Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10121 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 10121 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 9761-2011 proposto da:
MINISTERO DEL LAVORO E POLITICHE SOCIALI C.F.
80224030587, in persona del Alegale rappresentantél pro
tempore, rappresentate e difesa dall’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici ue legis
domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– ricorrente –

2014
contro

120

VENUSO ATTILIO C.F.

VNSTTL37R05E955B,

elettivdmente

domiciliato in ROMA, VIA ARRIGO DAVILA N. 42, presso
lo studio dell’avvocato CINZIA VENUSO, rappresentato e

Data pubblicazione: 09/05/2014

difeso dall’avvocato DE FUSCO SERGIO, giusta delega in
atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 7357/2010 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 17/11/2010 R.G.N. 6304/2007;

udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato PANETTA MARIA per delega DE FUSCO
SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO,che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Udienza del 14 gennaio 2014— Aula A
n. 6 del ruolo — RG n.9761/11
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata rigetta l’appello del Ministero del Lavoro e delle
Poitiche sociali avverso la sentenza del Tribunale di Napoli del 2005, di accoglimento della
domanda di Affilio Venuso volta ad ottenere l’accertamento dell’erroneità della liquidazione del
trattamento di fine rapporto corrispostogli come dipendente del suddetto Ministero e la condanna
del Ministero stesso alla differenza dovuta.
La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:
a) come specificato dal Tribunale, l’ultima retribuzione percepita dal Venuso era quella
relativa al VII livello retributivo, area Cl, secondo quanto risulta dai prospetti di paga depositati;
b) il Ministero — sia in primo grado sia in appello — ha eccepito che le buste paga erano viziate
da errore perché il lavoratore era sempre stato inquadrato nella VI qualifica funzionale,
corrispondente alla categoria B3, come risultava dallo stato matricolare;
c) confermando tale tesi, il Ministero, in sede di gravame, ha specificato che, all’atto della
cessazione del rapporto, il Venuso risultava inquadrato — sempre nella VI qualifica funzionale e non
nella VII — come assistente di Ispettore del lavoro, posizione economica B3 super, in seguito ad
approvazione della graduatoria di merito;
d) tuttavia, dalla nota n. 45/08 del 30 gennaio 2008 del Dipartimento provinciale del
Ministero dell’Economia e delle Finanze, indirizzata al Ministero appellante e alla Direzione
regionale del Lavoro di Napoli, risulta che il Venuso, con decorrenza dal 1° luglio 1989, è stato
inquadrato nella VII qualifica funzionale, qualifica attribuitagli in sede di applicazione dell’art. 4,
ottavo comma, della legge n. 312 del 1980 e a seguito dell’art. 4, comma 5, del d.P.R. 10 marzo
1988, n. 285;
e) tale ultimo inquadramento deriva anche dall’attestato rilasciato in data 21 marzo 1991 dal
Capo dell’Ispettorato del Lavoro di Avellino, da cui si evince che il Venuso aveva svolto mansioni
di assistente di VII livello;
f) l’attribuzione del suddetto livello retributivo trova conferma definitiva nelle buste paga del
Venuso;
g) non risulta che il Ministero abbia mai disconosciuto il corrispondente trattamento
retributivo né che abbia contestato all’interessato l’indebita percezione dello stesso.
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

2.— Il ricorso del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali domanda la cassazione della
sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, Affilio Venuso.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I

Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in due motivi.
1.1.— Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione del principio per cui il giudice deve decidere iuXta alligata et probata partium
ex art. 115 cod. proc. civ. e del principio dell’onere della prova ex art. 2697, primo comma, cod.
civ.; b) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., errata applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n.
1032 del 1973.
Si sostiene che — come evidenziato dall’Amministrazione nei gradi di merito del giudizio —
solo dalla documentazione in atti — e, in particolare, dallo stato matricolare (documento ufficiale
proveniente dal datore di lavoro del Venuso) — ritualmente esibiti è possibile ricostruire
l’inquadramento corretto del dipendente, che è stato quello prima nella VI qualifica funzionale e poi
nella corrispondente categoria B3.
Al momento del pensionamento il profilo professionale dell’interessato era quello di
Assistente dell’Ispettorato del Lavoro, area B, posizione economica B3 super, posizione
quest’ultima acquisita a seguito dell’approvazione della graduatoria di merito relativa allo svilupp
economico “super”.
Quest’ultimo è l’unico inquadramento di cui si può e si deve tenere conto ai fini della
liquidazione del trattamento di buonuscita, in quanto il trattamento economico legittimamente
dovuto al Venuso — perché corrispondente al trattamento giuridico — in quel momento era quello
proprio del suddetto inquadramento, al quale il trattamento di buonuscita andava parametrato ai
sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973.
Non possono valere in contrario: 1) la nota n. 45/08 del Dipartimento provinciale del
Ministero della Economia e delle Finanze (richiamata dalla sentenza impugnata), perché ha un
“contenuto perplesso”, non proviene dal datore di lavoro e non rappresenta un formale
inquadramento giuridico-economico del dipendente; 2) la nota 8 novembre 2005, n. 13211/2005,
dalla quale risulta che il Venuso ha chiesto l’aggiornamento del trattamento di buonuscita e di
pensione per aver conseguito, con decorrenza 10 gennaio 2001, l’inquadramento nella posizione
economica B3 super, con DD 16 luglio 2004; 3) il fatto che al Venuso sia stato corrisposto il
trattamento economico corrispondente ad un inquadramento superiore inesistente, in quanto ciò è
dipeso da un “errore dovuto al sistema informatico del competente ufficio dell’Amministrazione
finanziaria”.

2

1.2.— Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., erronea
applicazione alla fattispecie del d.P.R. n. 285 del 1988, con conseguente errata applicazione dell’art.
38 del d.P.R. n. 1032 del 1973.

Tuttavia, la normativa richiamata non può trovare applicazione nei confronti del Venuso, in
quanto essa concerne l’inquadramento dei dipendenti degli enti pubblici non economici di cui alla
legge n. 70 del 1975 e non i dipendenti ministeriali, quale era l’attuale controricorrente.

Esame delle censure

2.- Il ricorso è da respingere per le ragioni di seguito esposte.
3.- Per quel che riguarda il primo motivo, va rilevato, con riguardo all’impostazione generale,
che, nonostante nell’intestazione del motivo si faccia riferimento soltanto alla violazione di norme
di legge, in realtà, la lettura complessiva delle argomentazioni pone in evidenza il carattere
meramente formale del suddetto richiamo, risolvendosi, in realtà tutte le censure nella denuncia di
vizi di motivazione della sentenza impugnata, per errata valutazione del materiale probatorio
acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
AI riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di
motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di
riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza
giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo
consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze
probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel
sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito
(vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio
2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n.
18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
3.1.- In particolare, a fronte di una motivazione molto puntuale al riguardo,
l’Amministrazione ricorrente, nella sostanza contesta la valutazione effettuata dalla Corte d’appello
in ordine al valore probante della documentazione in atti, lamentando, specificamente, che non sia
stato attribuito al c.d. stato matricolare valore esclusivo di prova al fine di ricostruire l’asseritamente
corretto inquadramento del dipendente — prima nella VI qualifica funzionale e poi nella
corrispondente categoria B3 — da prendere a base per il calcolo del trattamento di fine rapporto di
cui si discute nel presente giudizio.
Gli argomenti posti a fondamento di tale contestazione — tutti riguardanti pretesi errori
valutativi commessi dalla Corte partenopea — si incentrano sui seguenti rilievi:

3

Si rileva che la Corte partenopea ha ritenuto che il Venuso abbia conseguito la VII qualifica a
• seguito dell’applicazione del d.P.R. n. 285 del 1988, perché egli avrebbe svolto mansioni
corrispondenti al livello VI di inquadramento.

2) a tale nota — che, secondo il Ministero ricorrente, avrebbe un contenuto “perplesso”, non
meglio specificato — non potrebbe essere attribuito valore probatorio, a fronte della diversità delle
indicazioni risultanti dallo stato matricolare, in quanto lo stato economico viene dopo quello
giuridico che è attestato, appunto, dallo stato matricolare, documento ufficiale proveniente dal
datore di lavoro;
3) la corresponsione al dipendente del trattamento economico corrispondente ad un
“inquadramento superiore inesistente”, non avrebbe alcun rilievo — ancorché protrattasi per ben
tredici anni — in quanto ciò è dipeso da un “errore dovuto al sistema informatico del competente
ufficio dell’Amministrazione finanziaria”.
3.2.- Deve essere sottolineato che, invece, la valutazione del suddetto materiale probatorio
effettuata dalla Corte partenopea risulta essere supportata da una motivazione del tutto coerente e
logica, oltre che conforme sia agli orientamenti espressi da questa Corte (che il Collegio condivide)
sia agli orientamenti espressi dalla pertinente giurisprudenza amministrativa.
Va, infatti, precisato, in primo luogo, che questa Corte ha già avuto occasione di affermare
che, per la determinazione del corretto inquadramento giuridico di un pubblico dipendente, cui
parametrare il relativo trattamento economico, le indicazioni contenute nello stato matricolare
possono legittimamente essere integrate da quelle contenute in altri atti amministrativi idonei allo
scopo (arg. ex Cass. SU 23 febbraio 1999, n. 99), essendo lo stato matricolare un ordinario atto
amministrativo, regolato dalla generale disciplina di tale tipo di atti (arg. ex Cass. 12 novembre
1992, n. 4868 e Cons. Stato, sez. VI, 12 luglio 2007, n. 3956).
Del resto, l’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973 richiamato stabilisce che, ai fini della
determinazione del trattamento di cui si discute, si deve tenere conto del servizio effettivamente
prestato presso l’amministrazione di appartenenza, il che ovviamente esclude che, a tal fine, si
debbano puramente e semplicemente registrare le sole indicazioni risultanti dallo stato matricolare.
Ne consegue che non merita alcuna censura il fatto che la Corte territoriale, con logica e
plausibile motivazione, al fine di stabilire che l’inquadramento da prendere in considerazione era
quello nel VII livello, abbia tenuto conto sia dell’attestato rilasciato in data 21 marzo 1991 dal Capo
dell’Ispettorato del Lavoro di Avellino (relativo allo svolgimento, da parte dell’interessato di
mansioni di assistente del suddetto livello) sia delle buste paga depositate dal dipendente ed abbia,
altresì, sottolineato la mancanza di risultanze in merito al disconoscimento, da parte del Ministero
del Lavoro e della Previdenza sociale, del corrispondente trattamento retributivo ovvero in ordine
alla contestazione all’interessato dell’indebita percezione dello stesso.
4

1) la Corte territoriale ha affermato che dalla nota n. 45/08 del 30 gennaio 2008 del
Dipartimento provinciale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, indirizzata al Ministero
attuale ricorrente e alla Direzione regionale del Lavoro di Napoli, risulta che il Venuso, con
decorrenza dal 1° luglio 1989, è stato inquadrato nella VII qualifica funzionale, qualifica
attribuitagli in sede di applicazione dell’art. 4, ottavo comma, della legge n. 312 del 1980 e a
seguito dell’art. 4, comma 5, del d.P.R. 1° marzo 1988, n. 285;

E, a quest’ultimo proposito, va ricordato il principio — di applicazione generale, prima del
regime vigente prima della privatizzazione del pubblico impiego, applicabile nella specie ratione
temporis della irripetibilità delle somme corrisposte dalle amministrazioni pubbliche ai propri
dipendenti e da questi riscosse in buona fede (vedi, per tutte: Cass. 6 agosto 1999, n. 8497 e Cass.
22 dicembre 2008, n. 29926).
3.3.- Va soggiunto che il Ministero ricorrente, non considera che, proprio perché lo stato
economico viene dopo di quello giuridico, sarebbe stato onere del Ministero stesso dare
comunicazione all’Amministrazione finanziaria del corretto stato giuridico del dipendente, onde
evitare che — secondo la tesi qui sostenuta — gli venisse corrisposto un trattamento economico non
dovuto, inconveniente che si assume causato da uno stupefacente “errore informatico
dell’Amministrazione finanziaria”, protrattosi per ben tredici anni, dal 1° luglio 1989 alla
cessazione del rapporto avvenuta il 31 ottobre 2002.
3.4.- Né va omesso di rilevare che il ricorrente nulla dice in merito al fatto che
l’inquadramento nel livello superiore risulta essere avvenuto non in base a provvedimenti
individuali, ma in base a provvedimenti collettivi, emanati in base alla circolare 14 ottobre 1988, n.
2390 del Ministero della Funzione pubblica, che, in attuazione dell’art. 4, ottavo comma della legge
11 luglio 1980, n. 312, ha regolato la corrispondenza tra le qualifiche del previgente ordinamento e i
profili professionali di cui al d.P.R. 29 dicembre 1984, n. 1219.
3.5.- Di qui il rigetto del primo motivo.
4.- Nel secondo motivo di ricorso si denuncia una supposta errata applicazione dell’art. 38 del
d.P.R. n. 1032 del 1973 derivante erroneo richiamo, nella sentenza impugnata, del d.P.R. n. 285 del
1988, riguardante l’inquadramento dei dipendenti degli enti pubblici non economici di cui alla legge
n. 70 del 1975 e non i dipendenti ministeriali, quale era l’attuale contro ricorrente.
Ebbene, il suddetto erroneo richiamo del d.P.R. 1° marzo 1988, n. 285 (effettivamente
contenente la disciplina relativa al passaggio tra il sistema delle qualifiche funzionali e quello dei
profili professionali del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70),
anziché al d.P.R. 29 dicembre 1984, n. 1219 (recante: “Individuazione dei profili professionali del
personale dei Ministeri in attuazione dell’art. 3 della legge 11 luglio 1980, n. 312”) si deve
considerare del tutto irrilevante, nella specie, perché la motivazione della sentenza impugnata risulta
saldamente ancorata alla pertinente normativa di carattere generale, applicabile a tutto il pubblico
impiego, in riferimento alla questione di cui si tratta nel presente giudizio.
Tale osservazione, del resto, trova riscontro anche nella giurisprudenza amministrativa dalla
quale si desume, in linea generale, la sostanziale equiparazione tra la declaratoria dei profili
professionali di cui al d.P.R. n. 1219 riguardanti il personale del Comparto Ministeri e la
declaratoria dei profili professionali di cui al d.P.R. n. 285 del 1988 riguardanti il personale degli
Enti pubblici non economici (arg. ex Cons. Stato 27 giugno 2011, n. 3846).
Inoltre, è comunque del tutto pacifica l’applicabilità a tutto il pubblico impiego del principio
enunciato nell’art. 38 del d.P.R. n. 1032 del 1973 (di cui si è detto sopra al punto 3.2), sicché
5

l’errore di cui si discute — che va considerato come un semplice lapsus calami — non solo è, di per
sé, ininfluente, ma certamente non ha alcun rilievo sulla pacifica applicabilità, nella specie, del
suindicato principio generale.
Per le suddette ragioni anche il secondo motivo non è da accogliere.

III

Conclusioni

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3000,00
(tremila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 14 gennaio 2014.

5.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.

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