun
riferimento alla cessione (se non per il richiamo, in senso
contrario, all’anzidetto regime del settore pubblico). La Corte
si è inoltre preoccupata di escludere che la clausola di cui
all’art. 6 contenesse un qualsivoglia riferimento al TFR, così
confutando l’interpretazione fatta propria dalla difesa della
Logos.
2.1.- In effetti, il giudice di merito non ha esaminato la
clausola di cui all’art. 9, che la ricorrente riporta alle
pagine 11-12 del ricorso. La parte rilevante sarebbe, a detta
della stessa ricorrente, la prima, laddove si prevede che la
mutuante possa rinunciare «in tutto o in parte ai suoi diritti
di credito relativi al trattamento di fine rapporto».
Orbene, è da escludere che, se la Corte d’Appello avesse
esaminato la clausola, sarebbe giunta con certezza a diverse
conclusioni; anzi, la portata scarsamente significativa della
clausola in parola induce a ritenere che il giudice di merito

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corroborata da un ulteriore dato che, secondo la Corte, emerge

non se ne sia occupato proprio in ragione di tale reputata
insignificanza.
Infatti, il testo dell’art. 9 del contratto riportato in ricorso
non tratta soltanto, né specificamente, del TFR; se ne occupa
con riguardo alla situazione peculiare del trasferimento del

tale situazione tende ancora una volta a tenere distinto il
credito da TFR dagli altri crediti per retribuzione, pensione od
assegni continuativi (così come fatto con l’art. 6, che la Corte
d’Appello ha specificamente esaminato in correlazione e
contrapposizione con l’art.4).
Il riferimento che la clausola dell’art. 9 fa ad una “rinuncia”
da parte della mutuante “ai suoi diritti di credito relativi al
trattamento di fine rapporto”, ovvero alla possibile incapienza
di questo, non è affatto incompatibile con la qualificazione del
rapporto in termini di mandato all’incasso; anzi potrebbe anche
corroborare l’interpretazione data dalla Corte territoriale
qualora si ritenesse che la rinuncia non sia istituto
tecnicamente riferibile alla cessione -o meglio al negozio che
ne sta a fondamento- mentre molto meglio si attaglia al mandato
in

rem propriam,

rinunciabile per legge (arg. ex artt. 1722,

1727 cod. civ.).
Orbene,

il

significato

desumibile

da

questa

clausola

contrattuale non è quello inequivoco sostenuto dalla ricorrente
-né considerata in sé, né considerata in rapporto alle clausole
contrattuali già esaminate dalla Corte d’Appello.

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lavoratore presso un diverso datore di lavoro; nel disciplinare

Proprio il possibile alternativo significato dell’espressione
adoperata dai contraenti porta ad escludere che sia viziata la
motivazione del giudice di merito che abbia trascurato la
clausola in parola.
Al riguardo, va qui ribadito che, per poter configurare il vizio

è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si
assume trascurata e la soluzione giuridica data alla
controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se
fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa
soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi
probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della
pronunzia, costituisce vizio di omessa motivazione su fatto
decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano
tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera
probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle
quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga
a trovarsi priva di base (cfr. Cass. n. 5473/06, tra le altre
nonché, da ultimo, Cass. n. 18368/13).
2g.- Per ragioni analoghe il mancato esame della detta clausola
non viola alcuno dei canoni ermeneutici di cui agli articoli
indicati nel secondo motivo di ricorso, dal momento che il suo
collegamento con le clausole degli artt. 1, 4 e 6 non ne altera
affatto la portata ritenuta dal giudice di merito; né
l’interpretazione che questo ha dato alle altre clausole priva
di significato quella dell’art. 9 (che anzi viene a disciplinare

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di motivazione su un asserito fatto decisivo della controversia,

una fattispecie che il giudice di merito ha ritenuto non
compresa nella clausola dell’art. 6); né, infine, la clausola
trascurata appare manifestare una volontà comune dei contraenti
incompatibile con quanto ritenuto in sentenza.
Piuttosto, l’apparente denuncia del vizio di violazione di legge

del giudice di merito l’interpretazione sostenuta dalla
ricorrente.
Trattasi di un tentativo di ricostruzione della fattispecie in
termini di cessione di credito piuttosto che di mandato
all’incasso che imporrebbe un diverso, non consentito,
apprezzamento delle previsioni contrattuali.
Il ricorso è perciò inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da
dispositivo, tenuto conto che il controricorso risulta
notificato tardivamente, ma il procuratore della resistente ha
partecipato alla discussione. Invero non vi è prova della
ricezione della notificazione del controricorso spedita il 10
giugno 2011, mentre risulta completato il procedimento
notificatorio relativo alla spedizione dell’8 marzo 2014, quindi
oltre i termini di legge. Tuttavia la procura speciale ivi
rilasciata ha consentito la partecipazione del difensore alla
discussione in udienza.
Per questi motivi

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la società
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione

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risulta finalizzata a contrapporre al risultato interpretativo

che liquida, in favore della società resistente, nell’importo
complessivo di C 2.200,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre
rimborso spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2015.

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