Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10119 del 09/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 10119 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA
sul ricorso 10072-2011 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE,

C.F.

80078750587,

in persona del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale Vgifaatario7 ella S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.
2013
3775

05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati
SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, D’ALOISIO CARLA,
CALIULO LUIGI, giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 09/05/2014

- ricorrenti contro

PLURIGAS S.P.A. C.F. 13286020154, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CANTONE
LORENZO, DAMOLI CLAUDIO, DELL’OMARINO ANDREA, GILDA
PISA, giusta delega in atti;
– controricorrente non chè contro

EQUITALIA ESATRI S.P.A. C.F. 09816500152;
– intimata ricorso successivo senza n ° di R.G.

PLURIGAS S.P.A. C.F. 13286020154, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo
studio dell’avvocato MAGRINI SERGIO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati CANTONE
LORENZO, DAMOLI CLAUDIO, DELL’OMARINO ANDREA, GILDA
PISA, giusta delega in atti;
– ricorrente successivo contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE,

C.F.

80078750587,

in persona del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

studio dell’avvocato MAGRINI SERGIO, che la

4

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F.
05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

giusta delega in atti;
– controricorrenti al ricorso successivo –

– EQUITALIA ESATRI S.P.A. C.F. 09816500152;
– intimata avverso la sentenza n. 244/2010 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 13/04/2010 R.G.N. 420/20081-q.;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/12/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;
udito l’Avvocato DAMOLI CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per il
rigetto di entrambi í ricorsi.
,,

SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, D’ALOISIO CARLA,

Svolgimento del processo
La Plurigas s.p.a propose opposizione avverso la cartella esattoriale con la quale
l’Inps, per il tramite della società di riscossione ESATRI s.p.a., le aveva intimato il
pagamento di somme a titolo di recupero di differenze contributive per il periodo

della disoccupazione, della maternità e del trattamento di fine rapporto,
sostenendo l’insussistenza del preteso credito contributivo.
L’adito giudice del lavoro del Tribunale di Milano accolse l’opposizione
limitatamente alla richiesta di riduzione dell’aliquota contributiva per la maternità.
Sia l’Inps che la società Plurigas s.p.a impugnarono tale decisione.
La Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado,
dichiarò infondata la pretesa creditoria dell’Inps anche in relazione alle differenze
contributive concernenti la disoccupazione e gli assegni familiari — CUAF,
confermando nel resto l’impugnata decisione e compensando interamente le
spese del grado.
La Corte territoriale pervenne a tale decisione dopo aver ribadito che le società
miste pubblico — private, come la Plurigas s.p.a., non potevano essere annoverate
tra quelle aventi diritto alla esclusione dell’applicazione delle norme sulla cassa
integrazione guadagni. Invece, l’accertata circostanza della stabilità dei posti di
lavoro garantita dalla Plurigas s.p.a giustificava la sua esclusione
dall’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria; inoltre, la
riduzione delle aliquote dei contributi minori spettava anche per i versamenti
contributivi effettuati all’Inpdap che, al pari di quelli dovuti all’Inps, avevano subito
una proporzionale elevazione delle rispettive aliquote, così come il contributo per
la maternità era stato versato nella stessa misura per tutti i lavoratori dipendenti.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso separatamente l’Inps e la
Plurigas s.p.a, ognuno dei due ricorrenti con tre motivi.

1

giugno — dicembre 2005 concernenti gli istituti della Cassa integrazione guadagni,

Entrambi resistono con controricorso. La Plurigas s.p.a deposita, altresì, memoria
ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c.

Regio decreto legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito con modificazioni dalla
legge 6 aprile 1936, n. 1155, dell’art. 32 della legge 29 aprile 1949, n. 264, dell’art.
36, del D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, del C.C.N.L. gas e acqua sottoscritto
1’1/3/2002, in vigore dall’1/1/2002, e degli artt. 1362 e segg. c.c., nonché un vizio di
motivazione.
La questione sottoposta all’esame di questa Corte è se le società per azioni, quali
la società Plurigas s.p.a, le cui azioni sono possedute da altre società per azioni a
prevalente capitale pubblico, costituite o partecipate da enti locali titolari del
pubblico servizio e di cui fanno parte anche soggetti privati, con quote ordinarie di
minoranza, siano esenti dall’obbligo di versamento dei contributi dovuti all’Inps ed
afferenti alla disoccupazione involontaria, con riferimento, nel caso di specie, al
lasso temporale giugno — dicembre 2005.
In pratica, secondo l’Inps, il concetto di stabilità di impiego, atto ad escludere la
contribuzione in materia di assicurazione obbligatoria sulla disoccupazione
involontaria, di cui all’art. 40 del R.D.L. n. 1827/35 e all’art. 36 del D.P.R. n.
818/57, dovrebbe risultare in modo rigoroso da norme regolanti lo stato giuridico
ed il trattamento economico del personale o da specifici provvedimenti ministeriali,
non essendo sufficiente, a tal fine, il richiamo, operato nella sentenza impugnata,
ad altra decisione, ancora non definitiva, dello stesso Tribunale, a stralci del
contratto collettivo nazionale di lavoro del 2002 e al provvedimento ministeriale
riguardante altra impresa.
Il motivo è infondato.

2

m

1. Col primo motivo l’Inps deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 40 del

Invero, già le Sezioni unite di questa Corte (Sez. Un, n. 7799 del 15/4/2005)
avevano affermato che la società per azioni con partecipazione pubblica non muta
la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in
tutto o in parte, le azioni, atteso che il rapporto tra società ed ente locale è di

sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni
mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli
strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di
nomina comunale presenti negli organi della società.
Di recente questa stessa Corte (Sez. L, n. 20818 dell’11/9/2013), in caso analogo,
ha avuto modo di statuire che “in tema di contribuzione previdenziale, le società a
capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale
pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali (nella specie, una
società per la gestione e la fornitura di servizi agli enti locali in materia di fornitura
di acqua, gas ed elettricità) sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali
previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare
applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici,
trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di
servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica
esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e
restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella
propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma
non totalitaria – da parte dell’ente pubblico.” (conf. a Cass. Sez. lav. n. 5816 del
10/3/2010 e n. 14847 del 24/6/2009)
Né coglie nel segno la censura che vede sul presunto vizio di motivazione, posto
che la Corte territoriale, con motivazione congrua ed esente da vizi logici e
giuridici, ha fatto riferimento, ai fini dell’accertamento della comprovata stabilità di
impiego del personale all’interno della Plurigas s.p.a., a dati concordanti, ricavati

assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente

dai precedenti giudiziari del locale Tribunale riguardanti proprio tale aspetto della
questione interessante l’impresa opponente, dal testo del contratto collettivo in
vigore fino al 31/12/2001 e da quello dell’i /3/2002, che contenevano una
elencazione tassativa delle ipotesi di carattere oggettivo di risoluzione del

un’altra azienda, alla quale si applicava lo stesso contratto collettivo, dal
pagamento dei contributi per la disoccupazione.
2. Col secondo motivo l’Inps si duole della violazione e falsa applicazione dell’art.
3, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335, del Decreto del Ministero del
Lavoro e della previdenza sociale del 21 febbraio 1996, n. 357800, con riferimento
alla riduzione dell’aliquota contributiva di finanziamento degli assegni familiari,
nonché di vizi della motivazione.
Si chiede di accertare, tramite il presente motivo, se il datore di lavoro che paga,
per una parte dei propri dipendenti, la contribuzione per l’invalidità, la vecchiaia e i
superstiti nella misura del 23,80% presso l’Inpdap con riferimento ai lavoratori con
rapporto previdenziale pubblico, come nel caso della Plurigas s.p.a. in relazione al
periodo giugno — dicembre 2005, e non presso l’Inps, nella misura del 32%, abbia
diritto o meno alla riduzione dell’aliquota di finanziamento della contribuzione
dovuta per gli assegni familiari.
In particolare la difesa dell’Inps segnala che nella fattispecie la società ricorrente
non pagava, con riferimento ai lavoratori per i quali era stata contestata
l’omissione contributiva, la contribuzione al Fondo pensioni lavoratori dipendenti
gestito dall’Inps, bensì all’Inpdap e che le aliquote contributive di finanziamento a
quest’ultimo ente (c.d. contribuzione maggiore) non erano state coinvolte
dall’opera di rivisitazione in aumento compiuta dal legislatore con la riforma del
1995 e che le stesse erano inferiori a quelle applicate per i datori di lavoro privati.
Sempre per quel che riguarda l’aumento delle aliquote contributive di
finanziamento dei fondi per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, aggiunge l’Inps

rapporto, nonchè dal decreto del Ministero del Lavoro che aveva esonerato

che, in relazione alla situazione dei datori di lavoro che versavano tale
contribuzione all’Inpdap, è sufficiente osservare, a confutazione di quanto
sostenuto nell’impugnata sentenza sull’applicabilità delle riduzioni contributive
anche per i lavoratori iscritti all’Inpdap, che il comma 238 dell’art. 1 della legge n.

pensionistica, alcuna contestuale riduzione delle aliquote relative alle contribuzioni
minori, ma aveva anche previsto un aumento della contribuzione sensibilmente
inferiore a quello previsto dall’art. 3, comma 23, della legge n. 335/1995 (23,80%
rispetto al 32%), introducendo una disciplina completamente diversa e ritenendo
non paragonabili i due quadri normativi di riferimento.
Il motivo è infondato.
Invero, l’art. 1, comma 23, della legge 8 agosto 1995, n. 335 dispone (per la prima
parte che qui interessa) quanto segue: “Con effetto dal 1° gennaio 1996, l’aliquota
contributiva di finanziamento dovuta a favore del Fondo pensioni lavoratori
dipendenti e’ elevata al 32 per cento con contestuale riduzione delle aliquote
contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee a carico della gestione
di cui all’art. 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, procedendo prioritariamente alla
riduzione delle aliquote diverse da quelle di finanziamento dell’assegno per il
nucleo familiare, fino a concorrenza dell’importo finanziario conseguente alla
predetta elevazione.”
In attuazione di tale norma, con il decreto 21 febbraio 1996, pubblicato sulla G.U. Serie Generale – n. 83 del 9 aprile 1996, emesso dal Ministro del Lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, sono state adottate le
necessarie misure di adeguamento delle aliquote contributive.
L’art. 1 del D.M in questione dispone, infatti, al comma 1, che a decorrere dal 1°
gennaio 1996 l’aliquota contributiva di finanziamento, dovuta a favore del F.P.L.D.
gestito dall’INPS, gia’ fissata, al 31 dicembre 1995, per la generalita’ dei lavoratori
nella misura del 27,57 per cento, di cui 8,54 a carico del dipendente (aliquota

662 del 1996, non solo non aveva disposto, a fronte dell’aggravio dell’aliquota

comprensiva dell’aumento dello 0,60% previsto dal D.M. 15 gennaio 1996, cfr.
circolare n. 27 del 19 gennaio 1996), e’ elevata al 32 per cento, di cui 8,54 per
cento a carico del dipendente, con un conseguente aumento di 4,43 punti
percentuali.

28/12/1996), contenente misure di razionalizzazione della finanza pubblica, all’art.
1 (Misure in materia di sanità, pubblico impiego, istruzione, finanza regionale e
locale, previdenza e assistenza), al comma 238, stabilisce che” a decorrere dal
periodo di paga in corso al 1° dicembre 1996 il contributo a carico degli enti datori
di lavoro degli iscritti all’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti
dell’amministrazione pubblica, gestioni Cassa per le pensioni ai dipendenti degli
enti locali, Cassa per le pensioni ai sanitari, Cassa per le pensioni agli insegnanti
di asilo e di scuole elementari parificate e Cassa per le pensioni agli ufficiali
giudiziari, è elevato ai 23,80 per cento della retribuzione imponibile.”
Nel successivo comma 239 è previsto, inoltre, che ” con la stessa decorrenza di
cui al comma 238 le aliquote contributive dovute dai lavoratori dipendenti iscritti
alle Casse pensioni di cui al medesimo comma 238 sono stabilite nella misura
dell’8,55 per cento, comprensiva degli incrementi contributivi di cui all’articolo 3,
comma 24, della legge 8 agosto 1995, n. 335.”
In sostanza dalla lettura congiunta di tali norme si ricava che il contributo elevato
al 32% da versare all’Inps è comprensivo della percentuale dell’8,54 a carico del
lavoratore dipendente (.. e’ elevata al 32 per cento, di cui 8,54 per cento a carico
del dipendente..), mentre il contributo già elevato al 23,80%, da versare all’Inpdap,

è a carico degli enti datori di lavoro degli iscritti all’Istituto nazionale di previdenza
per i dipendenti dell’amministrazione pubblica. Nel successivo e distinto comma
239 dello stesso art. 1 della legge n. 662 del 23/12/96 è, infine, stabilito che le
aliquote contributive dovute dai lavoratori dipendenti iscritti alle Casse pensioni di
cui al medesimo comma 238 sono stabilite nella misura dell’8,55 per cento.

A sua volta, la legge 23 dicembre 1996, n.662 (G.U. n. 303 Suppl. Ord. del

Da tutto ciò si deduce, quindi, che è corretta la difesa della Plurigas s.p.a nel
punto in cui fa rilevare che non vi è differenza tra le percentuali massime a carico
dei soli datori di lavoro nel calcolo del conferimento delle quote contributive da
versarsi all’Inps e all’Inpdap, per cui non ha pregio l’assunto difensivo dell’Inps che

gli assegni familiari, riconosciuta nell’impugnata sentenza, basando le proprie
censure sull’erronea asserita diversità dell’entità della contribuzione per l’invalidità,
la vecchiaia e i superstiti da effettuarsi all’Inps rispetto a quella da corrispondersi
all’Inpdap e sulla circostanza che la riduzione sulle contribuzioni cosiddette minori,
tra le quali quella per gli assegni familiari, era stata prevista come
contemperamento alla disposta elevazione della sola percentuale da versare
all’Inps.
Infatti, come si è appurato in precedenza, l’elevazione della percentuale di
contribuzione è stata prevista per entrambe le forme di versamento ai due istituti
previdenziali (Inps e lnpdap) e, inoltre, nel caso del versamento da effettuarsi alla
gestione dell’Inps la percentuale elevata al 32% è stata ritenuta comprensiva della
quota dell’8,55% a carico del dipendente, mentre nell’ipotesi del versamento da
eseguirsi in favore della gestione dell’Inpdap la quota, anch’essa elevata, è stata
fissata direttamente a carico della sola parte datoriale nella misura del 23,80%,
dopodiché, nel distinto comma 239 dello stesso art. 1 della legge n. 662/1996, è
stato precisato che sui lavoratori dipendenti grava, invece, una quota contributiva
nella misura dell’8,55%.
3. Col terzo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma
23, della legge 8 agosto 1995, n. 335 e del decreto del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale del 21 febbraio 1996, n. 357800, nonché per vizi di
motivazione, ci si duole della riconosciuta possibilità alla Plurigas s.p.a di
beneficiare della riduzione dell’aliquota contributiva di finanziamento per le
prestazioni di maternità.

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4,

contesta la riduzione dell’aliquota di finanziamento della contribuzione dovuta per

Si chiede, quindi, di accertare se il datore di lavoro che paga, per una parte dei
propri lavoratori, la contribuzione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti nella
misura del 23,80% presso l’Inpdap con riferimento ai dipendenti con rapporto
previdenziale pubblico, come nel caso della Plurigas s.p.a. in relazione al periodo

abbia diritto o meno alla riduzione dell’aliquota di finanziamento della
contribuzione dovuta per la prestazione di maternità.
In pratica l’Inps contesta la parte della sentenza impugnata in cui si è affermato
che il vigente Testo unico sulla maternità, di cui al algs 26.3.2001 n. 151, impone
il versamento del contributo di maternità per il settore dell’industria nella misura
del 46% (quella effettivamente versata dalla società) in modo indistinto sulle
retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti.
Tale motivo è infondato per le stesse ragioni di cui al precedente motivo, in quanto
anche in tal caso la tesi difensiva dell’Inps fa leva sul presupposto errato della
diversità del carico contributivo gravante sui datori di lavoro a seconda del
versamento alla gestione dell’Inps o dell’Inpdap.
1.a. Col primo motivo la Plurigas s.p.a denunzia la violazione e falsa applicazione
dell’art. 3, comma 1, d.lgs c.p.s. 12 agosto 1947 n. 869, ratificato con legge del. 21
maggio 1951 n. 498, dell’art. 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 e
del Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale 27 novembre 1997
n. 477.
In pratica la società contesta la decisione della Corte d’appello che l’ha ritenuta
soggetta alla contribuzione per cassa integrazione guadagni, dopo aver reputato
inapplicabile nei suoi confronti l’esonero di cui all’art. 3 del D.Igs n. 869/1947
riguardante, tra le altre, le imprese industriali degli enti pubblici, anche se
municipalizzate, e dello Stato, aggiungendo che la stessa Corte ha omesso di
considerare che per le imprese pubbliche erogatrici di servizi pubblici la legge
prevede uno strumento speciale alternativo alla Cig ed alla Cigs. A tal riguardo

8

pis

giugno — dicembre 2005, e non presso l’Inps, nella misura superiore del 32%,

richiama la norma dell’art. 2, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662,
che, in attesa di un’organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali,
prevede la definizione di misure per il perseguimento di politiche attive di sostegno
del reddito e dell’occupazione nell’ambito dei processi di ristrutturazione aziendale

servizi di pubblica utilità mediante la costituzione di appositi fondi finanziati
mediante un contributo sulla retribuzione. Nel seguire tale impostazione difensiva
la società menziona, altresì, il decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza
sociale 27 novembre 1997, n. 477, che ha dettato il “Regolamento recante norme
in materia di ammortizzatori per le aree non coperte da cassa integrazione
guadagni.” Ne consegue, secondo la Plurigas s.p.a, che la previsione per le
società a maggioranza pubblica, costituite per erogare servizi pubblici, di uno
speciale sistema di ammortizzatori sociali diverso dalla Cig e dalla Cigs significa
che alle stesse non è applicabile il sistema generale previsto per la cassa
integrazione, ivi compreso il sistema del relativo finanziamento, ma solo quello
speciale di cui al menzionato art. 2, comma 28, della legge n. 662 del 23 dicembre
1996.
2. a. Col secondo motivo la Plurigas s.p.a denunzia la violazione e falsa
applicazione delle seguenti norme di legge: art. 3, comma 1, d.lgs C.p.s. 12
agosto 1997 n. 869, ratificato con I. 21/5/1951 n. 498; art. 1, lett. c., direttiva Ce 18
giugno 1992 n. 50; art. 2, comma 1, lett. b., co. 2 ed all. 7 d.lgs 17 marzo 1995 n.
157; direttiva Ce 14 giugno 1993 n. 38, art. 2, co. 2; art. 3, art. 5, d.lgs. 17 marzo
1995 n. 158; art. 2 direttiva Ce 26 luglio 2000 n. 52; art. 2, co. 1lett. b., d.lgs 11
novembre 2003 n. 333; art. 2093 c.c.; art. 22 I. 8 giugno 1990 n. 142; I. 23
dicembre 1992 n. 498; d.p.r. 16 settembre 1996 n. 533; art. 1, co. 2, d.lgs 30
marzo 2001 n. 165; art. 29 I. 28 dicembre 2001 n. 448; art. 113 d.lgs 18 agosto
2000 n. 267, come modificato dall’art. 14 d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito
con modificazioni in I. 24 novembre 2003 n. 326; art. 1 I. 15 dicembre 2004 n. 308;

9

e per fronteggiare situazioni di crisi di enti ed aziende pubblici e privati erogatori di

art. 2, co. 28, I. 23 dicembre 1996 n. 662; Decreto del Ministero del Lavoro e della
Previdenza sociale 27 novembre 1997 n. 477.
Lamenta la società, sempre con riferimento alle aliquote CIG, che la Corte
d’appello avrebbe omesso di considerare la normativa comunitaria che, in materia

tali imprese.
A conclusione del motivo la ricorrente società formula il quesito di diritto teso ad
accertare se l’art. 3, comma 1, del d.lgs C.p.s. 12 agosto 1947 n. 869, ratificato
con legge 21 maggio 1951 n. 498 — anche alla luce della vigente normativa, non
solo di origine comunitaria, ma anche nazionale, relativa all’impresa pubblica —
debba essere interpretato nel senso che comprenda anche le società di capitali,
costituite per l’erogazione di servizi pubblici, ed il cui capitale sia solo in
maggioranza di proprietà dell’ente pubblico locale.
Osserva la Corte che per ragioni di connessione i primi due motivi possono essere
trattati congiuntamente.
Entrambi i motivi sono infondati.
Invero, come questa Corte ha già avuto modo di pronunziarsi al riguardo (Cass.
Sez. lav. n. 14847 del 24/6/2009), ” in materia di cassa integrazione guadagni, le
società per azioni a prevalente capitale pubblico aventi ad oggetto l’esercizio di
attività industriali sono tenute al pagamento dei relativi contributi, non potendo
trovare applicazione l’esonero previsto dall’art. 3 del d.lgs.C.p.S. 12 agosto 1947,
n. 869, come sostituito dall’art. 4, comma 1, della legge 12 luglio 1988, n. 270, in
quanto l’art. 23 della legge n. 8 giugno 1990, n. 142 (applicabile “ratione temporis”)
non ricomprende le società a capitale misto tra gli organismi aventi natura
strumentale dell’ente locale per il perseguimento delle finalità pubbliche,
dovendosi escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella
propria dello schema societario, che la mera partecipazione maggioritaria da parte

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di imprese erogatrici di servizi pubblici, qualifica espressamente come pubbliche

dell’ente titolare sia idonea a determinare la natura dell’organismo attraverso cui la
gestione del servizio pubblico viene attuata.”
Attraverso tale decisione si è spiegato che il D.Lgs. n. 869 del 1947, art. 3, comma
1, come sostituito dalla L. n. 270 del 1988, art. 4, comma 1, prevede, per quanto

integrazione dei guadagni degli operai dell’industria: …le imprese industriali degli
enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato”. La locuzione “imprese
industriali degli enti pubblici”, secondo l’assunto della ricorrente, non farebbe
riferimento tanto alla proprietà o alla titolarità dell’impresa, quanto invece a “un
potere di controllo totale ed effettivo dell’impresa”. Siffatta interpretazione non
trova, com’è evidente, alcun riferimento testuale nella norma testè esaminata,
laddove, piuttosto, l’equiparazione (soltanto) delle imprese “municipalizzate” (che
enti pubblici non sono) a quelle “degli enti pubblici” sta ad indicare che il
legislatore ha invece fatto riferimento alla natura pubblica dell’impresa industriale
(siccome) svolta dall’ente pubblico.
Nel caso che ne occupa trova poi applicazione, ratione temporis, il disposto della
L. n. 142 del 1990, art. 22, comma 3, secondo cui: “I comuni e le province
possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme: a) in economia, quando
per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno
costituire una istituzione o una azienda; b) in concessione a terzi, quando
sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale; c) a mezzo di
azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed
imprenditoriale; d) a mezzo di istituzione, per l’esercizio di servizi sociali senza
rilevanza imprenditoriale; e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale
pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da
erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o private. La lett. e) venne poi
così modificata dalla L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 58: “a mezzo di società
per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite

qui specificamente rileva che “Sono escluse dall’applicazione delle norme sulla

o partecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in
relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio la partecipazione di più
soggetti pubblici o privati”. Tale disciplina venne quindi sostanzialmente trasfusa,
con alcune modifiche, nel D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 112 e 113, per essere poi

In linea con la propugnata interpretazione del ricordato D.Lgs. n. 869 del 1947, art.
3, comma 1, la ricorrente ritiene pertanto la rilevanza, ai fini de quibus, della
influenza dominante sugli assetti organizzativi e sulle finalità societarie da parte
del (necessariamente) maggioritario capitale pubblico locale. L’assunto non può
tuttavia essere condiviso, posto che, proprio in conformità del disposto del D.Lgs.
n. 869 del 1947, art. 3, comma 1, secondo la suesposta interpretazione del
medesimo, la mera esperibilità del controllo sulla società a capitale misto da parte
del capitale pubblico locale non determina la riconducibilità dell’impresa industriale
gestita da tale società nel novero di quelle escluse dall’applicazione delle norme
sulla integrazione dei guadagni degli operai dell’industria.
Risulta significativa al riguardo la disposizione di cui alla L. n. 142 del 1990, art.
23, che riconosce all’azienda speciale (di cui all’art. 22, comma 3, lett. c)) natura di
“ente strumentale dell’ente locale” e alla istituzione (di cui all’art. 22, comma 3, lett.
d)) natura di “organismo strumentale dell’ente locale”, nulla al contrario
prevedendo con riferimento alla società per azioni a prevalente capitale pubblico
locale (di cui all’art. 22, comma 3, lett. e); dal che discende che la gestione dei
servizi pubblici da parte degli enti pubblici territoriali non è di per sè determinativa
della natura pubblica dell’organismo attraverso il quale tale gestione viene attuata.
Per conseguenza, anche nella fattispecie all’esame, la natura pubblica (o meno)
dell’impresa il cui schema societario sia (come nel caso che ne occupa) quello
proprio di una persona giuridica privata (nella specie, cioè, una società per azioni),
deve essere desunta dall’esistenza o meno del carattere strumentale dell’ente
societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche ovvero dall’esistenza

ridisegnata dalla legislazione successivamente intervenuta in materia.

o meno di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema
societario (cfr, Cass., n. 10155/2004). Nella specie il carattere strumentale
dell’ente societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche deve ritenersi
implicitamente escluso dalla già ricordata previsione della L. n. 142 del 1990, art.

propria dello schema societario non è stata neppure oggetto di specifica
allegazione da parte della ricorrente. Per contro già la giurisprudenza di questa
Corte ha avuto modo di precisare che la partecipazione maggioritaria di capitale
pubblico, così come l’eventuale erogazione di contributi pubblici, non costituiscono
elementi decisivi per decidere della natura pubblica di una compagine costituita
secondo il comune modello di una società per azioni (cfr. Cass., SU, n. 107/99;
Cass., n. 10155/2004, cit.).
3. a. Col terzo motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione degli
artt. 116, comma 15, lett. a L. 23 dicembre 2000 n. 388, 442 e 444 cod. proc. civ.
e dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso
e decisivo per il giudizio.
Rileva la ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, le oggettive
incertezze derivanti dai contrastanti orientamenti amministrativi e giurisprudenziali
nella materia dell’assoggettamento delle aziende dello stato e degli enti pubblici
con capitale anche in parte privatizzato alla contribuzione per CIG, CIGS e
mobilità, inducevano all’applicazione delle sanzioni in misura ridotta alla stregua
del citato art. 116 della legge n. 388/2000.
La medesima chiede, quindi, di accertare se rientrava nella competenza del
giudice del lavoro la domanda di accertamento preventivo della sussistenza delle
condizioni previste dall’art. 116, comma 15, lett. a della legge 23 dicembre 2000 n.
388 per ottenere la riduzione delle sanzioni previste dalla citata norma e se tali
riduzioni spettano in presenza di una prassi amministrativa confermata solo dopo

13

23, mentre l’eventuale sussistenza di una disciplina derogatoria rispetto a quella

conforme parere del Consiglio di Stato ed in presenza di riconoscimento di
inesistenza dell’obbligo per periodi pregressi.
Il motivo è infondato.
Invero, la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001) prevede all’art.

restando l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni
previdenziali e assistenziali, siano i consigli di amministrazione degli enti impositori
a fissare, sulla base di apposite direttive emanate dal Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro, del bilancio e della
programmazione economica, i criteri e le modalità per la riduzione delle sanzioni
civili di cui al comma ottavo fino alla misura degli interessi legali. Nell’indicazione
dei casi in cui ciò è possibile la stessa norma contiene, alla lettera a), la previsione
delle ipotesi di mancato e ritardato pagamento di contributi o premi derivanti da
oggettive incertezze connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi
orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza
dell’obbligo contributivo successivamente riconosciuto in sede giurisdizionale o
amministrativa in relazione alla particolare rilevanza delle incertezze interpretative
che hanno dato luogo all’inadempienza.
Il motivo è infondato, non risultando superato, alla luce delle censure esposte, il
rilievo di fondo iheguito dalla Corte territoriale in merito alla rilevata insussistenza
dei presupposti per l’applicabilità del regime di riduzione delle sanzioni di cui al
citato art. 116 della legge n. 388/00, tanto più che la giurisprudenza di legittimità,
che aveva affermato l’assoggettamento delle società per azioni a prevalente
capitale pubblico alla contribuzione per la cassa integrazione, si era già formata (v.
Cass. Sez. lav. n. 14847 del 24/6/2009 che, a sua volta, richiama il precedente n.
10155 del 2004) prima della pronunzia oggetto della presente impugnazione.
Ne consegue che entrambi i ricorsi vanno rigettati.

14

116 (misure per favorire l’emersione del lavoro irregolare), comma 15, che, fermo

La reciproca soccombenza delle parti induce alla decisione di compensare
interamente tra le stesse le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese compensate.

Il Consigliere estensore

Così deciso in Roma il 19 dicembre 2013

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