Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10120 del 28/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/05/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 28/05/2020), n.10120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27202/2013 R.G. proposto da:

CIT Invest s.r.l. in amministrazione straordinaria in persona del suo

legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta

delega in atti dall’avv. prof.ssa Salvini Livia (PEC

liviasalvini.ordineavvocatiroma.org) con domicilio eletto presso il

ridetto procuratore in Roma, Viale G. Mazzini n. 11;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD s.p.a. in persona del suo legale rappresentante pro

tempore con sede in Roma, viale di Tor Marancia n. 4;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Basilicata n. 175/01/13 depositata il 03/05/2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/11/2019 dal Consigliere Succio Roberto;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto

Procuratore Generale Basile Tommaso che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

udito l’avvocato Todini Chiara e l’avvocato dello Stato Valenzano

Emanuele che hanno chiesto rispettivamente l’accoglimento e il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda trae origine da una cartella di pagamento per iva 2007 con la quale l’Erario per mezzo del Riscossore in sostanza escludeva la rilevanza della dichiarazione integrativa presentata dalla società contribuente a distanza di quattro anni dalla presentazione dell’originaria dichiarazione e successivamente alla notifica della cartella di pagamento, essendo decorso il termine di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8.

Ricorreva alla CTP la società CIT Invest s.r.l.; il primo giudice rigettava l’impugnazione.

Appellava la contribuente e la CTR adita confermava la sentenza di primo grado.

Ricorre a questa Corte la società con atto affidato a quattro motivi debitamente illustrati con memoria; l’Amministrazione finanziaria resiste con controricorso; il Riscossore è rimasto intimato.

La controversia era assegnata alla sesta sezione che ritenendola di non immediata evidenza decisoria con ordinanza del 19 febbraio 2015 la rimetteva a questa quinta sezione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, ed art. 8, comma 6 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, censurando la sentenza impugnata per non essersi attenuta ai principi enunciati da questa Corte riguardo l’emendabilità della dichiarazione.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 2 e 3, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972,artt. 19 e 30, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la presentazione della dichiarazione integrativa in epoca successiva alla notifica della cartella potesse inficiare, per difetto di spontaneità, il diritto della contribuente a rettificare quanto dichiarato in sede di primigenia dichiarazione.

I primi due sopradetti motivi sono evidentemente fondati; dal loro accoglimento discende l’assorbimento dei restanti motivi di ricorso, che censurano la gravata sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (il mancato esame della copia autentica dei registri iva da parte della CTR, comprovante l’illegittimità della pretesa azionata con la cartella impugnata) e per vizio motivazionale (non risultando congruamente motivata la pronuncia del giudice dell’appello rispetto alle allegazioni di causa).

Ancora recentemente, si è statuito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 20119 del 30/07/2018) che anche in materia di IVA opera il principio per il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; che essa costituisce un momento dell'”iter” procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria; e che i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l’inesistenza di fatti giustificativi. Ne consegue che detta emendabilità non può ritenersi sottoposta al limite temporale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, commi 5 e 6, il quale riguarda la rimozione di omissioni o la eliminazione di errori suscettibili di comportare un pregiudizio per l’erario, ma non la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate e quindi idonee a pregiudicare il dichiarante, anche in ragione del fatto che la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell’erario.

Tal orientamento trova le sue radici nella nota pronuncia, resa in sede di nomofilachia massima, con la quale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13378 del 30/06/2016) si è definitivamente ribadito che in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8-bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria.

Pertanto, ove il contribuente impugni la cartella erroneamente emessa sulla base della dichiarazione a sua volta erronea – e pacificamente ciò è avvenuto in questo caso – è sempre consentito a questi far valere, a prescindere dalla esistenza e tempestività o spontaneità della eventuale dichiarazione integrativa come correttamente si osserva con chiarezza in memoria, detto errore nel processo.

Il ricorso quindi merita accoglimento nei termini sopra indicati.

Non risultando necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia va decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso da parte del contribuente.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso del contribuente; liquida le spese del giudizio di legittimità in Euro 5.600,00 oltre accessori di legge che pone tutte a carico di parte soccombente, comprese le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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