Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 10116 del 16/04/2021

Cassazione civile sez. I, 16/04/2021, (ud. 19/11/2020, dep. 16/04/2021), n.10116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26139/2016 proposto da:

Deutsche Bank S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare n.

23, presso lo Studio Legale Boursier Niutta & Partners,

rappresentata e difesa dall’avvocato Giangrossi Ilario, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G., B.E., in G., elettivamente

domiciliati in Roma, via Celimontana n. 38, presso lo studio

dell’avvocato Panariti Paolo, che li rappresenta e difende, giusta

procura speciale per Notaio Dott. Go.Gi. di (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 335/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 02/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda dei coniugi G.G. e B.E. di risarcimento del danno, nei confronti di Deutsche Bank, per violazione degli obblighi informativi sulla rischiosità di investimenti effettuati nel 2007, risultati inadeguati al loro profilo di rischio, condannava la Banca a pagare Euro 132652,07 e poneva a suo carico le spese.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 1 febbraio 2016, rigettava il gravame principale della Banca e quello incidentale degli investitori.

Per quanto ancora interessa, la corte, condividendo le valutazioni del primo giudice, riteneva che la Banca non aveva informato i clienti della rischiosità nè valutato l’adeguatezza delle azioni (OMISSIS) e (OMISSIS), sottoscritte in data 16 aprile 2007, rispetto al profilo di rischio degli investitori; analoga valutazione riguardava l’operazione, compiuta in data 1 agosto 2007, di conversione del precedente investimento, rispetto alla quale l’apposizione di una “crocetta” sui moduli prestampati non era idonea ad assolvere agli obblighi informativi previsti dall’art. 23 del t.u.f. (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), artt. 28 e 29 del reg. Consob n. 11522 del 1998, trattandosi di una forma di espressione del consenso disancorata dalla effettiva valutazione dell’operazione in concreto; il rifiuto degli investitori di fornire informazioni utili per ricostruire il loro profilo di rischio non esonerava la Banca dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione di investimento, in base ai principi generali di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto; non era configurabile un concorso di colpa degli investitori per la mancata liquidazione degli investimenti di cui è causa, dopo che erano venuti a conoscenza della minusvalenza registrata nel 2008.

Avverso questa sentenza la Deutsche Bank propone ricorso per cassazione, resistito dai signori G. e B., i quali chiedono la condanna della ricorrente al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia falsa applicazione degli artt. 28, comma 2, e 29 del reg. Consob del 1998, per avere erroneamente ritenuto inadeguata la modalità di assolvimento degli obblighi informativi mediante apposizione di crocette da parte dei clienti su moduli di sottoscrizione relativi alle operazioni compiute ad agosto 2007, da cui la corte erroneamente aveva tratto la conclusione che la Banca non aveva assolto agli obblighi informativi.

Il motivo è inammissibile, sollecitando una impropria rivisitazione di apprezzamenti di fatto operati dai giudici di merito.

Esso consiste nella trascrizione di brani tratti da precedenti di giurisprudenza e opinioni di dottrina concernenti le modalità di assolvimento dell’obbligo informativo in relazione ad investimenti segnalati dagli intermediari come inadeguati, in modo astratto e avulso dalla fattispecie concreta e, tra l’altro, incoerente con i fatti accertati nella sentenza impugnata, dalla quale non risulta un accertamento nel senso che la Banca abbia segnalato l’inadeguatezza dell’operazione e che i clienti abbiano comunque ordinato di eseguirli.

Il secondo motivo, che denuncia omessa pronuncia sulla eccezione di carenza probatoria circa il nesso causale tra le violazioni relative all’adempimento degli obblighi informativi e il pregiudizio lamentato per l’esito negativo degli investimenti, è inammissibile. Il vizio di omessa pronuncia postula che la questione abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione di merito e che il giudice non abbia statuito sulla stessa, così dando luogo alla inesistenza di una decisione sul punto della controversia per la mancanza di un provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. n. 5730 del 2020); non è invece configurabile quando si denunci come nella specie – l’erroneità della decisione impugnata per l’omesso esame o la erronea valutazione di elementi di prova (Cass. n. 7472 del 2017) o per la erronea o mancata valutazione delle mere difese (Cass. n. 12626 del 2011). Nella specie, la corte territoriale si è comunque pronunciata sulla questione del nesso causale, dedicandovi un apposito paragrafo della motivazione (a pag. 9-10).

Il terzo motivo denuncia omessa pronuncia da parte della corte territoriale sulla “eccezione sollevata dalla Banca circa l’erroneità e l’infondatezza della relativa condanna, in sede di giudizio di primo grado, al pagamento integrale delle spese di lite”.

Il motivo è infondato. Pure ammettendo che la Banca abbia proposto uno specifico motivo di appello sulla statuizione del tribunale di condanna alle spese, la corte d’appello, rigettando il gravame e confermando in toto la sentenza impugnata, ha implicitamente risposto a quel motivo rigettandolo. Se nel motivo si voglia intravedere una censura sul contenuto della decisione della corte territoriale in ordine al governo delle spese del primo grado, essa sarebbe inammissibile, risolvendosi in una implicita e impropria richiesta di compensazione delle spese che, come è noto, è oggetto di valutazione incensurabile del giudice di merito.

Il quarto motivo denuncia omesso esame di fatti che si assume decisivi concernenti l’avvenuta consegna ai coniugi G. dei prospetti informativi e la erronea valutazione delle risultanze delle prove testimoniale che dimostravano, ad avviso della Banca, l’adempimento degli obblighi informativi a proposito del profilo di rischio degli investitori.

Il motivo è inammissibile perchè i fatti che si assume non esaminati tali in realtà non sono, trattandosi di apprezzamenti di fatto operate dai giudici di merito con esito diverso da quello auspicato dalla Banca, la quale denuncia una erronea valutazione delle risultanze probatorie a proposito della consegna dei prospetti informativi, su cui si innestano incensurabili valutazioni inerenti alla rilevanza e idoneità dei suddetti documenti a valere come prova in concreto dell’adempimento degli obblighi informativi. Il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non è utilizzabile per censurare il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito (vd. Cass. n. 11892 del 2016).

Il quinto motivo denuncia omesso esame di fatti che si assume decisivi, concernenti la valutazione dell’adeguatezza degli investimenti in materia finanziaria, non avendo la corte territoriale considerato la pregressa e notevole esperienza degli investitori e la natura non speculativa dei prodotti finanziari costituenti oggetto delle operazioni contestate.

Esso è inammissibile: in parte è perplesso perchè, sostenendo implicitamente l’adeguatezza degli investimenti rispetto al profilo di rischio degli investitori, è contraddittorio rispetto alla doglianza esposta nel primo motivo ove la Banca implicitamente ha sostenuto di avere segnalato l’inadeguatezza degli investimenti ai clienti; per altro verso, si risolve in una critica generica dell’esito di incensurabili apprezzamenti di fatto operati dai giudici di merito.

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7200,00, di cui Euro 7000,00 per compensi.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2021

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