Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10117 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. I, 16/04/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 16/04/2021), n.10117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27570/2016 proposto da:

L.C., in proprio, elettivamente domiciliato in Roma, Via

Trionfale n. 7032, presso lo studio dell’avvocato Goggiamani

Dimitri, che lo rappresenta e difende unitamente a sè medesimo,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare di Sondrio Soc. Coop. per azioni, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Emilia n. 86/90, presso lo studio dell’avvocato Lodigiani

Francesca, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Bellini Bressi Marco, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3165/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

pubblicata il 11/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2020 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – L.C. proponeva opposizione, con atto di citazione notificato il 12 febbraio 2007, avverso il Decreto Ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal Tribunale di Sondrio su ricorso della Banca Popolare di Sondrio soc. coop. a r.l.. Il provvedimento monitorio aveva intimato allo stesso L. il pagamento della somma di Euro 928.917,70, quale saldo di conto corrente, oltre interessi e spese. L’opponente eccepiva che il decreto era stato pronunciato a fronte di un credito non provato nel suo preciso ammontare: ammontare di cui domandava l’accertamento.

La banca ingiungente si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’opposizione. Il Tribunale, espletata consulenza tecnica contabile, pronunciava sentenza con cui accoglieva parzialmente l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente al pagamento della minor somma di Euro 624.149,55.

2. – La pronuncia era impugnata da L. e la Corte di appello di Milano, con sentenza dell’11 agosto 2016, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava l’appellante al pagamento dell’importo, ancora inferiore, di Euro 478.536,35 oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

3. – Contro tale sentenza L.C. ricorre per cassazione, facendo valere sette motivi di impugnazione. Resiste con controricorso la Banca Popolare di Sondrio. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – A fronte di precisa eccezione della controricorrente, deve anzitutto osservarsi che le dimensioni significative del ricorso per cassazione (il quale si compone, nel caso in esame, di 74 pagine) non rappresenta, alla stregua del diritto vigente, circostanza che, in sè, ne determini l’inammissibilità: tale evenienza potrebbe assumere semmai rilievo ove pregiudichi l’intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, traducendosi, quindi, nella violazione delle prescrizioni di cui dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, le quali sono assistite da una sanzione testuale di inammissibilità (Cass. 20 ottobre 2016, n. 21297; in senso conforme, Cass. 21 marzo 2009, n. 8009): tale situazione nella fattispecie, però, non ricorre. Deve inoltre rilevarsi non essere pertinente il richiamo alla giurisprudenza che si è occupata della tecnica di redazione dell’atto mediante riproduzione fotografica degli atti di parte, giacchè l’impugnazione odierna non se ne è avvalsa che in misura del tutto marginale.

2. – Passando allo scrutinio dei motivi, il primo oppone la violazione degli artt. 34,112 c.p.c. e art. 276 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 1421 c.c., per omessa pronuncia sulla simulazione del contratto di apertura di credito. Viene dedotto che l’eccezione di simulazione proposta in appello con riguardo al predetto contratto non poteva ritenersi tardiva, come invece affermato dal giudice distrettuale

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 34,112 c.p.c. e art. 276 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 1421 c.c., per omesso esame di cause di nullità dei contratti azionati. La censura presenta contenuto analogo a quella che precede e investe l’affermazione della Corte di appello secondo cui anche l’eccezione di nullità del contratto di apertura di credito – eccezione basata sull’assenza di causa concreta del negozio di finanziamento e sull’illiceità della causa o del motivo di esso – risultava proposta tardivamente.

Il terzo mezzo denuncia la violazione dell’art. 1325 c.c., n. 2, artt. 1343,1345 e art. 1418 c.c., comma 2. Viene rilevato che il contratto di apertura di credito fondiario concluso dal ricorrente non era volto a soddisfare gli interessi delle parti sottesi all’operazione di finanziamento, consistenti nel consentire al finanziato di disporre di nuova finanza. Il contratto, ad avviso dell’istante, sarebbe connotato dall’illiceità della causa concreta o del motivo comune alle parti, in quanto volto a novare o trasferire addebiti illegittimi maturati con riferimento a un diverso rapporto intrattenuto dall’istante con la banca finanziatrice.

2.1. – Le tre censure riguardano l’operazione attraverso cui la banca ha accordato all’odierno istante un finanziamento di Euro 800.000,00: somma che L. ha lamentato non essere mai uscita dalla disponibilità giuridica dall’istituto di credito perchè impiegata per munire di garanzia l’esposizione debitoria maturata su altri conti correnti dello stesso istante. E’ infatti ricordato in ricorso che l’odierno ricorrente era stato richiesto di sottoscrivere un contratto di apertura di credito pari allo scoperto dei detti conti correnti, il quale doveva essere assistito da ipoteca. Il (OMISSIS), a seguito della conclusione di tale contratto e della prestazione della garanzia richiesta, la banca aveva trasferito, con tre giroconti dell’importo complessivo di Euro 799.000,00, senza autorizzazione dell’istante, l’esposizione portata dai conti correnti bancari sopra richiamati sul conto corrente cui era appoggiata l’apertura di credito.

La Corte di merito ha rilevato la tardività dell’eccezione di simulazione; ha poi esaminato quella di nullità, affermando di voler “prescindere” dalla questione relativa alla tempestività o meno della sua deduzione e ha osservato come nel mutuo fondiario il finanziamento assistito da garanzia ipotecaria ben possa essere finalizzato allo scopo che le parti si prefiggono, e, quindi, anche a quello di destinare la somma al ripianamento di debiti pregressi del correntista nei confronti della banca.

2.2 – Il primo motivo è fondato.

La simulazione, in quanto generatrice della nullità del contratto (per tutte: Cass. 16 marzo 2018, n. 7459; Cass. 10 maggio 2016, n. 9401) costituisce oggetto di una eccezione in senso lato, come tale suscettibile di proposizione in appello, a norma dell’art. 345 c.p.c..

Ha errato, quindi, la Corte distrettuale a reputare assorbente la circostanza per cui la medesima non era stata tempestivamente svolta nel giudizio di primo grado. Il giudice del gravame avrebbe dovuto infatti senz’altro verificare se, alla stregua delle risultanze di causa, il contratto di finanziamento mediante apertura di credito potesse dirsi simulato.

2.3. – Il secondo motivo non ha invece aderenza alla sentenza impugnata, giacchè la Corte di appello ha inteso affrontare la questione della nullità del suddetto contratto, reputando quindi non decisivo, in proposito, il profilo della tardività.

Tale mezzo di censura è quindi inammissibile.

1.4. – Il terzo motivo va disatteso.

Il tema sotteso alla censura vertente sull’illiceità dell’operazione di finanziamento, in quanto diretta al risultato di ripianare debiti pregressi, è stato già affrontato da questa Corte con riguardo all’ipotesi del mutuo fondiario.

E’ assodato che il mutuo fondiario di cui agli artt. 38 e segg. t.u.b. (D.Lgs. n. 385 del 1993) differisca dal mutuo di scopo poichè di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a determinate finalità, onde non può essere negata tale qualificazione valorizzando l’ipotetica previsione contrattuale che neghi la destinazione della somma mutuata all’acquisto, costruzione o ristrutturazione di immobili (Cass. 26 marzo 2012, n. 4792). In quanto lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall’immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con obbligo di restituzione della somma mutuata, il contratto di mutuo fondiario di cui ai citt. artt. 38 e segg. t.u.b. ben può essere finalizzato allo scopo soggettivo che le parti si prefiggono: se questo è costituito dall’utilizzo della somma per sanare debiti pregressi verso la banca, non per ciò solo può dunque predicarsene l’illiceità (Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663, in motivazione; Cass. 12 settembre 2014, n. 19282, in motivazione).

Tali considerazioni debbono necessariamente valere allorquando si faccia questione non già di un mutuo (fondiario), ma di altro contratto di finanziamento.

Nella prospettazione del ricorrente, peraltro, un problema quale quello indicato non assume nemmeno centralità: infatti, L.C. mostra di dolersi, col quinto motivo, della compensazione, posta in essere dalla Banca Popolare di Sondrio, del saldo passivo dei propri conti correnti con la disponibilità derivante dalla nuova apertura di credito (assistita da ipoteca) di cui si era reso beneficiario. In particolare – secondo quanto dedotto dall’istante, e riconosciuto pure dalla Corte di merito (pagg. 12 e 13 della sentenza) – la conversione delle scoperture, fino ad allora maturate, sui conti correnti recanti saldo negativo, in passività del conto assistito dalla apertura di credito (garantita da ipoteca) si era potuta attuare attraverso il congegno di cui all’art. 1853 c.c. e all’art. 5 delle condizioni generali di contratto. Nella ricostruzione della vicenda fornita dal ricorrente, dunque, l’addebito del saldo di quei conti discende, più che da un accordo di L. con l’istituto di credito destinato a ripianare quella esposizione debitoria (come sarebbe accaduto se le parti avessero stipulato un mutuo concordando che la provvista fornita al mutuatario dovesse essere impiegata per estinguere le passività degli altri rapporti esistenti tra il detto soggetto e la sua odierna controparte), dalla compensazione di partite di cui si è giovata la stessa banca con la propria unilaterale iniziativa: compensazione che infatti lo stesso ricorrente censura, come sopra accennato, col quinto motivo, assumendone la non praticabilità giuridica.

Per questa stessa ragione non coglie nel segno l’ulteriore doglianza, con cui si predica la nullità del contratto (di apertura di credito) per la nullità “che si configura nei casi in cui il finanziamento sia volto a novare o trasferire addebiti illegittimi in un altro rapporto con la banca finanziatrice”. Il ricorrente spiega, a pag. 37 del ricorso, che gli addebiti riguarderebbero interessi anatocistici e commissioni di massimo scoperto e che l’illegittimità di tali addebiti era stata accertata con la sentenza di primo grado, non impugnata dalla banca. E’ tuttavia lo stesso ricorrente, come si è detto, a rilevare, nel ricorso, che l’estinzione troverebbe ragione più che in una novazione, in una (non consentita) compensazione. Quel che appare dirimente è – anche qui – la colorazione, per così dire neutra, che ha assunto l’apertura di credito rispetto al trasferimento dell’esposizione debitoria maturata sui conti correnti: trasferimento che – si ripete – potè attuarsi, secondo l’istante, attraverso il richiamato meccanismo di compensazione.

3. – Il quarto motivo di ricorso prospetta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 276 c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 1421 c.c., per omesso rilievo di clausole contrattuali che prevedono l’addebito di interessi usurari. Si tratta della stessa doglianza di cui ai primi due motivi che è riferita, in questo caso, all’eccezione afferente l’applicazione, nel corso dei rapporti, di interessi usurari: eccezione che la Corte di appello ha reputato inammissibile, in quanto proposta, per la prima volta, in appello.

Il motivo appare fondato.

Premesso che le clausole che prevedono la corresponsione di interessi usurari sono nulle, giusta l’art. 1815 c.c., comma 2, valgono le considerazioni svolte nel trattare il primo motivo. Questa Corte ha del resto già rilevato che la nullità delle clausole che prevedono un tasso d’interesse usurario è rilevabile anche di ufficio, non integrando gli estremi di un’eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, che può essere proposta anche in appello, nonchè formulata in comparsa conclusionale, sempre che sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio (Cass. 9 gennaio 2013, n. 350; cfr. pure Cass. 28 ottobre 2005, n. 21080).

4. – Col quinto motivo di ricorso viene lamentata la violazione degli artt. 1241,1842 c.c., art. 1843 c.c., comma 1 e art. 1853 c.c.. Rileva il ricorrente che la compensazione prevista dall’ultima delle norme richiamate richiede indefettibilmente che la compensazione abbia luogo tra un saldo attivo e un saldo passivo; si sostiene che l’apertura di credito bancario, anche se regolata in conto corrente, non genererebbe un saldo attivo, ma un saldo nullo (ove la somma oggetto del finanziamento non sia utilizzata) o passivo (nel caso opposto).

4.1. – La censura investe il capo della pronuncia con cui la Corte di appello ha ritenuto corretta la compensazione dei saldi di più conti correnti: compensazione che, ad avviso della detta Corte, si era attuata in conformità di quanto prescritto dell’art. 1853 c.c. e dell’art. 5 delle condizioni generali di contratto. Ha osservato, al riguardo, il giudice del gravame, che “l’istituto di credito ha correttamente compensato dei crediti in favore della banca, nascenti, appunto, dall’utilizzo dell’apertura di credito, la cui somma risulta essere stata girocontata dal conto n. (OMISSIS), su cui era stata regolamentata tale apertura in favore dei conti nn. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)” ed ha aggiunto che, alla stregua di tali emergenze documentali risultava “irrilevante quanto contestato circa il fatto che dalla CTU sarebbe emerso che l’unica somma effettivamente messa a disposizione della banca ammonterebbe a Euro 25.583,54”.

4.2. – Il motivo appare fondato.

L’apertura di credito è “il contratto con cui la banca si obbliga a tenere a disposizione dell’altra parte una somma di denaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato” (art. 1842 c.c.). In concreto, l’apertura di credito è diretta a conferire al cliente della banca la possibilità di disporre di somme non giacenti sul proprio conto corrente: con essa, dunque, la banca assume l’obbligo di eseguire operazioni di credito bancario passive (Cass. 23 aprile 1996, n. 3842; Cass. 5 dicembre 1992, n. 12947; Cass. 11 marzo 1992, n. 2915).

Come si desume dalla norma sopra richiamata, il contratto di apertura di credito conferisce all’interessato non già una somma di denaro, ma una mera disponibilità finanziaria. Il punto è registrato da tempo dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, appunto, nel contratto di apertura di credito bancario, “la proprietà della somma messa a disposizione resta all’istituto bancario fino a quando l’accreditato non faccia uso del concessogli diritto di disporre del credito” (Cass. 13 dicembre 1969, n. 3956; cfr. pure Cass. 12 gennaio 1968, n. 74). Si è infatti precisato che nel contratto d’apertura di credito bancario “la semplice annotazione in conto corrente della somma messa a disposizione del cliente non concretizza quella tradizione simbolica, idonea e sufficiente a realizzare l’estremo della consegna”, tant’è che il rapporto obbligatorio in ragione del quale può l’accreditante dirsi creditore dell’accreditato, sorge soltanto nel momento ed a causa del prelievo della somma messa a disposizione (Cass. 12 giugno 1973, n. 1688; Cass. 9 settembre 2004, n. 18182).

Ne discende, allora, che il diritto di cui il somministrato acquisisce la titolarità con la conclusione del contratto non possa qualificarsi come credito liquido ed esigibile. In capo alla banca non si configura alcuna obbligazione, che sia determinata nell’ammontare e che possa dirsi scaduta, fino a quando l’accreditato non abbia manifestato la volontà di utilizzare, in tutto in parte, la somma di cui ha acquistato il diritto di disporre.

Ciò, come osservato in dottrina, ha delle precise ricadute sul piano degli effetti giuridici. Poichè, infatti, il credito del correntista non è nè liquido nè esigibile prima della manifestata volontà di concreta utilizzazione della somma, deve escludersi – ad esempio – che fino a quel momento detta somma sia produttiva di interessi. Soprattutto, la richiamata condizione di illiquidità ed inesigibilità del credito impedisce che, a fronte della semplice conclusione del contratto, possa attuarsi alcuna compensazione tra detto credito e altro ipotetico credito vantato dalla banca nei confronti del proprio cliente. Risulta in particolare preclusa l’operatività dell’art. 1853 c.c.: norma che, come rimarcato di recente da questa Corte (Cass. 4 luglio 2019, n. 17914), prevede una compensazione tecnica e legale.

Il tema della inattuabilità della compensazione ex art. 1853 c.c., in caso di apertura di credito è stato già scrutinato da questa Corte. E’ stato osservato, difatti, che tale norma prevede la compensazione ex lege solo tra i saldi passivi di un rapporto di conto corrente ed i saldi attivi di altri rapporti o conti del cliente con la medesima banca, e non anche la compensazione tra il saldo passivo di un conto e la costituzione di una corrispondente passività per apertura di credito in altro conto dello stesso cliente (Cass. 9 novembre 1994, n. 9307); si è difatti precisato che l’apertura di credito non implica, con riferimento all’epoca della sua stipulazione, un saldo, configurabile soltanto alla chiusura del corrispondente conto od alle cadenze all’uopo pattuite, e non può comunque segnare un saldo attivo, suscettibile di compensazione con i saldi passivi, tenendosi conto che “la disponibilità di denaro creata in favore dell’accreditato non comporta la costituzione di un credito pecuniario dello stesso verso la banca, ma soltanto la facoltà dell’uno di rendersi debitore dell’altra, se ed in quanto utilizzi la disponibilità medesima” (Cass. 22 marzo 1994, n. 2742, in motivazione).

In conclusione, dunque, la compensazione posta in essere dalla banca, che ha trasferito il debito pregresso di L. sul conto assistito dall’apertura di credito – a garanzia della quale era stata prestata la garanzia ipotecaria – non poteva ritenersi consentita (fermo restando, ovviamente, il persistere della posizione debitoria maturata sui conti correnti accesi in precedenza, e transitata sul conto n. (OMISSIS)).

5. – Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, dell’art. 112 c.p.c., art. 167 c.p.c., comma 1 e art. 115 c.p.c., comma 1, in rapporto all’art. 2697 c.c., per omessa applicazione dei principi della corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato e di non contestazione. E’ spiegato che l’istante aveva lamentato, con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, l’addebito senza propria autorizzazione, di un importo di Euro 1.000.000,00: la circostanza per la quale l’operazione era stata posta in essere senza autorizzazione del ricorrente non era stata contestata dalla banca, onde la Corte di Milano avrebbe errato nel non ritenere pacifica la circostanza.

5.1. – E’ da rilevare, in proposito, che la Corte di merito ha ritenuto tale addebito legittimo in quanto, a prescindere dalla sussistenza di un’autorizzazione scritta, nella fattispecie non necessaria ai fini della prova, doveva attribuirsi rilievo al fatto che L. non avesse mai contestato l’operazione nonostante la regolare ricezione degli estratti conto, se non a distanza di quattro anni: tanto più che il ricorrente era stato informato della propria rilevante esposizione debitoria fin dal 2003 e, in seguito, si era limitato a invocare la tolleranza della banca.

5.2. – Il motivo non è fondato.

L’allegazione che si assume non contestata è riprodotta dal ricorrente a pag. 58 dell’atto di impugnazione: essa ha ad oggetto il pagamento di somma a Efibanca s.p.a. “senza autorizzazione scritta dell’avv. L.C.”. Ebbene, la Corte di merito non ha contraddetto tale deduzione: ciò che avrebbe fatto se avesse sostenuto che l’operazione era stata autorizzata per iscritto; il giudice di appello ha piuttosto valorizzato circostanze (diverse da una documentata autorizzazione preventiva dell’addebito), ritenute espressive della volontà del correntista di dar corso all’operazione. Erra dunque il ricorrente quando assume che nella fattispecie sarebbe stato violato il principio di non contestazione.

Merita aggiungere, peraltro, che il mero difetto di contestazione specifica non impone al giudice un vincolo assoluto di piena conformazione, obbligandolo a considerare definitivamente come provato (e quindi come positivamente accertato in giudizio) il fatto non contestato, in quanto il giudice stesso può sempre rilevare l’inesistenza del fatto allegato da una parte, anche se non contestato dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto (cfr. sul punto quanto rilevato, in motivazione, anche se sul tema della legittimazione rappresentativa, da Cass. Sez. U. 3 giugno 2015, n. 11377; in senso conforme, sempre in motivazione, Cass. Sez. U. 16 febbraio 2016, n. 2951, ove si precisa che se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, giusta l’art. 116 c.p.c., ciò deve valere a fortiori per la valutazione della mancata contestazione).

6. – Col settimo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 112,342,343,324 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver condannato il ricorrente al pagamento di interessi legali sul capitale riconosciuto in sentenza in assenza di domanda e di appello incidentale dell’intimata. Espone l’istante che la Corte di appello, senza spendere alcuna motivazione al riguardo, lo aveva condannato al pagamento degli interessi legali dalla domanda al saldo sull’importo rideterminato in Euro 478.536,35; questo nonostante la banca non avesse impugnato in via incidentale la sentenza di primo grado che aveva pronunciato condanna al pagamento del solo importo capitale, e nonostante si fosse perciò formato il giudicato interno sul punto.

6.1. – Il motivo è fondato.

Spiega il ricorrente che l’importo oggetto della condanna resa in primo grado, pari a Euro 624.149,55, era comprensivo degli interessi maturati fino alla consulenza tecnica e che la banca si era limitata a richiedere, in appello, la conferma integrale della sentenza resa dal Tribunale.

E’ evidente che la Corte di appello non potesse attribuire gli interessi maturati nel periodo di pendenza del giudizio di primo grado successivo a quello per cui erano stati conteggiati (in assenza di gravame sul punto) e nemmeno accordare gli interessi venuti a scadenza dopo la sentenza impugnata (essendo mancata alcuna domanda al riguardo).

In tal senso, la Corte di merito dovrà rideterminare gli interessi sulla quota capitale con riferimento al medesimo periodo preso in considerazione dalla sentenza di primo grado.

7. – In conclusione, vanno accolti il primo, il quarto, il quinto e il settimo motivo; il secondo va dichiarato inammissibile, mentre il terzo e il sesto vanno rigettati. La sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

La Corte di appello dovrà conformarsi al seguente principio di diritto:

“Poichè, nel caso di apertura di credito, il diritto di cui il somministrato acquisisce la titolarità con la conclusione del contratto non può considerarsi liquido ed esigibile fino a quando l’accreditato non abbia inteso utilizzare, in tutto in parte, la somma di cui ha acquistato il diritto di disporre, la compensazione di cui all’art. 1853 c.c., che deve avere ad oggetto il saldo passivo di un rapporto ed il saldo attivo di un altro rapporto con la medesima banca, non può aver luogo tra il saldo passivo di un conto corrente e la costituzione di una pari passività per apertura di credito in altro conto dello stesso cliente”.

P.Q.M.

La Corte;

accoglie il primo, il quarto, il quinto e il settimo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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